Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, a Crema, la sera di martedì 6 maggio 2025, la Messa “per l’elezione del Papa”, in vista dell’inizio del Conclave previsto per il 7 maggio. Riportiamo di seguito la sua omelia.
In questi giorni, anche per chi avesse cercato di non entrare nel chiacchiericcio, per non dire nelle montagne di parole, che sono state spese intorno a quel che dovrà essere il profilo del nuovo Papa, è stato difficile sottrarsi del tutto al gioco delle ipotesi, delle previsioni, delle costruzioni di “ritratti” che a volte assomigliano a dei diktat, e hanno la pretesa di dire che “così dovrà essere, così dovrà fare, così dovrà pensare…” chi sarà scelto come nuovo vescovo di Roma, nuovo pastore della Chiesa cattolica tutta.
È difficile, ma cerchiamo decisamente, in questa sera, in questa celebrazione, di non giocare a questo gioco. Chiunque sarà scelto per succedere a papa Francesco, lo guarderemo prima di tutto e soprattutto secondo la prospettiva che ci è indicata dalla fede e dall’insegnamento della Chiesa: sarà il vescovo di Roma, la Chiesa che – secondo l’antica espressione di sant’Ignazio di Antiochia – «presiede nella carità» (cf. Ignazio Ant., Rom., proem.) a tutte le Chiese; sarà per noi, in quanto «successore di Pietro, il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (LG 23).
L’impegno a custodire la comunione con il Papa ci assicura circa il nostro restare nella comunione di tutta la Chiesa, nell’unità di “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6), come scrive Paolo agli Efesini, poco prima del passo che abbiamo ascoltato come prima lettura.
La comunione visibile, ma anche “affettiva”, con il Papa, è uno degli “strumenti” attraverso i quali ci è dato di rispondere all’invito che il Signore rivolge ai suoi discepoli, secondo le parole che abbiamo ascoltato poco fa nel Vangelo:
Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9-11).
La comunione con il Papa, ripeto, contribuisce a farci “rimanere” in Cristo e nel suo amore.
E questo “rimanere” è il punto decisivo, che prepara la promessa di fecondità, che il Signore fa alla fine del brano che abbiamo ascoltato: «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (v. 16); punto che diventa ancor più decisivo, se ricordiamo ciò che il Signore aveva detto poco prima: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (v. 5).
Desidero sottolineare questa alternativa: tra il “senza di lui”, senza Gesù Cristo, che rende la Chiesa completamente sterile, e l’“in lui”, l’inserimento nel suo amore (che, a sua volta, ci inserisce nell’amore del Padre), che è la condizione indispensabile per una fecondità che non viene meno.
La semplicità, per certi versi drammatica, delle parole di Gesù, ci deve rendere attenti: sempre, ma in modo speciale in questo momento della vita della Chiesa e del mondo. «Senza di me non potete far nulla»: non dimentichiamola troppo rapidamente, questa dichiarazione per certi versi “negativa”, ma che è come lo sfondo oscuro sul quale meglio risalta anche la promessa luminosa del frutto sovrabbondante, che il Signore assicura ai suoi discepoli.
Primo segno, e condizione di questa promessa di fecondità, è il comandamento dell’amore vicendevole. Rileggiamolo ancora una volta:
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (vv. 12-14).
Nessuna strategia, nessun progetto di Chiesa, nessuna teoria su come la Chiesa debba muoversi in questo “cambiamento d’epoca” porterà da nessuna parte, io credo, senza il presupposto di una comunità cristiana consapevole che senza il suo Signore Gesù Cristo, senza un legame con Lui forte, convinto, continuamente irrobustito – per il dono dello Spirito Santo – nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nei sacramenti… non può fare nulla; e di una comunità cristiana che fa del comandamento dell’amore vicendevole la sua ossessione, il principio senza o con il quale cade o sta in piedi tutto il resto.
In “tutto il resto” ci sta il ministero di Pietro, così come ci stanno tutti i doni di cui ci ha parlato l’apostolo attraverso le parole della lettera agli Efesini (cf. Ef 4,11 ss.); e ci stanno anche i nostri progetti, ci sta tutto ciò che ognuno di noi, e la nostra Chiesa di Crema, per grazia di Dio, può fare per «edificare il corpo di Cristo» (cf. Ef 4,12), in comunione con il Papa e con tutta la Chiesa, in questo mondo così complicato e in quest’ora così incerta. Ci sta tutto, lo ripeto: ma solo a partire dal radicamento in Gesù Cristo e dall’obbedienza decisa al comandamento dell’amore vicendevole.
In questo spirito, in clima di preghiera, ci disponiamo ad accogliere il dono del nuovo Papa, sicuri che il suo magistero e la sua guida di pastore ci aiuteranno a rimanere profondamente inseriti in Cristo e a vivere la testimonianza della carità vicendevole e verso tutti, perché il Vangelo e la sua potenza di salvezza continuino a essere annunciati e offerti a tutto il mondo.