18 marzo 2024

Messa pasquale “Interforze”

Martedì 18 marzo 2024 il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la celebrazione del precetto pasquale “Interforze”, alla presenza delle autorità civili e militari. Riportiamo di seguito la sua omelia.

 

A che cosa serve la verità?
Possiamo forse partire da questa domanda, per prolungare l’ascolto delle letture della Messa di oggi, letture che ci mettono davanti a due situazioni simili (due donne, accusate da degli uomini, e con possibilità di difendersi scarse o nulle), ma anche molto diverse: perché nel primo caso, per quanto riguarda Susanna (cf. Dn 13,1 ss.), si tratta di una donna innocente, e che viene accusata ingiustamente di adulterio; nel secondo caso, l’adultera portata davanti a Gesù (cf. Gv 8,1-11), si tratta di una donna colpevole, e che è accusata giustamente.
Due storia simili nell’esito, perché alla fine entrambe sono salvate dall’intervento di Dio: per mezzo di Daniele, l’innocente viene riconosciuta nella sua innocenza; per la parola di Gesù, anche la colpevole riceve salvezza…
Su questo sfondo, dunque, riprendo la domanda: a che serve, la verità? Si potrebbe rispondere che è una domanda mal posta: la verità è un valore in sé, e va cercata e difesa comunque, anche quando sembra che non serva a nulla, e anche quando, magari, va contro i nostri interessi e le nostre aspettative.
È senz’altro così: ma le letture di oggi ci aiutano a vedere, anzitutto, il modo in cui la ricerca della verità permette di ristabilire la giustizia in una situazione di ingiustizia, come ci ha raccontato la prima lettura. E ci aiuta a ricordare che la Bibbia ha una grande preoccupazione per la giustizia: il compito principale di chi sta al potere – del re, in particolare, che è la figura “politica” principale, nella Bibbia, ma non solo – è proprio quello di “rendere giustizia”, e di farlo senza favoritismi personali, se mai con una cura particolare per rendere giustizia al povero, a chi non ha mezzi di difesa e di tutela, perché rischia più facilmente di essere vittima dell’ingiustizia, dell’oppressione, che si basano appunto sulla menzogna, sull’inganno, che vanno dall’uso di pesi e misure false per frodare il prossimo, alla falsa testimonianza che abbiamo visto nell’episodio di Susanna, alla pura e semplice prevaricazione del potente (a volte è lo stesso re che commette palese ingiustizia…): e sempre contraffacendo la verità, falsificandola, cercando di occultarla… con procedimenti che, in modi e su scala diversa, ritroviamo purtroppo in tutte le epoche e in tutte le situazioni.
Per la Parola di Dio è chiaro, insomma: senza verità, non c’è giustizia, e senza giustizia non c’è vita sociale possibile. Ed è per questo che spesso Dio è visto come colui che tutela il povero, tutela chi è trattato ingiustamente, chi patisce gli effetti della menzogna e dell’inganno: com’è il caso, appunto, di Susanna.

Tutto questo, naturalmente, aiuta a capire ciò di cui si fanno forza gli scribi e i farisei che portano davanti a Gesù la donna colta in flagrante adulterio. Questa donna non è innocente, come Susanna: ha commesso qualcosa che non è giusto, qualcosa che attenta al bene della famiglia e dunque della società. Naturalmente ci si chiede: e che fine ha fatto l’uomo che era con lei, se i due sono stati sorpresi insieme? Non c’è forse ingiustizia nel fatto che solo la donna sia portata in giudizio?
In ogni modo, qui la verità è chiara, il fatto è lampante, le conseguenze non lasciano dubbi: «Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa» (Gv 8,5). E Gesù sembra in trappola: se conferma la legge, tutta la sua predicazione sulla misericordia, sul perdono, sulla conversione, viene contraddetta; se chiede di lasciar andare libera la donna, si presenta come uno che contesta la legge di Dio, data al popolo attraverso Mosè.
La verità servirà alla giustizia (la donna è colpevole, dev’essere lapidata): ma è questo il solo uso possibile? La risposta di Gesù l’abbiamo sentita: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7). È una risposta famosa e, possiamo dire, “geniale”, nella richiesta che fa agli accusatori di guardare dentro sé stessi, di fare anzitutto la verità in sé stessi, prima di procedere contro qualcuno; ma poi anche in ciò che dice alla donna: perché la verità non è nascosta, non è negata: Gesù riconosce che quella donna ha peccato, non passa sul peccato come se niente fosse. E però: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (v. 11).
C’è stato un peccato, la verità impone di riconoscerlo; ma quella verità può essere usata in altro modo, che come una pietra per colpire e uccidere: può essere usata come via di conversione, come possibilità di rialzarsi, come porta che apre a una vita nuova.

Quello che è accaduto alla donna di cui abbiamo letto nel vangelo, è vero per tutti noi, e la prossima Pasqua ce lo ricorderà. Scrivendo ai Romani, san Paolo ricorda che

“quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,6-10).

Eravamo deboli, dice Paolo; eravamo peccatori, eravamo nemici… Questa è la verità che ci viene ricordata, in una specie di crescendo. Ma Dio ne ha fatto ragione non per abbandonarci, ma per salvarci; non per respingerci, ma per chiamarci alla comunione con sé; non per condannarci, ma per usarci misericordia.
La verità ultima, insomma, è quella dell’amore e della salvezza di Dio. A noi accogliere questo dono, celebrando la Pasqua, e praticando la verità perché ci siano sempre più, nel mondo e nella vita degli uomini, giustizia, misericordia e pace.