Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, nella mattinata di giovedì 17 aprile 2025, la Messa del Crisma, concelebrata con i presbiteri della diocesi, che hanno rinnovato gli impegni del ministero al quale sono stati chiamati da Dio; durante la celebrazione, il vescovo ha benedetto gli Oli degli infermi, dei catecumeni, e il santo Crisma. Riportiamo di seguito il saluto iniziale e l’omelia del vescovo.
Saluto iniziale
Saluto affettuosamente e con riconoscenza tutti voi, qui radunati in Cattedrale per questa santa Messa del Crisma, nel contesto dell’Anno giubilare: saluto i fedeli di ogni età e condizione, i consacrati e le consacrate (e anche quanti sono collegati attraverso la radio o la diretta streaming), i diaconi e poi, in modo speciale, il presbiterio diocesano, e anche i presbiteri di altre Chiese, o di istituti religiosi, che svolgono il loro ministero tra di noi in questi giorni.
Il nostro saluto va anche a tutti i confratelli che, per ragioni di età e di salute, non sono qui con noi; in particolare ricordiamo il decano del nostro presbiterio, don Ennio Raimondi, ospite della Residenza ‘Camillo Lucchi’; e don Giovanni Terzi, che aveva sperato di partecipare a questa celebrazione e che invece, anche a causa delle condizioni atmosferiche, è rimasto nella residenza sacerdotale di S. Angelo Lodigiano.
Anche don Luciano Cappelli, che celebra quest’anno il sessantacinquesimo anniversario di ordinazione presbiterale, è dispiaciuto di non essere con noi, per qualche problema ai bronchi, e ci saluta: lo ricordiamo cordialmente.
Abbiamo la gioia di celebrare i cinquant’anni di ordinazione di don Piero Lunghi, di don Mario Pavesi e del nostro carissimo p. Alberto Sambusiti, missionario del PIME; nei prossimi mesi, a Dio piacendo, festeggeremo lo stesso anniversario anche con mons. Franco Manenti, vescovo di Senigallia, e con il mio predecessore, il card. Oscar Cantoni, vescovo di Como.
Quarant’anni fa venivano ordinati presbiteri mons. Angelo Lameri e don Gian Battista Strada: con loro ricordiamo anche don Maurizio Vailati e p. Gigi Maccalli; e, arrivando ai più giovani, ringraziamo Dio per il decimo anniversario di ordinazione di p. Arnold Mukoso, dei Missionari dello Spirito Santo, e di don Arsène Mpole, della diocesi di Vigevano, ma in servizio nella nostra Chiesa.
Saluto p. Giuseppe Mizzotti, che concelebra in questa nostra liturgia e, insieme con p. Alberto, ci permette di ricordare così tutti i missionari e missionarie originari della nostra Chiesa. Ieri sera ho potuto chiamare don Paolo Rocca e don Maurizio Vailati, e anche mia nipote Benedetta: volentieri vi trasmetto i loro saluti e auguri pasquali dall’Uruguay; come pure i saluti di don Enrico Gaffuri, che da poco ha avviato il suo nuovo ministero di cappellano militare.
Sono con noi i seminaristi, Gianni, Matteo e Riccardo, che continuano la loro formazione presso il Seminario di Bergamo: preghiamo per loro, per tutti i seminaristi, per le ragazze e i giovani della diocesi chiamati alla vita consacrata, o che stanno compiendo un cammino di discernimento vocazionale: non stanchiamoci di invocare da Dio il dono di numerose e sante vocazioni.
Poco meno di un anno fa ha concluso il suo pellegrinaggio terreno don Isacco Dognini: preghiamo con riconoscenza per lui, e per tutti i presbiteri e vescovi defunti della nostra Chiesa, perché siano resi partecipi della beatitudine eterna.
Il Signore Gesù, anche attraverso questa celebrazione, ci conceda di vivere sempre più e meglio quel sacerdozio attraverso il quale, con doni diversi, tutti siamo a servizio di Dio e del suo amore per l’umanità e per il mondo intero.
Omelia
L’omelia di dieci parole, con la quale Gesù commenta il testo di Isaia, di cui lui stesso si è fatto lettore nella sinagoga di Nazaret – la mia ne avrà qualcuna in più, e vi ringrazio in anticipo per la pazienza dell’ascolto – annuncia il compimento della profezia nell’oggi della sua Persona e della sua presenza: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).
Questo “oggi”, come sappiamo, è una delle note caratteristiche del vangelo di Luca: risuona per la prima volta nelle parole dell’angelo, che annuncia ai pastori la nascita del Salvatore (cf. 2,11); e ritornerà ancora nel racconto lucano, fino all’ultimo “oggi”, che abbiamo sentito sulle labbra di Gesù, nel racconto della passione, domenica scorsa, come penultima parola del Gesù terreno, rivolta al malfattore crocifisso accanto a lui: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (23,43).
