Nella serata del 9 giugno 2023, vigilia della festa patronale, il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la solenne liturgia in onore di S. Pantaleone martire, patrono della diocesi e della città di Crema, alla presenza del popolo, del presbiterio, delle autorità e dei sindaci del territorio, che hanno rinnovato la tradizionale offerta dei ceri in onore del Patrono. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele.
Mentre riflettevo su come prolungare con voi l’ascolto della Parola di Dio, che ci è stata proclamata adesso, in questa solenne liturgia in onore del nostro santo Patrono, ho provato a mettermi davanti alla sua immagine: quell’immagine che, nella nostra Cattedrale come altrove, raffigura il santo con gli attributi dell’arte medica, in particolare con una cassetta – l’equivalente, direi, della tipica borsa del medico di famiglia – che contiene le medicine per i malati. In alcune raffigurazioni, come in un’icona del XIII secolo del monastero di Santa Caterina del Sinai, la cassetta è aperta, e si vedono anche le fiale che contengono le medicine…
E ho provato a chiedere: fratello e padre nostro, san Pantaleone, quali medicine puoi offrire a noi, Chiesa cremasca, in questo tempo così complicato? Quali rimedi puoi dare a questa città, a questo popolo, alle pestilenze di oggi? A noi che, forse, non ci accorgiamo neppure di aver bisogno di qualche medicina, perché ci sono malattie che lavorano in modo subdolo, e mettono in pericolo l’organismo senza che ce ne accorgiamo, se non quando è troppo tardi…
Non so se ho ascoltato e capito bene la risposta del santo, ma provo a condividere con voi ciò che mi sembra di aver percepito, ripensando anche a ciò che è stato tramandato della vita del santo e alla diffusione del suo culto nel tempo e nello spazio.
1. Mi sembra che san Pantaleone abbia da offrirci, anzitutto, la medicina della \emph{conversione}. Lui stesso aderì alla fede cristiana quando, ancora giovane – e giovane viene rappresentato, il più delle volte – e già stimato per l’arte medica, fu aiutato a incontrare Gesù Cristo, e a riconoscere in lui la salvezza (o salute: in varie lingue, tra cui anche greco e latino, la stessa parola dice l’una e l’altra cosa…) decisiva. Pantaleone accolse l’invito di Gesù Cristo, aderì a lui nella fede, e questa fede non abbandonò più, fino a darne la testimonianza suprema con il martirio.
I cristiani sanno – o dovrebbero sapere – che la conversione è però un processo continuo: sempre si tratta di rinnovare il proprio sì a Gesù Cristo (e, in lui, a Dio stesso), perché questo sì è inserito nelle peripezie della storia, personale e sociale; e sempre da capo il cristiano, e la comunità cristiana, e la Chiesa tutta, hanno bisogno di chiedersi: che cosa vuol dire oggi, per me, per noi, l’adesione a Gesù Cristo e al suo vangelo? In che cosa mi chiede di cambiare?
Ma permettetemi di dire che la continua conversione, a livelli diversi, riguarda tutti, non solo i credenti. Quel grande filosofo e teologo che è stato Bernard Lonergan, nella seconda metà del secolo scorso, insisteva sul fatto che, prima della conversione religiosa, esiste una conversione intellettuale, che domanda a ogni uomo e donna di riflettere su ciò che ritiene vero, e perché lo ritiene tale; e su che cosa significa rapportarsi con la verità. E ricordava che esiste una conversione morale, che determina il criterio delle proprie decisioni e delle proprie scelte, e ci chiede di passare da criteri di soddisfazione personale a criteri di valore autentico: di passare, insomma (per dirla in breve) da scegliere ciò che piace a scegliere ciò che è giusto e buono…
La figura del martire sta lì a dirci che nessuno di questi passaggi è facile, nessuno è indolore: ma neppure le cure sono sempre indolori! Ma la medicina di una continua conversione è senza dubbio salutare, per la nostra umanità, e per la nostra condizione di credenti.
