Medio Oriente e Mediterraneo: intervento del vescovo Daniele dopo il viaggio in Armenia

Intervento pubblicato su Il nuovo Torrazzo del 30 giugno 2018

Papa Francesco invita a Bari, il 7 luglio, i Patriarchi e i capi delle Chiese Orientali Cattoliche e Ortodosse, per una giornata di preghiera e riflessione sulla situazione del Medio Oriente, che avrà per tema:«Su di te sia pace! Cristiani insieme per il Medio Oriente». Il Papa ha già chiesto a tuttele diocesi di sostenere con la preghiera questa iniziativa e, a quanto è dato sapere, rinnoverà questa richiesta nell’Angelusdi domenica 1 luglio.

Di rientro dalla visita-pellegrinaggio in Armenia, faccio mio questo appello. La Chiesa armena appartiene a quelle Chiese i cui capi sono stati invitati dal Papa: i suoi fedeli costituiscono per la maggior parte la Chiesa apostolica armena, separata dalla Chiesa cattolica; vi è poi una consistente minoranza in comunione con Roma, la Chiesa cattolica armena: le due comunità hanno, in pratica, la stessa tradizione, la stessa liturgia, una disciplina molto simile… A quanto abbiamo potuto capire, esse vivono un buon rapporto reciproco, rafforzato dalla comune identità armena, che implica una lunga storia di fede e di identità culturale, spesso in conflitto con i grandi paesi vicini – in particolare, in questo caso, con i Turchi. Le visite in Armenia di s. Giovanni Paolo II (settembre 2001) e di papa Francesco (giugno 2016) hanno contribuito a manifestare la vicinanza tra Chiesa armena apostolica e Chiesa cattolica.

Gli Armeni hanno già sperimentato più volte, nei secoli, il dramma che oggi vivono quasi tutti i cristiani del Medio Oriente: l’insicurezza, le persecuzioni, le incertezze dell’avvenire… Hanno già conosciuto la condizione di dispersione o «diaspora», che fa sì che la maggior parte di questi nostri fratelli di fede viva ormai sparso nel mondo, e abbia dovuto abbandonare i propri paesi e le terre che furono culla del cristianesimo: terre che sono state, e in parte sono ancora (cf. Siria) teatro di violenze e devastazioni che hanno reso ancor più precaria e difficile la presenza cristiana.

Non sempre noi, cristiani d’Occidente, siamo stati sufficientemente attenti a queste vicende: forse conosciamo troppo poco, e non stimiamo abbastanza, l’importanza della presenza cristiana in Oriente. L’incontro del 7 luglio può essere un’occasione propizia per uscire dai nostri orizzonti ristretti e, per lo meno nella conoscenza e nella preghiera, avvicinarci al destino così fragile del cristianesimo d’Oriente – e insieme invocare da Dio una pace vera fra tutti i popoli e tutte le religioni che vivono in quelle regioni.

Ma la visita in Armenia mi porta a un’altra riflessione, che vorrei condividere. Abbiamo sostato nei luoghi che commemorano il genocidio subito dagli Armeni ad opera della Turchia, in vari episodi culminati negli eventi del 1915-16. Gli Armeni costituivano, nel grande impero Ottomano, una minoranza che, per varie ragioni, «dava fastidio»: e la «soluzione» fu, appunto, il tentativo di sterminarli – si calcola che il numero delle vittime, in quello che spesso viene ricordato come il primo genocidio del XX secolo, si avvicini al milione e mezzo (per dare una cifra di riferimento: nell’attuale Repubblica di Armenia vivono circa tre milioni di Armeni).

Quando si guarda con questi occhi e con la memoria di questi fatti a ciò che stiamo vivendo oggi, non si può non restare seriamente preoccupati: quando si sente parlare di censimento di qualche minoranza etnica, non si può non rabbrividire; e quando si pensa a come gli Armeni trovarono accoglienza in vari paesi del Medio Oriente e dell’Europa, e anche negli USA, non ci si può non chiedere: che cosa sta succedendo oggi? Che cosa è andato smarrito?

Concludo, allora, facendo mie alcune domande di un documento pubblicato il 24 giugno dal Consiglio pastorale di Milano e dall’arcivescovo Delpini: «Che cosa sta succedendo nel Mediterraneo, in Italia e in Europa? I cristiani che sono cittadini italiani vorrebbero sapere, vorrebbero capire. Può bastare un titolo di giornale per leggere una situazione? Può bastare uno slogan per giustificare una decisione?…

Quello che succede, nel Mediterraneo, in Italia e in Europa può lasciare indifferenti i cristiani? Possono i cristiani stare tranquilli e ignorare i drammi che si svolgono sotto i loro occhi? Possono coloro che partecipano alla Messa della domenica essere muti e sordi di fronte al dramma di tanti poveri, che sono, per i discepoli del Signore, fratelli e sorelle? Gli innumerevoli gesti di solidarietà, la straordinaria generosità delle nostre comunità può consentire di “avere la coscienza a posto” mentre intorno a noi c’è gente che soffre troppo, che fa troppa fatica, che paga a troppo caro prezzo una speranza di libertà e di benessere?

Di fronte al fenomeno tanto complesso della mobilità umana, delle migrazioni, delle tragedie che convincono ad affrontare qualsiasi pericolo e sofferenza pur di scappare dal proprio paese, la comunità internazionale, l’Europa, l’Italia possono rassegnarsi all’impotenza, a interventi maldestri, a logorarsi in discussioni e contenziosi, mentre uomini e donne, bambini e bambine muoiono in mare, vittime di mercanti di esseri umani?».

Penso che dobbiamo lasciarci pungolare da queste domande: e, come si dice ancora alla fine del documento citato, desidero anch’io «che nessuno rimanga indifferente, che nessuno dorma tranquillo, che nessuno si sottragga a una preghiera, che nessuno declini le sue responsabilità».