BEATO ALFREDO CREMONESI

Alfredo Cremonesi, sacerdote del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) e martire è stato brutalmente ucciso per difendere il popolo birmano. La beatificazione è avvenuta a Crema il 19 ottobre 2019. La memoria ricorre il 7 febbraio, col grado di "memoria facoltativa".

Biografia

Alfredo Cremonesi nacque a Ripalta Guerina (CR), diocesi di Crema, il 16 maggio 1902 da Enrico e Maria Rosa Scartabellati primo di sette figli, sei maschi e una femmina.

Giovanissimo entrò nel seminario diocesano dove completò i suoi studi umanistici, dimostrando un brillante ingegno. Durante gli anni seminario si ammalò di linfatismo. Sembrava destinato a finire presto i suoi giorni. Invece, per intervento di S. Teresina del Bambin Gesù, come riconobbe lui stesso, ottenne la completa guarigione. Ciò fece nascere in lui il desiderio di diventare missionario, apostolo del Vangelo tra i non cristiani.

Fu mandato dapprima a Yedashé, nello Yoma occidentale, dove visitò parecchi villaggi ancora pagani, ottenendo numerose conversioni. In seguito fu trasferito a Donoku, un villaggio abitato dai cariani rossi. Qui rimase fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, sempre dedicandosi ai suoi viaggi apostolici sui monti, dai quali spesso tornava stremato dalla fatica a dalla malaria, ma sempre deciso a riprendere il suo impegno per la diffusione della fede cattolica. Infatti, Padre Cremonesi concepiva la sua missione non soltanto come una conquista di quanti erano ancora pagani, ma anche un’ opera di resistenza di fronte alla massiccia avanzata dei protestanti battisti, forti degli appoggi economici americani.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, la Birmania, in quanto colonia inglese, si trovò coinvolta nel conflitto. Con l’entrata in guerra anche dell’ Italia a fianco della Germania, i missionari italiani improvvisamente si trovarono dalla parte del nemico. Per ordine del comando militare furono tutti internati in India, ad eccezione di quanti, allo scoppio del conflitto, si trovavano in Birmania da oltre dieci anni. Rimasero al loro posto solo sei missionari; tra questi Padre Cremonesi.

Iniziò per loro un periodo durissimo: ognuno doveva fare il lavoro di almeno tra confratelli. Padre Cremonesi venne trasferito più nord, a Moshò, dove pur tra grandi difficoltà continuò a visitare i villaggi cariani. Gli anni della guerra furono terribili per Padre Cremonesi. Per anni non ebbe quasi niente da mangiare. Più volte corse pericolo di vita (come quando venne preso in ostaggio dai giapponesi), ma sempre si salvò per l’intercessione di Santa Teresina. L’ultimo periodo di guerra lo visse nella foresta, con i suoi cristiani, mangiando solo erbe. Ma non si perse d’animo. Lo sostenevano la devozione al Sacro Cuore e la pratica quotidiana dell’Adorazione Eucaristica.

Padre Cremonesi, infatti, tutte le notti, anche dopo un giro faticoso, si alzava a mezzanotte per un’ora di adorazione davanti al Tabernacolo. Tornato a letto, alle quattro era di nuovo in chiesa per la S. Messa e l’ufficio. Per questa fedeltà al suo apostolato era stato soprannominato il “moto perpetuo”. Per la sua bonarietà e socievolezza, il “sorriso della missione”. Suore, preti, laici ricorrevano a lui in gran numero per la confessione o per avere consigli.

Ritornato a Donoku, dopo la guerra, si trovò in mezzo ad un’altra bufera. Nel 1948 la Birmania otteneva l’indipendenza dall’Inghilterra. Subito, però, sorsero contrasti tra i Birmani al potere gli altri gruppi etnici scarsamente rappresentati in parlamento. La protesta sfociò nella rivolta armata. In lotta tra di loro erano soprattutto Birmani e i Cariani di confessione battista. I cariani cattolici, fedeli al governo, ben presto si trovarono tra l’incudine e il martello. In quanto Cariani erano odiati dai Birmani quasi tutti buddisti, in quanto cristiani cattolici erano mal visti dai cariani protestanti di confessione battista. I villaggi cattolici, perciò, erano spesso saccheggiati da parte degli uni e degli altri. Padre Cremonesi, forte della sua autorità, più volte intervenne per riportare l’ordine e salvò parecchi villaggi dalla distruzione. Nell’agosto 1950, anche Donoku venne assalita dai ribelli. Gli abitanti non ebbero altra scelta che rifugiarsi nella foresta, Anche Padre Cremonesi fu costretto a fuggire. Si rifugiò a Taungngu, presso la missione, insieme a una parte dei suoi cristiani. Incominciò per lui un altro periodo tristissimo, che egli definì di esilio. Ogni giorno sentiva nascere più forte dentro di sé il desiderio di tornare a Donoku e cogliere le sue pecorelle disperse.

Trascorso un anno, la situazione sembrò migliorare. I ribelli erano ormai allo stremo. Padre Cremonesi ebbe il permesso di tornare al suo villaggio (marzo 1952). La vita si riaccese. Ma sul finire dell’anno la situazione precipitò un’altra volta. “La guerra non è ancora finita – così scriveva alla cugina suora – I soldati ribelli che difendono il fronte sono dietro di me, così che, se capita un attacco, sono io il primo ad essere preso.” Il 7 febbraio 1953, i soldati governativi dopo uno scontro con i ribelli, in cui vennero sconfitti, dovettero battere in ritirata. Senza alcun preavviso fecero irruzione nel villaggio di Donoku, dove tutti gli abitanti erano in preda ad autentico terrore. I soldati erano convinti che gli abitanti del villaggio favorissero i ribelli. Padre Cremonesi intervenne, assicurando che tra di loro non c’erano ribelli. Persuasi dalle parole del missionario, i soldati si allontanarono.

Appena fuori dal villaggio, però, furono oggetto di una vera e propria un’imboscata. Ne nacque un altro scontro con i ribelli nel corso del quale alcuni soldati rimasero feriti. Ritornati sui loro passi, fuori di sé dalla rabbia, si precipitarono alla residenza del Padre, ancora fermo davanti alla scuola del villaggio con alcune persone, tra le quali il capo villaggio, un dirigente dell’Azione Cattolica il quale, forse per il suo abbigliamento, venne scambiato per un ribelle.

I militari lo investirono subito con tanta furia che Padre Alfredo dovette intervenire in sua difesa. Stavolta però i soldati non vollero ascoltare ragioni. Accecati dall’ira, aprirono il fuoco. Investiti dalle raffiche di mitra, il capo villaggio e Padre Cremonesi si accasciarono a terra, gravemente feriti. Due bambine, dietro di loro, vennero colpite mortalmente. Mentre la gente scappava nella foresta, i soldati scatenarono la loro furia contro la casa del Padre e il convento che vennero incendiati. Entrati anche in chiesa, si misero a mitragliare tutto: statue, candelabri, suppellettili. Infine la incendiarono assieme alle case del villaggio.

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