28 marzo 2024

Santa Messa del Crisma

Il vescovo Daniele ha presieduto nella Cattedrale di Crema la santa Messa del Crisma, giovedì 28 marzo 2024, con la partecipazione del presbiterio diocesano, dei diaconi, dei consacrati e consacrate e di tutto il popolo di Dio. Durante la Messa, preti e vescovo hanno rinnovato le promesse fatte nel giorno della loro Ordinazione, e sono stati benedetti gli Oli dei Catecumeni, degli Infermi e il Santo Crisma. Riportiamo di seguito il saluto iniziale e l’omelia del vescovo.

 

 

Saluto iniziale

Ci siamo salutati nel nome del Signore, che ci raccoglie qui come sua Chiesa. Entro per un momento nelle pieghe di questo saluto, che vuole abbracciare tutto il popolo santo di Dio, i fedeli di ogni età e condizione, i consacrati e le consacrate, i diaconi e poi, in modo speciale, il presbiterio diocesano, e anche i presbiteri di altre Chiese, che svolgono il loro ministero tra di noi.
Il nostro saluto va anche a chi, soprattutto per età e salute, non è qui presente; in particolare don Ennio Raimondi, ospite della Residenza ‘Camillo Lucchi’, e don Giovanni Terzi, accolto nella casa presbiterale di S. Angelo Lodigiano; e poi anche don Gino Mussi, che raggiunge quest’anno il sessantesimo anniversario di Ordinazione: lo ricordiamo con affetto e gli auguriamo di potersi presto ristabilire in forze.
E quanto ad anniversari significativi, ringraziamo Dio per i cinquant’anni di ordinazione di don Gianni Vailati, ordinato nel 1974 insieme con l’allora don Rosolino Bianchetti: contiamo di festeggiare a giugno l’anniversario anche con il vescovo Rosolino, che ricordiamo volentieri anche qui oggi. Anche p. Tommaso Grigis, cappuccino, ricorda quest’anno il 50° di ordinazione: siamo molto contenti di poterlo festeggiare con lui.
Quarant’anni fa veniva ordinato don Gianbattista Scura; vent’anni fa, pochi mesi prima della morte, il vescovo Angelo Paravisi ordinava presbiteri don Emanuele Barbieri e don Simone Valerani.
Un saluto speciale anche a don Andrea Berselli, che per la prima volta partecipa da presbitero alla Messa del Crisma.
È con noi oggi anche don Paolo Rocca: la sua presenza ci aiuta a sentire vicina la Chiesa sorella di san José de Mayo e a ricordare affettuosamente don Maurizio Vailati e a pregare per il suo servizio suo e di don Paolo in quella diocesi. E ricordiamo tutti i missionari e le missionarie, e i consacrati e le consacrate originari della nostra Chiesa, che sempre ci sono vicini nell’affetto e nella preghiera.
Sono con noi i seminaristi, Gianni, Matteo e Riccardo, nel pieno del loro primo anno di formazione presso il Seminario di Bergamo: preghiamo per loro, per tutti i seminaristi, per tutte le ragazze e i giovani che stanno compiendo un cammino di discernimento vocazionale: non stanchiamoci di invocare da Dio il dono di numerose e sante vocazioni.
Nel luglio scorso Dio ha chiamato a sé don Erminio Nichetti: la sua pungente benevolenza ci accompagni ora dal cielo, insieme con tutti i vescovi e presbiteri defunti della nostra Chiesa, in particolare il vescovo Angelo, che ricorderemo a settembre nel ventennale della morte.
Lo Spirito Santo, la cui unzione ha consacrato Gesù per la proclamazione del Regno di Dio e l’annuncio del vangelo ai poveri, ci renda attenti uditori della Parola di salvezza e faccia di noi un solo corpo, per la partecipazione al Pane di vita e al Calice di salvezza.

 

Omelia

Nel giorno della nostra ordinazione, dopo aver fatto davanti al popolo di Dio e al vescovo le nostre promesse, ci siamo stesi per terra – per la maggior parte di voi, cari confratelli, proprio qui, davanti a questo altare – e lì siamo rimasti, mentre la comunità pregava per noi, invocando l’intercessione dei santi.
Ciascuno di noi potrà ricordare, più o meno confusamente, che cosa ha provato in quel momento: è anche possibile, dopo tanti anni, che il ricordo di quei sentimenti sia andato perduto: io confesso di non avere un ricordo molto preciso di quei pensieri e sentimenti, a quasi quarantadue anni di distanza da quel momento – anche se l’ordinazione episcopale lo ha ravvivato per me in tempi recenti.
Forse anche in ragione di questa labilità della memoria, vorrei provare a rileggere brevemente quel momento, certo “col senno di poi”, con il bagaglio di esperienza, di riflessione, di preghiera, verosimilmente anche di fatica e di peccato, di gioie e consolazioni, che gli anni, i nostri anni di ministero, hanno portato con sé.

