Natale del Signore 2023

Messa della Notte di Natale

Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la Veglia di preghiera e la Santa Messa della Notte di Natale. Riportiamo di seguito la sua omelia.

Questo è il settimo Natale che celebro con voi, con questa bella Chiesa di Crema che mi è stata affidata come vescovo. Nella Bibbia, sette è un numero speciale, che rimanda a qualcosa di completo, di pieno… Non che io consideri “completo” il mio ministero, senza dubbio: è anzi assai manchevole! Diciamo semplicemente che questo numero mi ha indotto a riprendere in mano l’insieme di ciò che ho cercato di dire, in questi anni, nel contesto della celebrazione del Natale (se volete, anche solo allo scopo di non ripetere meccanicamente cose già dette altre volte).
E l’esito di questa ricognizione è stato deludente. Deludente perché l’insieme dei problemi, delle domande, delle situazioni e tribolazioni con le quali si confronta la buona notizia, il “vangelo” della nascita del Figlio di Dio nella nostra condizione umana, mi sembra ancora tutto lì, immutato e anzi peggiorato.
Sarebbe naturalmente presuntuoso, da parte mia, pensare che anche solo qualche cambiamento, in tutte queste realtà, potesse dipendere dalla mia parola, ci mancherebbe! Ma ho avuto la sensazione che, con il passare degli anni, il complesso delle cose – l’atmosfera globale, diciamo, del nostro vivere –, si sia fatto sempre più irrespirabile; che l’insieme dei problemi si sia complicato; che sempre nuovi motivi di ansietà e di insoddisfazione siano venuti ad appesantire i nostri cuori.
Questa percezione è senz’altro parziale: e non voglio dimenticare le tante forme di bene, il più delle volte compiuto nascostamente, che pure ci sono senz’altro nel nostro ambiente e nel nostro mondo.
Mi sembra, tuttavia, di non essere l’unico ad avvertire questa sensazione crescente di fatica, di appesantimento – che, tra l’altro, sembra molto sentita soprattutto da chi è più giovane. Ma che cosa ha da dirci, allora, in questo contesto, il ripetersi della celebrazione del Natale?

Ha da dirci prima di tutto, mi sembra, una parola di solidarietà. Perché senza dubbio ci sono uomini, donne e bambini, ci sono persone e intere comunità, che vivono la celebrazione del Natale in condizioni oggettive di pericolo, di minaccia per la loro stessa vita, sotto il peso delle guerre, della violenza, della malattia, della fame, dell’insicurezza…
Per tanti, per troppi, queste cose non sono vaghe sensazioni psicologiche, forme di malumore o di stanchezza, no: sono un dramma concretissimo, sono vite, persone che non sanno se arriveranno a domani, a dopodomani, e come eventualmente sarà, questo loro futuro appeso, umanamente, a quasi nulla.
Se dovessero esserci, nel nostro Natale, ombre, fatiche, disillusioni, amarezze e stanchezze di vario genere… ebbene, viviamo tutto questo come vicinanza spirituale e di preghiera con chi certamente non passerà un buon Natale, vicino o lontano che sia da noi.

Una seconda sfaccettatura. Se davvero, con il passare del tempo, abbiamo l’impressione che tante cose, nella nostra vita personale e in ciò che accade nel mondo, peggiorino, allora possiamo capire meglio, e accogliere in modo più profondo, l’annuncio del Natale come annuncio della nascita di un Salvatore.
È ciò che gli angeli, nella notte di Natale, proclamano ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
Forse abbiamo un po’ trascurato questo “titolo”, questa qualifica di “salvatore”, che gli angeli riferiscono al Bambino nato a Betlemme – e che abbiamo sentito anche nelle parole dell’apostolo Paolo, nella seconda lettura, dove si parla appunto «del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13).
L’abbiamo trascurata, questa parola di salvezza che viene da Dio, perché siano convinti di avere sempre le risorse per cavarcela; o forse anche, addirittura, perché disperiamo che possa esserci salvezza, e non aspettiamo più una salvezza che vada alla radice dei nostri mali, che ci faccia riconoscere che, con tutta la più buona volontà, non siamo in grado di salvarci da soli: e non solo per ciò che la fede cristiana continua a chiamare la “salvezza eterna”: ma non siamo neppure in grado, da soli, di dare compimento ai nostri desideri più profondi di verità, di bontà, di giustizia, di pace… e di vederle, queste cose, realizzate nel nostro mondo e nel nostro tempo.

Nella notte di Natale, questa salvezza, o meglio questo salvatore, ci aspetta nel segno che è stato dato ai pastori: «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12). Un segno di salvezza, un salvatore che può sembrare persino deludente, anche se magari ci fa tenerezza!
Ma è perché questa salvezza non si impone come qualcosa di schiacciante, come un potere di questo mondo in lotta con altri poteri. Questa salvezza, questo salvatore, chiede di essere accolto: e la cosa non va da sé, se è vero che egli viene deposto in una mangiatoia – il praesepe, in latino – «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7).
Accolto nella fede, senza dubbio: perché solo nella fede possiamo riconoscere il Salvatore del mondo nel bambino posto in fasce nella mangiatoia, e nell’uomo che muore in croce, respinto come un delinquente.
Ma accolto anche in tutti coloro nei quali Egli si fa presente, senza mai imporsi, perché il paradosso di questo Salvatore, fin dalla prima ora del suo manifestarsi nel mondo (questa ora della sua nascita), è che si fa incontrare in chi sembra incapace di dare salvezza, e ne sembra anzi bisognoso. Perché noi incontriamo il Salvatore riconoscendo il nostro bisogno di salvezza, e accogliendolo in chiunque venga a noi chiedendo attenzione, cura premurosa, rispetto e carità fraterna, solidarietà e dedizione.
Se lo accoglieremo così, la luce accesa da questo Bambino nella notte di Natale potrà diradare le tenebre del mondo, e prima di tutto quelle dei nostri cuori; e potrà sostenere la speranza che l’amore fedele di Dio, manifestato nel suo Figlio Gesù, sta davvero conducendo il mondo e la storia verso la salvezza.