Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, giovedì 19 giugno 2025, l’Eucaristia nella ricorrenza della Solennità del Corpo e Sangue di Cristo (il “Corpus Domini”), insieme con le comunità parrocchiali della città di Crema. Alla celebrazione ha fatto seguito la Processione eucaristica fino al Santuario della Madonna delle Grazie, dove la preghiera è continuata con l’adorazione silenziosa e la Benedizione eucaristica. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.
Il figlio minore della celebre parabola dei “due figli”, il figlio impropriamente chiamato “prodigo” (un aggettivo che è molto più adatto al padre! – ci tornerò tra un momento), per avere scialacquato tutti i beni dell’eredità avuta in anticipo, il figlio che si ritrova a fare il guardiano di porci e si accontenterebbe di mangiare quel che mangiano i porci stessi, pur di non morire di fame…
Ebbene, quando questo figlio, spinto dalla fame, si mette a considerare la propria condizione, fa una riflessione molto semplice, assai poco “teologica” o “spirituale”: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati» (Lc 15,17-19).
Alla sua memoria affamata, la casa del padre si presenta come la casa dove c’è pane in abbondanza, un’abbondanza che riguarda tutti, anche i servi: tanto che gli basterebbe essere accolto come uno di loro (anche se poi, quando arriverà, si scoprirà atteso e introdotto addirittura nella sovrabbondanza riservata ai figli…).
Dentro questo orizzonte di “pane in abbondanza” sta anche il racconto che abbiamo ascoltato nel vangelo (cf. Lc 9,11-17), che si concludeva così: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste» (v. 17). Più precisamente, l’evangelista dice che «furono portati via i pezzi di quanto sovrabbondò»: per dire, appunto, che ce ne fu per tutti, e ce ne fu in abbondanza.
Chiediamoci, però, a quale abbondanza sta pensando, l’evangelista: anche perché il racconto della folla sfamata in abbondanza (il racconto chiamato impropriamente della “moltiplicazione dei pani”), nella tradizione cristiana è interpretato come una profezia del mistero che stiamo celebrando, cioè dell’Eucaristia. Ma a noi potrebbe venire in mente, in modo un po’ banale, questa obiezione: ciò che ci viene distribuito qui, e ogni volta che celebriamo l’Eucaristia e comunichiamo al Corpo e al Sangue di Cristo, sotto il profilo materiale è tutto, meno che abbondante!
Ma se andiamo a vedere più da vicino in che modo Luca parla di “abbondanza”, ci rendiamo conto che lo sguardo viene subito orientato in una direzione diversa, rispetto all’abbondanza materiale.
Tre riferimenti ci possono aiutare:
– prima di tutto, l’ammonimento di Gesù a tenersi lontani «da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (12,15); ammonimento seguito dalla parabola del ricco stolto, che finisce con la sentenza: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (12,21);
– poi, la riflessione del “figlio prodigo”, di cui dicevo poco fa; nella casa del padre, casa del “pane in abbondanza”, il figlio scoprirà un’abbondanza, soprattutto, di misericordia, di paternità, di condivisione; in particolare, scoprirà l’abbondanza di gioia e di festa del perdono (cf. 15,20-32);
– da ultimo, la scena della vedova che getta la sua piccolissima offerta nel tesoro del tempio, e il commento di Gesù: i ricchi, noterà, «hanno gettato come offerta parte del loro superfluo [“della loro sovrabbondanza”]. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (21,4).
La scena della vedova precede di poco la passione. L’ultima Cena, nella quale Gesù dona ai discepoli l’Eucaristia, anticipando in essa il dono di Sé che farà sulla croce, si tiene pochi giorni più tardi; e possiamo pensare che Gesù, celebrando quella Cena, e avviandosi alla passione, avesse bene in mente il gesto della vedova.
Perché, umanamente parlando, in quel momento Gesù è in una condizione molto vicina a quella della vedova. È il povero del Signore: senza beni umani, senza risorse, senza potere; sta per essere catturato e condannato come un delinquente, come uno scarto della società…
Ma tutto questo è, per lui, il momento del dono definitivo; anche lui sta per mettere nelle mani del Padre “tutto ciò che ha per vivere”, tutto Sé stesso; tutto ciò che da Lui ha ricevuto – a partire dalla propria condizione di Figlio –, tutta la missione che ha compiuto, tutto viene raccolto nel dono paradossale della Croce.
E di questo dono, che raccoglie l’intera sua esistenza, Gesù lascia ai discepoli il sacramento, perché i discepoli di allora e di sempre, fino a noi oggi, riconosciamo che proprio nella povertà radicale, estrema, della Croce, sta racchiusa la sovrabbondanza del perdono, della grazia, della misericordia di Dio per l’uomo e per il mondo.
Penso che sia questo il motivo per cui la Chiesa, col passare del tempo, ha onorato e adorato il Sacramento dell’Eucaristia anche con sovrabbondanza di segni esteriori: dall’oro dei vasi sacri o degli ostensori alla solennità delle celebrazioni o delle processioni… Lo faremo, lo stiamo facendo, come possiamo, anche noi qui, questa sera. Ma non dovremmo dimenticare che la sovrabbondanza di vita e di amore, racchiusa nel mistero dell’Eucaristia, va di pari passo con la povertà del segno: un po’ di pane, un goccio di vino, che non bastano certo a togliere la fame e la sete, o a risolvere nessun problema del mondo.
Per capire questa sovrabbondanza, abbiamo bisogno anzitutto di uno sguardo di fede, che si accresce nella partecipazione all’Eucaristia, nell’adorazione, nella preghiera… Senza dimenticare, poi, che questo tesoro è posto nelle nostre mani, nelle mani dei discepoli di Gesù, ai quali Gesù continua a dire: «Voi stessi date loro da mangiare» (9,13), perché raggiunga tutti.
Non serve obiettare che siamo povera gente, che abbiamo pochi mezzi, che non c’è proporzione tra le necessità, o magari le contrarietà, del mondo, e ciò che come discepoli di Gesù siamo chiamati a testimoniare e donare. L’abbondanza, viene da altrove. La nostra partecipazione all’Eucaristia ci dà la certezza che possiamo anche noi metterci con fiducia nelle mani di Dio e dare tutto: non il nostro superfluo, che è solo peso inutile, ma tutta la nostra vita, perché diventi strumento dell’amore di Dio, che a tutti vuole dare vita, e «vita in abbondanza» (Gv 10,10).