30 aprile 2025

Giubileo dei lavoratori e degli imprenditori

Pubblichiamo di seguito l’omelia tenuta dal vescovo Daniele in occasione del Giubileo diocesano dei lavoratori e degli imprenditori, nella Messa che ha presieduto a S. Maria della Croce, mercoledì 30 aprile 2025.

 

Il Giubileo, per come lo conosciamo e lo viviamo oggi nella Chiesa, ha due radici ben distinte. La prima è quella più recente, ed è alla base del Giubileo quale fu celebrato in modo più o meno regolare a partire dal 1300, sotto il papa Bonifacio VIII; e che aveva come suoi retroterra, tra l’altro, ciò che noi conosciamo come il “perdono d’Assisi”, richiesto da san Francesco al Papa Onorio III e celebrato per la prima volta nel 1216, e la ”perdonanza celestiniana” celebrata all’Aquila nel 1294.
È il Giubileo che vuole esprimere l’attenzione, la vicinanza della Chiesa ai peccatori: in un’epoca nella quale il peccato, e le dure penitenze richieste per la remissione dei peccati, erano sentiti con molta più intensità di adesso, la Chiesa ha avvertito il bisogno di sostenere e accompagnare il cammino penitenziale di tante persone, e offrire loro gli strumenti della misericordia e dell’accompagnamento amorevole – ciò che chiamiamo l’“indulgenza”, anche se noi forse la intendiamo in modo un po’ distorto.

Molto più antica, ma riscoperta di fatto solo recentemente, è invece la seconda radice del Giubileo, quella biblica. Alla luce della prima lettura, con il racconto della creazione culminante nel settimo giorno, il giorno di sabato, il giorno del riposo di Dio e dell’uomo (cf. Gen 2,1-3), possiamo dire che il Giubileo biblico è un’estensione del sabato e dell’anno sabbatico.
Il “riposo” dell’uomo, e anzi di tutta la creazione, conosce infatti tre “gradazioni”, nella Bibbia: il sabato ogni sette giorni, l’anno sabbatico ogni sette anni, e il Giubileo ogni sette settimane di anni, quindi ogni cinquant’anni.
Oggi noi siamo più sensibili alle prospettive del Giubileo biblico, perché siamo più attenti (almeno a parole) alle implicazioni sociali e meno, invece, alla forza del male e del peccato, che gli uomini e le donne del Medioevo sentivano con molta più rilevanza. Ma è importante tenere unite le due prospettive: e provo a suggerire qualche spunto, al riguardo.

Lasciamoci guidare anzitutto dal ricordo del Giubileo biblico, e del suo “prototipo”, che è l’anno sabbatico. Così come c’è un giorno di riposo nella settimana, anche nel ritmo degli anni la legge di Dio prescrive un anno di riposo per la terra, ogni sette anni. La Bibbia ne parla nel libro del Levitico, subito prima di parlare del Giubileo – il quale, ripeto, è in definitiva un’estensione dell’anno sabbatico.

Vi leggo alcuni versetti del testo biblico relativi all’anno sabbatico:

    Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dopo la tua mietitura e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e all’ospite che si troverà presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà. (Lv 25,1-7).

Non entriamo adesso nelle implicazioni pratiche di queste norme, e di come potessero essere osservate. È più importante ricordare che hanno sullo sfondo l’esperienza negativa che gli Ebrei avevano vissuto in Egitto, quando erano schiavi e si erano visti aumentare progressivamente il carico di lavoro, in condizioni diventate sempre più opprimenti e difficili (cf. Es 1-2).
Un po’ sinteticamente, potremmo dire così: il faraone comanda il lavoro, fino allo sfinimento; Dio, che è il Dio liberatore, che ha tratto fuori Israele dalla terra di Egitto, comanda invece il riposo, per l’uomo, per gli animali, per la terra e la creazione tutta.*
Il faraone esiste ancora oggi, sotto tanti nomi e tanti travestimenti; e ancora oggi comanda condizioni di lavoro insostenibili, spesso orientate al profitto per il profitto, non rispettose della dignità e della sicurezza della persona, e predatorie nei confronti del creato.
Ancora oggi, anche attraverso il Giubileo – che prescrive anche il ritorno alla proprietà originaria della terra e, soprattutto, comanda la liberazione degli schiavi –, Dio continua a chiedere non già la scomparsa del lavoro (il testo che abbiamo ascoltato all’inizio del nostro pellegrinaggio ci ricorda che il lavoro appartiene alla condizione originaria dell’uomo, secondo il progetto di Dio), ma che il lavoro sia vissuto in modo degno, che non diventi una forma più o meno nascosta di schiavitù,** che sia rispettoso della dignità e della sicurezza delle persone, che permetta all’uomo e al creato di “respirare”, e offra a tutti la possibilità di una vita buona…

Ai cristiani che celebrano l’anno giubilare, papa Francesco aveva chiesto di lasciarsi attirare dalla speranza “che non delude”, che ha la sua radice nel dono di salvezza, che Dio ci ha fatto nel suo figlio Gesù; e ha chiesto anche di saper individuare e mettere in atto “segni di speranza”. Lo ricorda anche il Messaggio dei vescovi italiani per la giornata del 1° maggio, dove sono elencati alcuni segni preoccupanti, a proposito della condizione lavorativa nell’Italia di oggi, ma anche segni di speranza.
Si tratta, scrivono i vescovi, di alimentarli «per essere generativi e per far nascere e promuovere lavoro degno ma, come sempre, essi richiedono la nostra partecipazione attiva per proseguire l’opera della Creazione».
Non riprendo qui i singoli punti del Messaggio ma, nel contesto giubilare, mi preme ricordare anche l’altra radice del Giubileo: quella che ci invita a prendere sul serio il male che c’è in noi e fuori di noi, non per disperare, ma per lasciarci raggiungere dal Dio che perdona e salva.

È proprio accogliendo la grazia del nostro rinnovamento personale, che ci viene offerta dal Giubileo, che saremo sostenuti anche nel mettere in atto quelle scelte e comportamenti che, nella linea dell’anno sabbatico e del Giubileo biblico, diventeranno annuncio e opera di liberazione per chi ancora aspira, senza trovarlo, a un lavoro degno, sicuro, giustamente remunerato e capace di contribuire allo sviluppo buono della persona e della società.

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*Cf. M. Gallo, Adesso, non domani. Il Giubileo della speranza, Messaggero, Padova 2024, p. 17.
**In questi giorni una sentenza della Cassazione (n. 16136) ha confermato una condanna relativa a episodi di caporalato, qualificati come “riduzione in schiavitù” dei lavoratori (per lo più immigrati) impiegati.