Il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione della Veglia di Pentecoste, momento speciale di preghiera per la pace, nella Cattedrale di Crema, sabato 7 giugno 2025. Riportiamo di seguito la sua omelia.
L’antico inno Veni Creator Spiritus, che abbiamo cantato all’inizio di questa nostra veglia, contiene questa invocazione: Pacemque dones protinus, che nella parafrasi italiana è resa con: «Reca in dono la pace».
Ma quell’avverbio latino, protinus, contiene in sé l’idea della fretta, dell’urgenza: “donaci presto, donaci subito la pace”, sarebbe una traduzione più precisa.
E, al di là della precisione filologica, questa traduzione risponderebbe meglio ai nostri sentimenti, a ciò che ci ha portato qui questa sera, non solo per rispondere alla consuetudine di radunarci in preghiera nella vigilia di Pentecoste, ma anche per raccogliere l’invito fatto dai Vecovi alle Chiese che sono in Italia di pregare in modo speciale, in questa vigilia, per la pace.
Sì, sentiamo che la pace è più che mai urgente per chi da mesi, da anni, vive sotto le bombe: e se il nostro pensiero corre subito alla striscia di Gaza, o all’Ucraina, se avvertiamo l’urgenza della pace per Israele e per i Palestinesi, per Ucraini e Russi, non possiamo dimenticare altri conflitti, dove pure l’arrivo della pace è drammaticamente urgente: non possiamo dimenticare, ma di fatto ci siamo dimenticati del Sudan – dove, pensate, la guerra civile in atto da più di due anni ha fatto sì, tra l’altro, che ben dodici milioni di persone – dodici milioni!, un quarto della popolazione complessiva del paese –, siano sfollate; circa quattro milioni nei paesi circostanti, gli altri otto all’interno del paese.
Non possiamo dimenticare, ma di fatto ci siamo dimenticati, anche noi cremaschi che abbiamo avuto là un santo missionario martire, del Myanmar, dove la guerra civile imperversa dal 2021, causando anche qui milioni di sfollati e una situazione umanitaria tra le più gravi; e dove un violento terremoto, a fine marzo, ha introdotto altre devastazioni e dolori…
Se queste sono le situazioni più gravi di conflitto, non sono però le sole a farci avvertire l’urgenza della pace, a farci chiedere: donaci la pace, donaci subito la pace, tu, Spirito di pace, dono del Risorto per la Chiesa e per il mondo.
L’urgenza della pace, l’ho già detto, è ovvia per chi vive concretamente l’incubo della guerra. Dovremmo però domandarci con onestà: perché sarebbe un’urgenza anche per noi?
Siamo consapevoli, credo, del rischio che questa urgenza possa mascherare qualche forma di falsa coscienza:
– donaci subito la pace, Spirito di Dio, perché così possiamo stare tranquilli, e non preoccuparci più tanto di quelle situazioni di ingiustizia, di diseguaglianza, di sfruttamento… che poi finiscono per ingenerare conflitti e violenze?
– donaci subito la pace, Spirito Santo, perché possiamo così continuare i nostri stili di vita poco attenti alla fraternità, chiusi ai bisogni di popoli e nazioni che ci sembrano lontani, ma con i quali poi scopriamo di avere legami non tanto limpidi, non tanto rispettosi?
– donaci subito la pace, Spirito del Risorto, in modo che non abbiamo più bisogno di essere vigilanti, su noi stessi, ma anche su ciò che avviene intorno a noi, ad esempio nella produzione e nel commercio delle armi, o in pratiche che producono iniquità e oppressione?
– donaci subito la pace, Spirito Paraclito, per dispensarci dall’impegno quotidiano, faticoso, a volte ingrato, di costruire giorno per giorno gesti di riconciliazione, di perdono, di fraternità, per compiere scelte che facciano crescere una vera cultura di pace nella società di cui siamo parte?
Mi sembra chiaro: possiamo invocare con sincerità lo Spirito di Pace, chiedergli di agire urgentemente nel cuore degli uomini e dei popoli per condurli su progetti e opere di pace, solo a patto di dire a noi stessi: adesso, questa sera – non domani o dopodomani o chissà quando – è l’ora della pace.
Adesso, questa sera, lo Spirito mi interpella per risvegliare in me e in tutti noi il senso di un’urgenza che non ci lascia in pace – come ha detto don Primo Mazzolari, il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace: appunto perché l’urgenza della pace lo interpella, ci interpella, ci impedisce di sentirci in pace, finché non avremo fatto tutto il possibile, sostenuti dal dono dello Spirito, per testimoniare e offrire al mondo la pace che viene dal Risorto.