24 settembre 2023 - Cattedrale di Crema

109a Giornata del migrante e del rifugiato

Il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa nella Cattedrale di Crema, domenica 24 settembre 2023, 109ª Giornata del migrante e del rifugiato. Riportiamo di seguito la sua omelia.

 

Pagare allo stesso modo chi ha lavorato un’ora e chi ha lavorato dieci ore è una palese ingiustizia (cf. Mt 20,1-16). È vero, il padrone della vigna ha onorato il contratto stabilito con i lavoratori della prima ora, ma ciò non toglie che sia ingiusto non tener conto della diversità di ore lavorate.
Dobbiamo imitare l’“ingiustizia” che Gesù presenta in questa parabola? In un’altra occasione, nel “discorso della montagna”, Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli la disponibilità a praticare una “giustizia più grande” – “più grande” di quella degli “scribi e farisei” (cf. Mt 5,20), cioè di quelli che si consideravano i campioni della religiosità ebraica, i “migliori” in fatto di osservanza dei comandamenti di Dio.
L’esempio più forte di questa “giustizia più grande”, Gesù lo aveva descritto così: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 44 s.).
Ecco cosa fa Dio: si prende cura di tutti, buoni e cattivi, malvagi e gente per bene. E forse nasce in noi un dubbio: è “giusto” che Dio faccia così? Che la sua cura provvidente per le creature abbracci allo stesso modo cattivi e buoni, malvagi e gente per bene? Eppure, l’abbiamo detto anche nel salmo dopo la prima lettura: «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9).
Già prima di Gesù, dunque, la fede di Israele sapeva e confessava questo. Eppure le persone religiose del tempo di Gesù (ma è così anche oggi) facevano resistenza ad accogliere le conseguenze di tutto questo: che sono appunto quelle che Gesù dice nel discorso della montagna, chiedendo di sapere amare i nemici e pregare per i persecutori.
Se voi, ci dice Gesù, dite di credere in un Dio che «è buono verso tutti», perché poi non cercate di fare come fa Lui?

Riprendiamo la domanda: è “giusto” il modo di comportarsi di Dio? Forse possiamo notare che una giustizia “più grande” non rinnega la giustizia “più piccola”, ma la abbraccia e la integra. Anche con la parabola di oggi, Gesù non sta dicendo che non si debbano pagare in modo equo i lavoratori; meno ancora sta dicendo che male e bene sarebbero la stessa cosa, che non ci sarebbe nessuna differenza tra chi cerca di fare il bene e chi invece è dedito al male.
Sta dicendo, piuttosto: la pura giustizia “distributiva” («dare a ciascuno ciò che è giusto»), non basta, per capire cosa c’è nel cuore di Dio. È importante, ma non è sufficiente. Invece, «buono è il Signore verso tutti»: e questa bontà universale, che include anche la giustizia, desidera però anche altro: desidera perdono e riconciliazione, vuole offrire possibilità di salvezza a tutti; vuole per ogni creatura – anche per le creature che dovessero cadere nel peccato, nel male – pienezza di vita…
Ci sarebbero molti esempi interessanti di come tutto\linebreak questo può entrare nella nostra vita sociale, anche a prescindere dalla fede. E forse anche la delicata, complicatissima questione dell’immigrazione, che è una delle questioni centrali del nostro tempo, potrebbe trovare aiuto in questo approccio di una “giustizia più grande”.
Ce lo ricorda, mi sembra, proprio il principio che papa Francesco illustra nel Messaggio per questa 109ª Giornata del migrante e del rifugiato, che si celebra oggi. Il principio è riassunto nella frase: Liberi di scegliere se migrare o restare. Che cosa significa?
Proviamo a partire dalla domanda: è giusto che una persona emigri, con tutto quel che ne consegue? E la risposta è: certamente sì, per lo meno se prendiamo sul serio ciò che dice la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese» (Art. 13/2); e ancora: «Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni» (Art. 14/1); ed è bene ricordare che anche la nostra Costituzione recepisce questi principi fondamentali.
Ma poi noi vediamo quanto sia difficile applicare questi principi, se restiamo solo sul piano stretto della “giustizia” (anche se troppe volte, dobbiamo riconoscerlo, non arriviamo neppure ad attuare questa “giustizia” minima: e papa Francesco non si stanca di ricordarcelo, come hanno fatto anche i papi prima di lui…). E allora forse dobbiamo davvero cercare una “giustizia più grande”, che ci renda attenti alle cause che portano moltissima gente, oggi, a lasciare il proprio paese – anche con spese e rischi altissimi –, per cercare altrove una vita migliore.

Scrive il papa nel suo Messaggio per la giornata di oggi:

«Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire. Già nel 2003 San Giovanni Paolo II affermava che “costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati, significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria”».

 

Cercare una “giustizia più grande” vuol dire (cito ancora parole del Papa)

«assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di un diritto non ancora codificato [ecco perché siamo in una “giustizia più grande”], ma di fondamentale importanza, la cui garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali».

E in ogni caso, ricorda papa Francesco,

«mentre lavoriamo perché ogni migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri, ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare. Ovunque decidiamo di costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno».

È difficilissimo, e lo sperimentiamo tutti i giorni: ma qualcosa si può fare, molto già si fa (e ringrazio chi, nella Diocesi come pure nelle istituzioni pubbliche e nella società civile, si adopera per questo). Con l’impegno di tutti, e soprattutto con l’aiuto di Dio, possiamo ancora crescere in tutto questo, per testimoniare che Dio «è buono verso tutti» e a tutti vuole offrire pienezza di vita.