Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, la sera di sabato 19 aprile 2025, la solenne Veglia pasquale della risurrezione del Signore. Riportiamo di seguito la sua omelia.
Ricevendo l’annuncio pasquale, le donne che al mattino presto si sono recate al sepolcro di Gesù sono invitate a fare un esercizio di memoria. Gli uomini che si presentano a loro in abito sfolgorante (cf. Lc 24,4), anzi “lampeggiante” (il che ci fa capire anche anche per Luca si tratta di angeli), dopo aver annunciato che Colui che era morto è vivo, è risorto dai morti, continuano così:
Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”. Ed esse si ricordarono delle sue parole… (vv. 6-8).
Perché questo esercizio? Perché noi, anche noi credenti, tendiamo a dimenticare la dinamica della Pasqua. La cosa si può anche capire, perché questa dinamica non è “naturale”, non asseconda il giudizio che noi diamo, per lo più, su come vanno le cose, sulla nostra vita, sulla storia, sul mondo… Noi rischiamo di leggere tutto questo con sguardo troppo umano, e troppo poco “pasquale”.
Ciò che stiamo vivendo in questa notte, ciò che ogni anno la Chiesa ci invita a vivere, celebrando la solenne Veglia di Pasqua, per certi versi è prima di tutto un grande esercizio di memoria: un esercizio nel quale – in modo speciale ascoltando le letture bibliche della Veglia, ma anche attraverso tutto l’insieme dei gesti e delle parole che stiamo vivendo – siamo invitati precisamente a ricordare com’è che “funzionano” le cose (perdonate il termine) quando impariamo a guardarle con lo sguardo di Dio.
Dal momento che per noi è più facile distruggere che creare – anche se Dio ci ha resi capaci di essere anche noi con-creatori con Lui – tendiamo a dimenticare che Dio è colui che sempre crea e salva, e tutto vuol portare a compimento pieno.
Dal momento che tendiamo a guardare Dio con paura e sospetto, e quindi pensiamo di dovergli offrire chi sa quali doni e vittime sacrificali per tenercelo buono, abbiamo bisogno di ricordare che fin dall’inizio Egli ci è venuto incontro nel segno dell’alleanza e dell’amicizia, che continuamente egli vuole rinnovare con noi.
E poiché troppe volte abbiamo l’impressione di essere prigionieri di forze più grandi di noi, di meccanismi che fuori di noi, ma spesso anche dentro di noi, ci impediscono di assaporare il gusto della libertà, dobbiamo ricordare che il nostro Dio è un Dio liberatore, che si è rivelato andando a prendere, per puro amore, una massa di schiavi, per farne un popolo di donne e uomini liberi, che nella libertà accolgono la sua legge come via di benedizione e di vita.
E siccome, nonostante questo e altro che ancora potremmo e dovremmo ricordare, ci accade troppo spesso di indurire il nostro cuore, e di renderlo impenetrabile, così, all’azione trasformante e rinnovatrice di Dio, Lui stesso si fa carico di trapiantare in noi un cuore nuovo, e di donarci il suo Spirito, che incessantemente tiene vivo in noi il ricordo del volto vero di Dio.
Sì: anche se a volte ce ne dimentichiamo, il Dio in cui crediamo è il Dio della Pasqua: il Dio che sempre vuole e opera, per l’uomo e per il mondo intero, il passaggio pasquale dalla morte alla vita, dalle tenebre alle luce, dalla schiavitù alla libertà, dal lutto alla gioia.
Ed è in questa prospettiva che l’annuncio pasquale invita le donne al sepolcro – e noi qui, in questa notte – a guardare a Gesù Cristo e a riconoscere che proprio in lui tutto questo ha raggiunto la sua pienezza: il compimento della “logica pasquale” è Gesù Cristo, morto e risorto, vivente per la potenza dello Spirito Santo.
Quando gli uomini nel sepolcro comunicano l’annuncio pasquale, e ricordano le parole di Gesù – «bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno» (v. 7) – vogliono dire questo: il desiderio, il “sogno” di Dio di comunicarsi all’uomo come il Dio della Pasqua, il Dio della salvezza, della gioia, della speranza che “non delude”, si è “condensato” nella vicenda di Gesù di Nazaret. Come dice un antico autore cristiano: Lui, Gesù Cristo, è la Pasqua della nostra salvezza (cf. Melitone di Sardi).
Lui, ma anche noi con lui. Perché ci è stato ricordato – in particolare dalle parole di Paolo, nell’Epistola (cf. Rm 6, 3-11), e poi lo ricorderemo tra poco anche nei gesti della liturgia battesimale – che anche noi siamo stati inseriti nel dinamismo pasquale del Signore Gesù Cristo:
Per mezzo del battesimo… siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova…
… Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,4.8-9).
Siamo diventati, a partire dal battesimo, donne e uomini per i quali la “logica pasquale” dovrebbe essere pane quotidiano, dovrebbe essere lo “stile” che caratterizza le nostre azioni e la chiave di lettura del mondo e di interpretazione del tempo che ci è dato di vivere, di ogni nostra vicenda quotidiana, di ciò che accade nella nostra storia personale e in quella del mondo…
Come dicevo, troppe volte, purtroppo, ce ne dimentichiamo, e viviamo come gente che non sa riconoscere e accogliere il Dio della Pasqua. Ma, appunto, questa santa Veglia ridesta la nostra memoria, la sollecita con le parole e i gesti di cui siamo partecipi, la rinfresca con l’acqua battesimale, di cui tra poco saremo apersi; e, finalmente, la consolida con la partecipazione alla santa Eucaristia: dove la memoria pasquale si fa nutrimento che ci sostiene, e la potenza dello Spirito Santo ci fa tornare alle nostre case, alla nostra vita quotidiana, per essere lì, e non solo qui dentro, donne e uomini della Pasqua.