18 ottobre 2025

Veglia per la Giornata missionaria mondiale

Si è tenuta nella chiesa di Castelnuovo in Crema, la sera di sabato 18 ottobre 2025, la veglia di preghiera per la Giornata missionaria mondiale. Riportiamo di seguito l’intervento del vescovo Daniele.

Prendo a prestito un’immagine che abbiamo sentito, per chi era presente, nell’incontro di formazione per gli operatori pastorali di martedì scorso 14 ottobre.
Don Marco, che ci ha guidati in quell’incontro, a un certo punto ha detto una cosa di questo genere: siamo stati abituati, nel passato, ad avere a che fare con grandi alberi; facciamo fatica, quindi, a coltivare germogli, più piccoli, forse più radi, certo meno appariscenti. Ma questa è la sfida che abbiamo davanti.
Voleva dirci, don Marco, che non siamo più ai tempi di un passato, forse anche idealizzato, ma nel quale la Chiesa raccoglieva molta gente, aveva “successo”, se possiamo usare questa parola poco appropriata: nelle celebrazioni liturgiche, negli Oratori, nelle iniziative di apostolato, nell’opinione pubblica… Era il tempo dei grandi alberi, carichi di fiori e di frutti. Oggi non è più così. E forse quello di oggi è il tempo propizio per imparare come essere Chiesa, come essere popolo di Dio, da esperienze che sembrano più sterili, più difficili.

Essere cristiani, essere Chiesa in Uruguay, in Niger, a Macao… vuol dire avere a che fare non con le foreste, ma con germogli che sembrano radi e forse anche un po’ stentati: e dove però lo sguardo della fede – non quello delle statistiche e delle valutazioni quantitative – è capace di cogliere l’opera di Dio.
Noi viviamo in questo tempo, nel quale ci è chiesto di stare nella pazienza fiduciosa della semina e nella cura attenta dei germogli. E forse ci è utile ricordare che, al tempo di Gesù, seminare era un’operazione molto più a rischio di quanto non lo sia oggi: perché non sapevi se avresti avuto l’acqua a sufficienza per irrigare, o se ti sarebbero arrivano la cavallette a divorare tutto, e non avevi una polizza assicurativa che, per lo meno, ti mettesse un po’ al riparo dopo una grandinata ti mandava all’aria il raccolto in pochi minuti.
Seminare è un esercizio di fiducia, un gesto di speranza, che si fa nella consapevolezza che – come dice Paolo scrivendo ai Corinzi – uno semina, l’altro irriga, l’altro si prende cura delle buone condizioni del terreno, ma è Dio che fa crescere (cf. 1Cor 3,6-7).

I seminatori del Vangelo, come Gesù li ha preparati e come li accompagna con il suo Spirito, sono gente così: non gente che va alla ventura, ma gente che si fida e sa che Dio farà crescere. Non si preoccupano troppo di controllare tutto, di avere le condizioni ideali, di potersi riparare dietro a chissà quali garanzie… Attraverso parole e gesti (più gesti che parole, probabilmente, e anche gesti semplici, elementari) gettano il seme, che sanno essere fecondo, perché è il seme del Vangelo, e lasciano che cresca come e quando Dio vorrà.
Ai seminatori del vangelo occorre, se mai, anche uno sguardo attento, allenato a cogliere l’opera di Dio: perché bisogna ricordarsi che tante volte il seme può germogliare dove uno non se lo aspetta; che cresce spesso in mezzo ad altre erbe, e non è saggio sradicare tutto; che non ha un apparato esteriore consistente, può essere una realtà piccola, insignificante agli occhi del mondo, e però potrà crescere e diventare ospitale, accogliente…
I seminatori di speranza sanno che i tempi di Dio, e anche i suoi silenzi, possono essere lunghi: ce lo ricorda anche il vangelo di questa domenica, con la figura di quel giudice che per molto tempo si rifiuta di rendere giustizia alla povera vedova che lo importuna. Ma i seminatori di speranza hanno appunto l’ostinazione della vedova, sorretta dalla fiducia che Dio farà germogliare la sua giustizia, al tempo opportuno. E continuano a pregarlo, senza stancarsi, così come, senza stancarsi gettano il seme: e «dormano o veglino, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, loro stessi non lo sanno» (cf. Mc 4,27), ma non si preoccupano: Dio, ne sono sicuri, darà la crescita.