25 novembre 2024

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Lunedì 25 novembre 2024, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa nella Basilica di S. Maria della Croce a Crema – luogo sorto per ricordare l’apparizione della b. Vergine Maria a Caterina degli Uberti, ferita e lasciata in punto di morte dal suo sposo, il 2 aprile 1490. Riportiamo di seguito l’omelia.

 

I giornali e i mezzi di comunicazione di questi giorni sono pieni di racconti di donne che hanno subito le forme più diverse di violenza, di maltrattamenti e abusi di vario genere, fino all’esito più violento della morte, che ha già raggiunto un centinaio di donne nel solo 2024.
Ricordare queste cose qui, in questa basilica, sorta sul luogo di un ‘femminicidio’ avvenuto più di cinquecento anni fa, e che ha condotto alla morte la giovanissima Caterina degli Uberti, rischia di far nascere in noi un modo di pensare da cui dobbiamo attentamente guardarci: quello che ci porterebbe a dire, cioè: “è sempre stato così”, violenze sulle donne ce ne sono sempre state…
Per quanto realistico, sarebbe grave, questo modo di vedere le cose, se ci portasse a pensare che nulla potrà mai veramente cambiare; e sarebbe ancor più grave se ci portasse in qualche modo a giustificare, a scusare, chi si rende responsabile degli abusi e dei maltrattamenti, delle forme di molestia, di persecuzione nei confronti delle donne, fino a togliere la loro stessa vita.
Pensare questo, pensare che le cose non possano cambiare in modo significativo, che certi comportamenti di cui noi uomini, noi maschi, in particolare, ci rendiamo troppo spesso responsabili, quanto meno per noi che ci diciamo discepoli di Gesù Cristo significherebbe non credere alla salvezza che egli ci ha portato, non credere alla “novità” di cui ci ha parlato il veggente dell’Apocalisse nella prima lettura (cf. Ap 14,1-3.4b-5): ci ha fatto vedere la schiera dei «redenti della terra» che cantano un «canto nuovo».

Questo “canto nuovo”, prima che essere fatto di parole e di note e suoni, è il canto di una vita nuova, di una vita da redenti, appunto: di donne e uomini che hanno accolto la salvezza di Dio, si sono lasciati raggiungere dalla sovrabbondanza del suo amore, e per questo credono alla novità di Dio in loro e nel mondo: una novità che si rifiuta, appunto, di cedere all’inganno dell’“è sempre stato così”, alla rassegnazione di chi, in definitiva, non crede che la novità della Pasqua di Gesù Cristo possa tradursi in forme di relazione nuove, vere, autentiche, piene di rispetto e attenzione, nei confronti di tutti – e, in particolare, delle donne.
Pensare che “è sempre stato così”, per giustificare il fatto che nulla cambi, o per rassegnarsi pigramente a una situazione inaccettabile significa, in definitiva, non credere alla possibilità della conversione, non credere all’efficacia della Pasqua del Signore, che noi celebriamo ogni volta che ci raduniamo intorno al suo altare.
Questa efficacia, certo, non si esprime necessariamente con gesti clamorosi: le basta, per manifestarsi, anche un gesto piccolo, quasi invisibile, come quello della vedova di cui racconta il vangelo (cf. Lc 21,1-4). È un gesto che il Signore ha notato perché, nella sua piccolezza, contiene “tutto”: quella vedova, «nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (v. 21), non si è limitata a dare del superfluo.
In definitiva, questa vedova testimonia che cosa c’è da cambiare, per cambiare anche la “cultura” – se vogliamo chiamarla così – della violenza contro le donne. C’è da passare da una logica dell’amore (anche qui la parola sembra molto inappropriata) pensato come possesso, alla logica dell’amore pensato e vissuto come dono.

Lo dico, per concludere, con parole del card. M. Zuppi, all’indomani dell’uccisione di Giulia Cecchettin:

Amore e violenza non vanno d’accordo, l’amore è dono e mai possesso dell’altro. È mio solo se è suo! Indignarsi non basta, bisogna reagire alle tragedie come quella di Giulia e di tante altre donne la cui vita è stata spenta in modo brutale. Non possiamo restare indifferenti e soprattutto non possiamo abituarci. È in gioco il futuro, ma anche il presente, della nostra società, il nostro vivere in una trama di relazioni. I cristiani, discepoli di Gesù, amati e chiamati ad amare, devono ricostruire una comunità che viva la bellezza di relazioni secondo il comandamento evangelico. In che modo? Liberandosi dalle conseguenze del piegare tutto al proprio bene, ai criteri di successo, competizione, prestazione, affermazione di sé nell’esibizione e non nel servizio libero e gratuito.

La logica evangelica, quella che può cambiare le cose, è quella dell’amore che si dona totalmente, senza riserve, e senza nessuna pretesa di “possesso”. Così ha fatto la vedova, anticipando quel che poco dopo farà Gesù stesso, salendo sulla croce.
L’eucaristia che stiamo celebrando ci insegni e ci aiuti a fare lo stesso, per l’intercessione della beata Vergine Maria, apparsa a Caterina degli Uberti, ferita a morte dal suo sposo, proprio in questo luogo, per darle conforto e speranza.