Nessuno, evidentemente, può dire “oggi” con la stessa forza, con la stessa pregnanza di verità, di Gesù: perché lui non solo annuncia, ma è in persona l’oggi della salvezza. Ciò che stiamo celebrando qui, in questo giorno, con le parole e i gesti di questa santa Messa del Crisma, ci ricorda però che l’unzione dello Spirito, che ha consacrato Gesù e lo ha costituito per portare ai poveri il lieto annunzio, non riguarda solo lui, ma anche tutti noi: tutti noi come popolo di Dio qui radunato perché, come diremo poi nel Prefazio, il Signore Gesù «comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti»; ed è per questo che il veggente dell’Apocalisse glorifica «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,5 s.); e poi tutti noi come presbiterio, perché – cito ancora il Prefazio – «nel suo amore per i fratelli [Cristo] sceglie alcuni che, mediante l’imposizione delle mani, rende partecipi del suo ministero di salvezza».
L’“oggi” del Vangelo è dunque anche per noi. Lo è, anzitutto, come certezza di un dono, dato una volta per tutte e “senza pentimento” da Dio (cf. Rm 11,29): noi sappiamo che, in Gesù Cristo, «tutte tutte le promesse di Dio sono “sì”. Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria. È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,20-22): così anche Paolo, scrivendo ai Corinzi, associa l’unzione dello Spirito con la ferma certezza di un dono di salvezza già ricevuto, e ricevuto per sempre.
L’“oggi” della salvezza di Dio in Gesù Cristo ci è consegnato, però, anche come compito. Siamo chiamati da Dio a essere strumento – “sacramento”, anzi, dovremmo dire – di questo “oggi”, perché Dio sia riconosciuto e accolto nel mondo come sorgente perenne di vita e di salvezza. Questo, mi sembra, è il senso del “sacerdozio” affidato dal Signore a tutta la sua Chiesa e, secondo una vocazione particolare, ai presbiteri.
Il che, prima di tutto, vuol dire: mettiamo da parte ogni sterile nostalgia per il passato, e ogni ansia affannosa per il futuro. La cosa vale per le comunità cristiane, nelle quali la Chiesa concretamente si fa visibile, e che sono il sacramento della presenza salvifica di Dio, del suo “oggi”, in mezzo all’umanità; e vale per noi presbiteri (e vescovo), e per il ministero che ci è stato affidato.
Guardiamo con rispetto e riconoscenza a chi ci ha preceduto, e forse ha vissuto il ministero in condizioni che noi possiamo anche giudicare più facili; ma se il nostro ministero è al servizio di Dio e del suo progetto di salvezza, trae la sua forza non dalle condizioni esterne, ma dal dono di Dio e dalla sua chiamata. E se Dio ci chiama a essere Chiesa, e a essere preti, in questo tempo, in questo “oggi”, possiamo star sicuri che non mancherà di sostenerci e guidarci.
E per quanto riguarda il domani: non possiamo prevederlo più di tanto. Ma la cura attenta e premurosa per come viviamo oggi il nostro ministero, per come le comunità cristiane cercano di essere segno trasparente della vita buona e piena, che Dio continua a offrire al mondo in Gesù Cristo, è l’aiuto migliore che possiamo dare a chi verrà dopo di noi, pochi o tanti che siano.
Per usare un’immagine semplice: se trascuriamo oggi la manutenzione e il buon stato di un edificio, inevitabilmente chi verrà dopo avrà molti più problemi da affrontare. Lo sappiamo per i tanti, forse troppi, edifici di cui dobbiamo prenderci cura: ma la cosa, evidentemente, vale a maggior ragione per l’edificio di Dio (cf. 1Cor 3,9), che è la sua Chiesa santa.
La celebrazione che stiamo vivendo ci ricorda anche quali sono alcuni degli strumenti che Dio mette nelle nostre mani: abbiamo il dono della Parola di Dio, quella che appunto giunge alla sua pienezza in Cristo; abbiamo i suoi santi segni, i sacramenti, a cui rimandano gli oli, sui quali invocheremo tra poco la benedizione di Dio, e l’Eucaristia, che proprio in questo giorno il Signore dona ai discepoli. Sappiamo che il Signore Gesù, morto e risorto, si fa presente in questi doni, come si fa presente nelle comunità riunite nel suo nome, nei tanti gesti di servizio, di carità, di comunione, che vi si compiono, e nel nostro stesso ministero…
E siamo consapevoli del fatto che, nel suo Spirito, Cristo manifesta la sua presenza anche in persone e comunità che a volte giudichiamo estranee alla nostra “cerchia”. Chiediamo di saper riconoscere e custodire con amore tutti i segni che ci mostrano il tempo presente come tempo di grazia, come un “oggi” di salvezza.
Ed è in questo “oggi”, assunto fedelmente, lietamente, giorno per giorno, che chiediamo a Dio di mantenerci aperti alle sue sorprese; chiediamo di essere vigilanti, come servi fedeli che aspettano la “visita” di Dio, senza poter prevedere quando e in che modi essa arriverà: nel nostro personale cammino di fede, nelle necessità della Chiesa, come pure nelle crisi personali o storiche che dovremmo poter attraversare…
L’“oggi”, nel quale siamo chiamati a custodire il dono che Dio ci ha fatto, non è ancora il “tutto”, non è ancora il compimento al quale guardiamo, forti della speranza che “non delude”. Ce lo ha ricordato l’apostolo Paolo, nella quinta domenica di Quaresima. Come lui, anche noi, ben radicati nell’oggi della salvezza di Dio, diciamo: «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (Fil 3,12).