2. Dalla cassetta delle medicine di san Pantaleone suggerisco poi di attingere a un secondo rimedio per i mali che ci affliggono, quello della gratuità. San Pantaleone è venerato come uno dei medici anàrgiri, uno dei medici che esercitavano gratuitamente la loro professione.
Sia ben chiaro: sono più che convinto che chi lavora ha il diritto di essere pagato, e di essere pagato in modo giusto ed equo! E, per quel poco che capisco e sento, ho l’impressione che proprio la professione sanitaria (così come altre professioni: la scuola, ad es.) abbia bisogno di un maggiore riconoscimento, anche sul piano dei salari.
Ma sono anche convinto che, tanto nella Chiesa come nella società, non ci si possa fermare a ciò che è giusto (e che, ripeto, è comunque l’indispensabile punto di partenza): sul fondamento di ciò che è giusto, la gratuità apre a una prospettiva di benevolenza, solidarietà, preoccupazione per il bene comune, che fa crescere tanto la società quanto la comunità cristiana. A partire dall’esempio di Cristo, San Paolo invitava i suoi cristiani a non cercare tanto il proprio interesse, ma quello degli altri (cf. Fil 2,4 ss.; Rm 12,1-3): mi sembra un invito da prendere sul serio anche al di fuori della Chiesa.
D’altra parte, ho l’impressione che san Pantaleone abbia sparso in abbondanza la medicina della gratuità, qui a Crema: penso alle tante associazioni di volontariato, penso alle tante persone generose che, nella Chiesa e nella società, mettono a disposizione gratuitamente il proprio tempo, le proprie energie, le proprie capacità, al servizio di altri, per il bene comune. Ma sento anche dire che, di anno in anno, questa medicina incomincia a scarseggiare… Che il nostro santo patrono ci aiuti a disporne ancora in abbondanza.
3. Finalmente, tra i medicinali di san Pantaleone, potremmo attingere a quello dell’universalità. È veramente sorprendente vedere quanto il nostro Patrono sia venerato in tante parti del mondo. Proprio ieri ho scoperto l’usanza, tuttora diffusa in paesi come l’Argentina, l’Uruguay, il Paraguay e non solo, di mangiare gnocchi di patate il 29 del mese (mettendo sotto il piatto anche una moneta), a partire da una leggenda sull’ospitalità che san Pantaleone avrebbe ricevuto da contadini veneti, ai quali si presentò come un mendicante…
San Pantaleone è un santo che ha attraversato molti confini, e ci invita a tenere larghi i nostri orizzonti, a non accontentarci del “piccolo è bello”: perché in certa misura è vero, ma può diventare anche poco sano.
Se penso alla nostra Chiesa di Crema, ritengo che sia stata, e tuttora sia una grande grazia, l’apertura missionaria che ha permesso a tante figlie e figli della nostra piccola diocesi di partire per annunciare e testimoniare il vangelo in tutti i continenti.
Papa Francesco, nell’udienza che ci ha concesso il 15 aprile scorso, ci ha parlato del beato Alfredo Cremonesi come di «un uomo universale, per tutti», un uomo che ha esercitato il suo ministero con tenacia, «donandosi senza calcoli e senza risparmio per il bene delle persone a lui affidate, credenti e non credenti, cattolici e non cattolici».
A lui, davvero, san Pantaleone ha fatto il dono di questo salutare rimedio a tante stanchezze, paure, fatiche, che è l’universalità: il desiderio di aprire cuore, mente, braccia, case, chiese, paesi, a una fraternità senza confini: il che è una sfida continua, di nuovo, per la Chiesa ma anche per la società cremasca: una sfida già più volte accolta nel passato e che, mi auguro, continueremo a raccogliere oggi e nel futuro.
Conversione, gratuità, universalità, sono medicine che hanno questo in comune: ci chiedono di uscire da noi stessi, di compiere un esodo o, per tornare a Lonergan, di autotrascenderci: ma questa è la condizione indispensabile, per essere più umani, e più cristiani. Ci aiutino, in questo esodo, la grazia di Dio, e l’intercessione del medico e martire san Pantaleone, nostro celeste patrono.