Il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa esequiale in suffragio di don Erminio Nichetti (n. 6.6.1933, m. 14.7.2023) nella chiesa parrocchiale di S. Giacomo in Crema, lunedì 17 luglio 2023. Riportiamo di seguito l’omelia.
Don Erminio ogni tanto mi rimproverava, o mi incalzava, su questo o quell’aspetto della vita della diocesi, soprattutto su un’impostazione sempre più segnata dalla missionarietà. Lo faceva con benevolenza, e a questa benevolenza non vorrei rinunciare, adesso che la sua preghiera ci è più che mai necessaria.
Per questo, intendo prendere sul serio l’indicazione che ha dato in un paio di fogli che riportano le sue ultime volontà. In particolare, ha trascritto un testo, dando questa indicazione: «Da leggere al posto del commento che si fa nei funerali». Obbedisco dunque a questa indicazione e leggo il testo, che è di fr. Carlo Carretto, un nome ben noto a chi ha la mia età o anche qualche anno in più e a chi – come don Erminio – si è sentito attratto dalla fisionomia spirituale di di san Charles de Foucauld, che Carlo Carretto fece conoscere in Italia già negli anni ’60 del secolo scorso.
Dice così:
«“Non vi è morte… no! Io non muoio, entro nella Vita!”.
Morire per vivere. Ho scoperto che fra tante cose belle e buone fatte da Dio una non è meno bella, anzi è bellissima, ed è la morte. E perché?
Perché mi dà la possibilità di ricominciare da capo, mi dà la possibilità di vedere “cose nuove”. Per nessun momento, come quello, capisco il detto della Scrittura: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
Non è che amo la morte perché liquida le mie ultime forze.
Amo la morte perché fa “nuove tutte le cose”. Amo la morte perché mi ridà la vita. Amo la morte perché credo alla risurrezione.
Quella sì che mi interessa! Che servirebbe tutta la mia fatica a credere, tutto questo sperare contro ogni speranza, se giunto a questo momento accettassi il nulla o peggio l’immobilità, o la sclerosi del tempo? No, non l’accetto e vi dico, meglio vi grido: “Credo alla vita eterna”».
Il testo di Carretto continua, ma don Erminio ha segnato: «Fino qui». Io mi permetto però di andare oltre, non nella lettura di questo testo, ma nel dare voce allo stesso don Erminio che, a seguito di alcune minacce ricevute mentre era parroco a Masagua, scrisse per la sua comunità una sorta di breve testamento spirituale (seguito anche da alcune disposizioni materiali), che vorrei condividere con voi.
Don Erminio l’aveva scritto a mano, in spagnolo, a Masagua, in data 18 settembre 2002. Leggo la traduzione:
Ho segnali chiari che la morte si avvicina.
Ho subito da poco un attentato che desta molti sospetti, e che fa temere altro.
Desidero partire da questa comunità riconciliato, chiedendo perdono per tutto ciò che non ho saputo fare o ho fatto male. A volte posso aver ferito alcune sensibilità. Sono straniero. Grazie per avermi accettato per tanti anni.
Non ho altra carta di credito per presentarmi davanti al Signore che questa: ho creduto nel suo Amore. So che mi accoglierà come il figliol prodigo.
Nelle mie molte debolezze Egli è stato un Buon Pastore.
Non ho paura di Dio, non tanto perché io lo amo, ma perché so che Egli ama me.
A tutti, il luogo per continuare a incontrarci è l’Eucaristia, soprattutto alla domenica.
Don Erminio esprimeva poi il desiderio che ciò che poteva avere di sua proprietà, in Guatemala o in Italia, fosse utilizzato per i progetti in corso: «casse comunitarie, per intervenire nelle urgenze, l’acquisto di lotti, per rette per gli studenti del collegio di nostra Signora di Candelaria…».
E concludeva: «Grazie di tutto e molte grazie a tutti. A-Dio».
Mi sembra che queste parole, scritte vent’anni fa per la parrocchia di Masagua, dicano tutto quel che c’è da dire anche per noi.
Se posso aggiungere solo un’ultima cosa, è per dire che mi sembra di ritrovare don Erminio con molta esattezza nelle parole conclusive del “discorso missionario” di Gesù, che abbiamo ascoltato nel vangelo.
Sia nelle parole più esigenti, che don Erminio ha cercato di prendere molto sul serio: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,37-39); sia in quelle (apparentemente) più facili: «Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Perché don Erminio ha dato a molti acqua fresca e dissetante, facendosi solidale – come mi è stato detto – «con tutti, poveri materiali o nello spirito».
Per questo, caro don Erminio, il Signore ti doni la ricompensa promessa: e
«ti accolga [ora] il coro degli Angeli
e con Lazzaro povero in terra
tu possa godere il riposo eterno nel cielo».