Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele nella solenne celebrazione dell’Eucaristia del giorno di Pasqua, domenica 20 aprile 2025, nella cattedrale di Crema.
Abbiamo sentito cantare, nella Sequenza di Pasqua (il canto che è stato eseguito dopo la seconda lettura), queste parole: Surrexit Christus spes mea: præcedet suos in Galilæam. Le abbiamo sentite cantare, ma forse non le abbiamo percepite in tutta la loro portata. Riprendiamole allora anzitutto in modo per noi più comprensibile: «Cristo, mia speranza, è risorto, precede i suoi in Galilea».
La Pasqua è il giorno della speranza cristiana, e questa speranza ha un nome: Gesù Cristo, il crocifisso, che nella fede confessiamo risorto dai morti, vivente nella pienezza della vita di Dio. Soltanto la fede pasquale, la fede in nome della quale siamo riuniti qui oggi, come in tutte le chiese cristiane – e oggi, lo ricordo volentieri, tutti i cristiani, di ogni confessione e appartenenza, celebrano la Pasqua nella stessa data: coincidenza che ricorre solo ogni tanto, e che merita per questo attenzione e riconoscenza –, solo questa fede pasquale dà senso, per noi, alla parola “speranza”, quella speranza che papa Francesco ha voluto mettere al centro del Giubileo che stiamo celebrando.
Non vogliamo certo disprezzare le speranze, piccole o grandi che siano, che attraversano il cuore dell’umanità, soprattutto in tempi difficili, complicati. Ma dev’essere chiaro che la speranza che noi cristiani abbiamo da offrire al mondo ha un volto preciso, ha quel volto, quello di Gesù, il profeta e rabbi venuto dalla Galilea, lui che – riprendo le parole di Pietro che abbiamo ascoltato nella prima lettura – «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,38), e che, nonostante questo (o, piuttosto, proprio per questo) fu ucciso con la morte vergognosa e terribile della croce. È lui che Pietro e gli altri apostoli annunciano risorto dai morti, è in lui che la fede cristiana riconosce il fondamento di una speranza che “non delude” (cf. Rm 5,5), secondo la frase di Paolo che il papa ha scelto come titolo della Bolla di indizione del Giubileo.
Ma perché davvero questa speranza “non deluda”, dobbiamo ricordare che non si tratta di una speranza a buon mercato.
È una speranza che nasce da un conflitto: quello che si è scatenato sul Calvario. Ce lo ha detto ancora la Sequenza di Pasqua: «Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello», in un conflitto stupefacente.
Che cosa sia “morte”, ce lo ha ricordato, nel venerdì santo, il racconto della passione del Signore. Non si tratta solo dell’ultimo atto, l’ultimo respiro di Gesù sulla croce. La morte è già presente nella scelta del potere religioso e politico di togliere di mezzo Gesù; è già presente nel tradimento di Giuda, nel rinnegamento di Pietro, nella fuga degli apostoli che abbandonano il Signore; è presente nelle menzogne (“fake news”, le chiamiamo oggi, forse per nobilitarle…) che si dicono su di lui, nella folla che si lascia facilmente suggestionare a chiedere la crocifissione; è presente nelle torture e derisioni che i soldati infliggono a Gesù, nell’ingiustizia plateale, per cui il giudice dichiara più volte che Gesù è innocente, e poi lo fa condannare a morte, nelle prese in giro che gli sono rivolte sotto la croce…
Se questo piccolo elenco può darci un’idea di quante possano essere, oggi come allora, le scelte di morte che vogliono sopprimere ogni speranza, dobbiamo però guardare anche l’altro lato del conflitto. L’altro lato è anzitutto quello di Gesù, che va incontro alla morte disarmato, senza altra difesa che, principalmente, il suo abbandono nelle mani del Padre, e la scelta di perseverare nel dono di amore di sé ai fratelli; Gesù che affronta la morte nel segno della verità che si oppone alla menzogna, e del perdono che si oppone all’odio; Gesù che spalanca le porte del paradiso a un ladrone, e promette ai discepoli, che lo abbandonano e lo rinnegano, di riaprire per loro un nuovo cammino…
Riconoscere in Gesù risorto la nostra speranza, vuole dire, dunque: è Lui che ha vinto, in questo conflitto stupefacente. Ma vuol dire ancora: non ci sono altri modi di vincere questo conflitto, che sempre si ripete, e ci attraversa, e attraversa la nostra storia e ogni tempo.
Dobbiamo ricordarcelo, perché, nonostante tutto, noi – anche noi credenti – siamo sempre esposti alla tentazione di pensare che no, è troppo debole, è troppo irrealistica, è troppo da sognatori, da gente che non ha i piedi per terra, che non conosce bene come va il mondo, questa vittoria, la vittoria della croce del Signore, la sua vittoria pasquale. Siamo sempre esposti alla tentazione di fondare su altro le speranze a cui attaccare la nostra vita.
E allora ci aiuta anche ricordare il fatto che, in quel “meraviglioso conflitto”, Gesù non è stato del tutto solo. Perché Dio, il Padre, era con lui, certo (e Gesù stesso lo aveva ricordato ai discepoli, prima della passione: cf. Gv 16,32); ma anche sul versante umano, qualche piccolo segno di conforto gli è stato dato: la sua Madre, e un discepolo fedele, si sono ritrovati sotto la croce; alcune donne lo hanno seguito, e la loro fedeltà ha avuto il premio di scoprire per prime la tomba vuota, il mattino di Pasqua; qualcuno lo ha aiutato a portare la croce, qualcun altro gli ha dato sepoltura… E anche quei discepoli che l’avevano rinnegato e abbandonato, non hanno rinunciato del tutto all’attaccamento per il Maestro e, sia pure con fatica, hanno accolto poco alla volta l’annuncio pasquale…
Dico tutto questo per ricordarci che la speranza di cui parliamo non è solo la “virtù teologale”, come si diceva una volta (e resta vero anche oggi, naturalmente), che rischia però di rimanere un po’ astratta. La speranza assume il volto, non solo del Signore risorto, ma di tutti i piccoli, gli umili, le donne e gli uomini che intessono speranza in gesti quotidiani di amore, di pace, di riconciliazione, di servizio, di cura della vita, di sostegno alle fragilità, di fiducia posta anche in chi non sembra meritarsela…
Riconoscere che Cristo, nostra speranza, è risorto, vuol dire anche imparare a cercare le tracce della sua risurrezione nei piccoli e grandi gesti di speranza che germogliano nel mondo; vuol dire non rimanere troppo a fissare la tomba, segno di morte, e andare incontro alla vita nuova, che in tanti modi germoglia.
E vuol dire, naturalmente, accettare di essere parte di questa novità. È un’accettazione che, in linea di principio, abbiamo fatto nel giorno del nostro battesimo, confessando la nostra fede in Gesù Cristo. La festa di Pasqua oggi ci invita a rinnovare questa adesione al Signore Gesù, morto e risorto, a riporre in lui ogni speranza, a impegnarci per riconoscere la speranza che germoglia anche nel nostro presente così complicato, e per coltivarla con cura ogni giorno, finché la Pasqua del Signore, per la potenza del dono dello Spirito Santo, non abbia trasfigurato ogni cosa.