Ci siamo sdraiati per terra, in una posizione che ci rendeva indifesi, abbandonati, come un corpo morto: perché ci siamo sdraiati per riconsegnare noi stessi a Dio, per Gesù Cristo, come quando, nel giorno del nostro battesimo – lo ricorderemo celebrando la Veglia pasquale – siamo stati «sepolti insieme a Cristo nella morte affinché, come egli fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Il nostro distenderci per terra ci ha anzitutto restituito alla radice che condividiamo con tutti i nostri fratelli e sorelle, la radice del battesimo, prima e fondamentale configurazione a Cristo, morto e risorto, vivente per Dio nella potenza dello Spirito.

Ci siamo sdraiati per terra, in un gesto di umiltà, ma non di umiliazione, perché sapevamo di farlo davanti «a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, e ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,5-6), a Colui che è venuto per «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Sì, sapevamo bene di giacere a terra, inermi, ma sapevamo di essere alla presenza di Colui che poteva avvicinarsi a noi, toccarci con la sua mano e dirci: «Alzatevi e non temete» (cf. Mt 17,7).

Ci siamo sdraiati per terra, per dire che non facevamo i conti sulle nostre capacità, sulle nostre risorse, per vivere quel ministero che poco prima, davanti alla comunità cristiana e al vescovo, avevamo dichiarato di volerci assumere, con quelle promesse che tra poco rinnoveremo. Eravamo ben consapevoli – e credo che il passare degli anni abbia accresciuto in noi questa consapevolezza – che, basandoci su noi stessi, non saremmo stati migliori di Pietro, che rinnegò il Signore, di Giuda, che lo tradì, di Paolo, che si definì «un bestemmiatore, un persecutore e un violento» (cf. 1Tm 1,13)… Solo sdraiati a terra potevamo continuare a dire, con lo stesso Paolo, che ci «è stata usata misericordia», e che «la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù» (cf. ivi, v. 14).

Ci siamo sdraiati a terra anche per anticipare le tante occasioni nelle quali, poi, negli anni del nostro ministero, saremmo effettivamente caduti a terra: caduti perché i nostri ideali giovanili si sono incrinati, e forse in qualche caso sono andati in pezzi; caduti perché la nostra generosità non ha trovato corrispondenza (o così ci è sembrato) nelle persone affidate al nostro ministero; caduti perché abbiamo sognato di vivere in un certo modo il nostro sacerdozio, o di edificare la comunità cristiana secondo una data visione, o di mettere a frutto le nostre capacità… e invece le cose sono andate diversamente; e caduti, naturalmente, anche in virtù dei nostri peccati, delle nostre fragilità…

Ci siamo sdraiati a terra, per dire a Dio: eccomi qui, davanti a te, o Padre mio, totalmente disarmato, totalmente consegnato, totalmente abbandonato. Di qui, da così in basso, non posso fare altro che affidarmi a te, per la preghiera dei miei fratelli e sorelle, quelli che qui stanno pregando, quelli che in cielo intercedono per noi, per me.

Da così in basso, non posso che domandarti di essere tu, a risollevarmi: di rendere tu saldi i miei passi nella tua Parola; di ungere tu queste mie mani, perché siano capaci di benedizione; di santificarmi tu interamente, perché tutta la mia persona, «spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,23) e si ponga interamente al servizio dei fratelli, per l’edificazione della tua Chiesa, e tutti noi possiamo insieme «diffondere nel mondo il buon profumo di Cristo» (cf. Or. dopo la comunione).

Oggi, cari confratelli, condividiamo ancora con il popolo di Dio – e confidando molto nelle sue preghiere per noi – la grazia del giorno in cui ci siamo distesi davanti al Signore per consegnarci totalmente a lui, in piena dedizione, in libertà autentica, contando solo sulla misericordia di Dio e sulla potenza dello Spirito.
Prima di rinnovare le promesse fatte in quel giorno, in qualche istante di silenzio, ripensiamo a noi stessi, distesi a terra, davanti all’altare. E sentiamo il Signore che ci dice, attraverso il suo profeta e con il soffio del suo Spirito: «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,30-31).