29 dicembre 2024

Santa Famiglia – Apertura diocesana del Giubileo del 2025

Nella festa della S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, domenica 29 dicembre 2024, il vescovo Daniele ha presieduto la solenne liturgia di inizio del Giubileo ordinario del 2025. Dopo il cammino dalla Basilica di S. Maria della Croce alla chiesa di S. Benedetto in Crema, il vescovo ha presieduto in quest’ultima chiesa la liturgia della “congregatio” (raduno) del popolo di Dio e della successiva processione verso la Cattedrale; qui, dopo il ricordo del Battesimo, ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

 

1. Nella risposta, tutt’altro che accomodante o remissiva, che Gesù dà a Maria, che esprime lo sconcerto e l’ansia sua e di Giuseppe per il comportamento inatteso del loro figlio adolescente, sentiamo le prime parole pronunciate da Gesù, secondo il Vangelo di Luca: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49).
A questa prima parola fa riscontro, all’altro capo del vangelo, l’ultima parola che Gesù pronuncia, sulla croce, appena prima di morire: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).
Luca delinea così un arco, che abbraccia tutte le parole del Gesù terreno, dalla prima all’ultima, e le mette sotto il segno di questo riferimento al Padre, che “occupa”, per così dire, tutta la sua vita, tutte le sue forze e desideri, e al quale Gesù si rivolge specialmente nel momento estremo, quando ormai tutto il resto dev’essere lasciato – Gesù è stato spogliato delle sue vesti (cf. 23,34), ma più ancora della sua libertà, è stato abbandonato dai suoi, è deriso (cf. 23,37), condannato come un malfattore, benché proclamato “innocente” (cf. 23,14-16.22)…
Non gli resta più nulla, se non il Padre: ed è a Lui che, appunto, si rivolge in quell’ora estrema; e lo fa con le parole di un salmo, il salmo 31, preghiera di un giusto perseguitato, che dice a Dio: «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (v. 6); salmo che si conclude con questo invito: «Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore» (v. 25).

2. Abbiamo incominciato questa celebrazione, con la quale si apre solennemente, anche per la nostra Chiesa di Crema, il Giubileo ordinario del 2025, mettendoci in cammino dietro alla croce; l’abbiamo salutata, questa croce, con le parole: «Ave, croce di Cristo, unica speranza».
Ora, forse, capiamo meglio il senso di quel gesto e di quelle parole. Perché proprio dalla croce, ripetendo per l’ultima volta, nella sua vita terrena, quell’invocazione del Padre che abbraccia tutta la sua vita, dalla croce, che sembra la sconfessione di ogni speranza, Gesù continua a dirci: «Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore».
Siate forti e rendete saldo il vostro cuore, anche e soprattutto se questa speranza vi sembra fragile, anche se viene derisa, disprezzata. L’orante del Salmo 31 dice, a un certo punto: «Signore, che io non debba vergognarmi per averti invocato» (v. 18); è lo stesso linguaggio che porterà Paolo a scrivere, nella lettera ai Romani: «La speranza non delude» (1), cioè: non c’è da vergognarsi per avere posto in Dio la propria speranza, non c’è da vergognarsi per il fatto di fidarsi di Dio, di mettere tutto nelle sue mani, come ha fatto per primo Gesù.
Ed è per questo che, nel mistero pasquale, il Padre ci “riconsegna”, per così dire, il suo Figlio risorto, vivente per sempre nella potenza dello Spirito Santo, e ci invita e porre in lui ogni nostra speranza. È per questo che Paolo potrà dire che «la speranza… non delude», non è motivo di vergogna, «perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5); e poi ancora: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (8,27 s.).

3. Vivendo l’anno giubilare noi, in definitiva, non ci proponiamo altro che questo: ravvivare e proclamare, anzitutto a noi stessi, senza vergogna e senza timore di delusioni, che la nostra speranza è totalmente riposta in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo e Padre di noi e di tutti; che essa si fonda sulla rivelazione dell’amore del Padre, il cui segno definitivo è Gesù Cristo, crocifisso e risorto; e che questa speranza è viva per la potenza dello Spirito, perché è lo Spirito che sostiene, in noi e in tutta la creazione (cf. 8,16-27), la ferma certezza che Dio porta a compimento il suo progetto di salvezza per l’uomo e per il mondo.
Vogliamo, dicevo, ravvivare e proclamare, anzitutto a noi stessi, questa «beata speranza», anche attraverso gli “strumenti” caratteristici del Giubileo, a partire dal pellegrinaggio (con il quale anche abbiamo incominciato questa giornata), e poi la grazia del perdono, la celebrazione della riconciliazione con Dio e con i fratelli, l’indulgenza…
Ma di questa speranza siamo chiamati a essere testimoni, ricordando l’insegnamento della lettera di Pietro, che domanda ai cristiani di essere sempre «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15), facendolo peraltro «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (v. 15).

4. Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo, ci indica la via dei “segni di speranza” che, come singoli e come comunità cristiana, siamo invitati a mettere in atto in questo anno giubilare.
Ci sono segni “grandi”, e che sembrano al di là delle nostre forze, come quello della pace, del condono dei debiti per i paesi più poveri, di una più equa distribuzione dei beni di questo mondo… Anche se ci sembrano molto superiori alle nostre forze, anzi proprio per questo motivo, potranno trovare posto senz’altro nella nostra preghiera, ma anche nella partecipazione a iniziative che li vogliono sostenere.
E ci sono segni di speranza che sono alla portata di ciascuno di noi: quelli che possiamo offrire ai malati, ai poveri, ai detenuti… ma anche ai giovani, ai migranti, agli anziani, alle famiglie – per le quali vanno naturalmente, oggi, un ricordo e una preghiera speciali, per l’intercessione della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe…

5. Per chi ha posto in Dio la propria ferma speranza, nel tempo e per l’eternità, non c’è limite alla “fantasia” dei segni che lo Spirito saprà suscitare, perché questo anno giubilare possa essere un vero tempo di grazia, nel quale accogliere e testimoniare la

speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore.
Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri (Francesco, Bolla “Spes non confundit” [9 mag. 2024], 25). Amen.

 

 

Note

(1). Nel testo greco del Salmo 30(31),18 e in Rm 5,5 c’è lo stesso verbo greco kataischyno, “vergognarsi”.