Natale del Signore 20213

Messa del giorno di Natale

Pubblichiamo l’omelia del vescovo Daniele, tenuta nella solenne celebrazione eucaristica del Natale del Signore, in Cattedrale a Crema, il 25 dicembre 2023

 

C’è una distanza, che sembra separare da una parte la poesia notturna del Natale, con il Bambino deposto nella mangiatoia, Maria e Giuseppe, l’asino e il bue, gli angeli e i pastori… insomma il Presepe e, dall’altra, la liturgia del giorno, quella che stiamo celebrando, con i suoi testi più teologici e complessi, le sue categorie più profonde, sì, ma che ci sembrano anche più lontane…
Questa distanza si riduce di molto, e anzi scompare, se guardiamo le cose un po’ più da vicino, se ci prendiamo per un momento la briga di approfondire. Naturalmente, il punto centrale da approfondire sarebbe quella frase del Prologo del Vangelo di Giovanni, che abbiamo appena ascoltato, che proclama: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14)
Dire «Verbo», nel linguaggio di Giovanni e della Bibbia, significa dire Dio, Parola eterna e creatrice, principio di esistenza e di vita che non viene meno; dire «carne», significa dire questa nostra realtà di creature fragili e deboli: ma ormai non sono più realtà lontane e contrapposte, ormai, in quel Bambino nato a Betlemme, Dio e uomo, Dio e creatura, sono per sempre unite, hanno fatto alleanza per sempre.
E si può dire che ormai Dio, nel suo Figlio Gesù che è nato tra noi, ha “messo su casa” in mezzo agli uomini: «è venuto ad abitare in mezzo a noi», come dice appunto il vangelo di Giovanni.
Poco prima, però, l’evangelista aveva anche detto che quella Parola «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (v. 11). E anche qui il pensiero torna subito al presepio, torna al vangelo della Messa della notte, dove sentivamo dire che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7).
Già: la mangiatoia (praesepe, in latino) salta fuori come giaciglio di fortuna, come rimedio improvvisato, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio».

Vorrei riflettere un momento con voi proprio su questa mancanza di posto, sul fatto che Dio entra nel mondo, ma fa i conti con il rifiuto: «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto».
Questa frase è detta al passato, ma descrive benissimo anche il nostro presente: che è appunto un presente nel quale, per moltissime persone, e per gran parte della cultura, dell’economia, delle scienze, dei comportamenti quotidiani, Dio, semplicemente, non esiste: non c’è posto per lui, dove alloggiano i grandi motori, le grandi dinamiche che determinano la vita di una larghissima parte della nostra società.
Più che recriminare su questo, però, preferisco sottolineare che cosa tutto ciò significa per Dio stesso, per il Dio in cui crediamo, quel Dio che possiamo conoscere, nella fede, perché Gesù Cristo «ce lo ho rivelato» (cf. Gv 1,18): questo Dio, il nostro Dio, è un Dio che non si impone.
E questo vuol dire, da una parte, che Dio stesso non vuole venire verso l’uomo con il peso schiacciante e inevitabile della sua potenza divina: viene, invece, nella piccolezza e fragilità priva di potere e di forza, e che domanda umilmente di essere accolta.
E questo “non si impone” vuol anche dire che a nessuno è lecito imporre agli altri Dio, la credenza in Lui, l’obbedienza ai suoi precetti… Dio può essere annunciato e testimoniato solo con i mezzi che Lui stesso ha scelto per venire verso di noi: e sono, per dirla in breve, quei mezzi che stanno tra l’umiltà del presepe e l’umiliazione della croce; sono i mezzi che stanno tra il Natale e la Pasqua, e che risplendono nella vita, nelle parole, nei gesti di Gesù Cristo.
Dio non si impone con la forza o con la violenza, e neanche con la seduzione, la persuasione umana, il potere economico, il ricatto… Perché il Dio in cui crediamo, il Dio di Gesù Cristo, non vuole essere un padrone che comanda su degli schiavi, ma un Padre che condivide ciò che è e ciò che ha nella libertà che vuole per i suoi figli.
Perché appunto (dice ancora il vangelo di Giovanni), Dio «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,11-12). Dio non promette, a quanti lo accolgano, risorse più potenti, armi che garantiscono la vittoria: non assicura più successo, maggior conoscenza, forza invincibile… No, assicura questa sola cosa: la possibilità, forse potremmo intendere anche meglio, la “libertà” di essere suoi figli: che è poi la libertà di Gesù, il Figlio prediletto; la libertà di conoscere Dio nello spazio della confidenza e dell’amicizia; e la libertà, allora, di fare della propria vita qualcosa di bello e significativo, attraverso il dono di se stessi nell’amore.
Come ha fatto, appunto, Gesù Cristo: il quale intende questa libertà, questo “potere”, esattamente come il potere di “dare la vita” (cf. Gv 10,18); perché solo dentro questa libertà si può decidere che il senso della vita non è difenderla come se fosse un bottino da tenere in cassaforte, ma spenderla generosamente con la stessa libertà dell’amore di Dio.

Non so con che spirito viviamo questo Natale, se non sia un Natale segnato da molti motivi di pessimismo.
Se ci addolora il fatto che nel mondo sembrano prevalere le ragioni della violenza e dell’esclusione, rispetto a quelle dell’accoglienza e della fraternità; della guerra, rispetto alla pace e alla ricerca paziente di strade di giustizia e rispetto della dignità di tutti; della menzogna e dell’inganno, rispetto alla verità e alla comunicazione corretta; dell’interesse economico di pochi, rispetto alla vita dignitosa di tutti… ecco, se queste e tante altre cose simili ci preoccupano e ci addolorano, forse è il caso di chiederci: ma non è che questo dipenda anche dal fatto non ci sia più posto per Dio, in tanta parte del nostro mondo e della nostra società?
E poi di chiederci ancora: e noi, e io, che mi professo credente, cristiano, che sono qui a celebrare il Natale, come posso testimoniare la mia accoglienza di Dio – e prima ancora il fatto che Lui mi accoglie come suo figlio? Come posso mettere la mia libertà di figlio di Dio a servizio di un’umanità, di una creazione, che siano davvero riflesso dell’amore di Dio? Come posso contribuire a far crescere germogli di giustizia, di verità, di pace, di fraternità, di condivisione…?
L’augurio sincero di un buon santo Natale non può prescindere da domande come queste: non per appesantirci ulteriormente, ma per sperimentare la gioia piena, la gioia di chi sa che Dio, in Gesù Cristo, ha messo su casa nel nostro mondo, nella nostra storia, e li vuole condurre alla sua salvezza e alla sua pace.