23 aprile 2025

Messa in suffragio di Papa Francesco

Il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa in suffragio del Santo Padre Francesco (deceduto il 21 aprile 2025) nella Cattedrale di Crema, mercoledì 23 aprile 2025. Al posto dell’omelia, ha letto un estratto del Discorso che Papa Francesco aveva indirizzato all’episcopato brasiliano, a Rio de Janeiro, il 27 luglio 2013. Il testo è riportato qui di seguito, mentre il Discorso completo si può leggere a questo link.

 

… non bisogna cedere alla paura di cui parlava il beato John Henry Newman: «Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia» (Letter of 26 January 1833, in: The Letters and Diaries of John Henry Newman, vol. III, Oxford 1979, p. 204.)
Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti.

Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus (cfr Lc 24, 13-15). I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21). Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa – la loro Gerusalemme – non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione.
Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta.
Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.

Di fronte a questa situazione che cosa fare?

Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso.

La globalizzazione implacabile e l’intensa urbanizzazione spesso selvagge, hanno promesso molto. Tanti si sono innamorati delle loro potenzialità e in essa c’è qualcosa di veramente positivo, come, per esempio, la diminuzione delle distanze, l’avvicinamento tra le persone e le culture, la diffusione dell’informazione e dei servizi. Ma, dall’altro lato, molti vivevano i loro effetti negativi senza rendersi conto di come essi pregiudicano la propria visione dell’uomo e del mondo, generando maggiore disorientamento, e un vuoto che non riescono a spiegare. Alcuni di questi effetti sono la confusione circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenere a un “nido”, la mancanza di un luogo e di legami profondi.

E siccome non c’è chi li accompagni e mostri con la propria vita il vero cammino, molti hanno cercato scorciatoie, perché appare troppo alta la “misura” della Grande Chiesa. Ci sono anche quelli che riconoscono l’ideale dell’uomo e di vita proposto dalla Chiesa, ma non hanno l’audacia di abbracciarlo.
Pensano che questo ideale sia troppo grande per loro, sia fuori delle loro possibilità; la meta a cui tendere è irraggiungibile. Tuttavia non possono vivere senza avere almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che sembra troppo alto e lontano. Con la disillusione nel cuore, vanno alla ricerca di qualcosa che li illuda ancora una volta, o si rassegnano ad una adesione parziale, che, in definitiva, non riesce a dare pienezza alla loro vita.

Il grande senso di abbandono e di solitudine, di non appartenenza neanche a se stessi che spesso emerge da questa situazione, è troppo doloroso per essere messo a tacere. C’è bisogno di uno sfogo e allora resta la via del lamento. Ma anche il lamento diventa a sua volta come un boomerang che torna indietro e finisce per aumentare l’infelicità. Poca gente è ancora capace di ascoltare il dolore; bisogna almeno anestetizzarlo.

Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.

Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli… Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?

Tanti se ne sono andati poiché è stato loro promesso qualcosa di più alto, qualcosa di più forte, qualcosa di più veloce.

Ma c’è qualcosa di più alto dell’amore rivelato a Gerusalemme? Nulla è più alto dell’abbassamento della Croce, poiché lì si raggiunge veramente l’altezza dell’amore! Siamo ancora in grado di mostrare questa verità a coloro che pensano che la vera altezza della vita sia altrove?

Si conosce qualcosa di più forte della potenza nascosta nella fragilità dell’amore, del bene, della verità, della bellezza?

La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci… E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare.
Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siano orfani! In essa siamo nati. Dov’è la nostra Gerusalemme, dove siamo nati? Nel Battesimo, nel primo incontro di amore, nella chiamata, nella vocazione!
Serve una Chiesa che torni a portare calore, ad accendere il cuore.

Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo. […]