25 febbraio 2024

Messa per l’Assemblea diocesana di Azione Cattolica

Domenica 25 febbraio 2024 il vescovo Daniele ha presieduto la Messa domenicale al Centro giovanile San Luigi in Crema, in apertura dell’Assemblea diocesana di Azione Cattolica. Riportiamo di seguito il testo dell’omelia.

 

Qualcuno si è preso la briga di contare tutte le parole del vangelo di Marco nel testo greco originale (immagino che la cosa sia stata fatta per tutti i vangeli): secondo questo conteggio, il centro preciso del vangelo sarebbe nella frase di questo racconto della trasfigurazione, dove l’evangelista commenta la proposta di Pietro di costruire tre capanne, e dice: “Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati» (Mc 9,6). Non sembra la frase più adatta, da mettere al centro del vangelo – ammesso che Marco si sia preoccupato di calcolare con precisione la lunghezza del suo testo e che cosa mettere al centro del testo. Però l’osservazione è suggestiva, perché questo possibile “centro” ci rimanda alla conclusione del vangelo, a quel misterioso versetto dove si dice che le donne che erano andate al sepolcro di Gesù, e alle quali era stata data la missione di annunciare ai discepoli la risurrezione di Gesù, «non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (16,8).
È una corrispondenza curiosa: al centro del vangelo i discepoli, sul monte, non sanno che cosa dire, perché hanno paura; alla fine del racconto le donne, dopo la scoperta della tomba vuota, non dicono niente a nessuno, perché sono impaurite!
Come ci ha ricordato fr. Roberto Pasolini, nel ritiro tenuto domenica scorsa nella chiesa di san Carlo, commentando proprio la conclusione del vangelo di Marco, il racconto dell’evangelista proclama il «vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (cf. 1,1), senza timore di confrontare questo annuncio con i sentimenti, le emozioni, che possono essere anche più disturbanti, compresa la paura – pare anzi che in Marco il vocabolario della paura sia particolarmente ricco!
Credo che questo sia di grande conforto per noi, perché ci aiuta a mettere davanti al Signore, senza vergogne e senza censure, i sentimenti che si agitano in noi, e anche quelle “passioni tristi” che a volte ci prendono, quando guardiamo al momento presente del mondo, della Chiesa, forse anche dell’Azione cattolica, e rischiamo lo scoraggiamento, l’incertezza, il dubbio…
Queste cose stanno dentro al Vangelo – inteso non soltanto come testo scritto, ma come realtà vivente nella Chiesa e nei cristiani di oggi – sono anzi al suo centro; e non rappresentano la fine del Vangelo, perché la finale misteriosa del racconto di Marco ci dice che, nonostante la paura delle donne, l’annuncio pasquale è stato dato, e se è stato dato, è perché il Signore è davvero risorto.

Del resto, tornando al racconto della trasfigurazione, vi ritroviamo la stessa “logica”. Dice l’evangelista che «mentre scendevano dal monte, [Gesù] ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti» (vv. 9-10).
Se noi oggi possiamo leggere il racconto, è perché i discepoli a un certo punto l’hanno raccontato: e l’hanno raccontato appunto perché persuasi che Gesù fosse davvero risorto, nonostante i loro dubbi e incertezze, e dunque il silenzio loro imposto dal Signore non aveva più ragion d’essere: quell’episodio ora andava raccontato, e anzi andava messo proprio al cuore, al centro di tutto il racconto evangelico.
Perché il centro del vangelo magari non sarà proprio quel versetto preciso, dove si dice che i discepoli non sapevano che dire, perché avevano paura: ma non c’è dubbio che il racconto della trasfigurazione, nel suo insieme, costituisce proprio il centro del vangelo di Marco.
E in questo centro, che è al tempo stesso una vetta, una cima – anzi il punto fisicamente più alto del vangelo, perché solo qui si parla di un “alto monte” – si ode la voce di Dio, la voce del Padre, che dice: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (v. 8).
In questo centro, che è al tempo stesso un vertice, i discepoli sentono, per la prima e unica volta in tutto il racconto, la voce del Padre. Questa voce, è vero, già era risuonata un’altra volta, nel punto più basso, nel fiume Giordano, quando Gesù era stato battezzato e stava uscendo dalle acque. Allora, però, la voce era rivolta solo a Lui, solo al Figlio, anche se per dire, in definitiva, la stessa cosa che si sente sul monte della Trasfigurazione: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (1,11).
Non ci sono altri passi nei quali risuoni la voce di Dio, in tutto il vangelo: solo la Voce del battesimo e quella della trasfigurazione, la Voce che dice la stessa cosa, una parola sola: dice il Figlio amato, e basta. Dio non ha altro da dirci, o meglio: Dio ci ha detto tutto, non ci ha nascosto nulla; ma ce lo ha detto, e continua a dircelo, nel Figlio amato – quel Figlio che poi il resto del Vangelo aiuterà a scoprire sempre più paradossalmente nel Crocifisso. Ricordiamo la conclusione paradossale del racconto di passione: dopo che Gesù ha esalato l’ultimo respiro, «il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (15,39).

Sì, a volte il vangelo di Marco sembra semplice, ma ci fa girare un po’ la testa! È proprio in questo modo, però, che ci riconduce al centro. E di questo centro noi abbiamo bisogno: perché siamo sempre esposti al rischio di dare per scontato ciò che dovrebbe stare al centro; anche quando ci proponiamo di essere annunciatori del Signore Gesù, di essere suoi testimoni, il rischio di parlare più di noi che di Lui, il rischio di una certa opacità, che non lascia trasparire fino in fondo la luce di Lui (quella luce che lo avvolge sul Tabor…), lo corriamo sempre: come singoli cristiani, come Chiesa, come Associazione…
E la trasparenza di quel centro, naturalmente, passa per l’ascolto di Lui che, in definitiva, dice una cosa sola: l’amore del Padre per noi, per la vita e la salvezza nostra e del mondo, un amore attestato proprio dal fatto che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, il figlio amato (cf. Gen 22,2.12: I lettura), ma «lo ha consegnato per tutti noi»; e dunque «non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (cf. Rm 8,31 s.: II lettura).
Questo è il termine di confronto fondamentale delle nostre paure, delle nostre “passioni tristi”: non sono le innegabili debolezze che ci portiamo dentro, o lo scenario di indifferenza o anche di rifiuto col quale possiamo scontrarci, e neppure i drammi oggettivi e consistenti che attraversano il momento storico che viviamo…
Certo che essere un’Associazione laicale che vuole vivere seriamente il presente significa stare dentro questo contesto, significa non illudersi di poter fermare – come vorrebbe Pietro – l’attimo fuggente di qualche successo o di qualche innegabile gioia: significa scendere sulla pianura della storia quotidiana, ma appunto misurandosi con la verità del Padre, che nel dono del Figlio, Gesù Cristo, ci ha detto tutto e ci ha dato tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Lo Spirito Santo, che invochiamo anche per questa vostra Assemblea, ci aiuti a non dimenticarcelo mai: e se qualche paura dovesse rimanere in noi, sia come quella della donne secondo la conclusione del vangelo di Marco, una paura che le aiuta a voltare le spalle al sepolcro, alla morte, e a mettersi in cammino, fino a quando diventano capaci di trasmettere l’annuncio pasquale.