Il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia nel santuario della B. Vergine Maria della Pallavicina (Izano), nel giorno della sua festa, a due giorni dal decennale della morte del card. Marco Cè, cremasco di Izano, Patriarca di Venezia, particolarmente devoto al Santuario della Pallavicina. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.
Ci sono parole di addio, nelle letture che abbiamo ascoltato questa sera (sono le letture del martedì di questa ultima settimana del tempo di Pasqua: At 20,17-27; Gv 17,1-11).
Parole di addio, che Paolo rivolge agli “anziani”, cioè ai responsabili della comunità cristiana di Efeso, alla quale egli aveva dedicato una parte consistente del suo impegno missionario; parole di addio, ma nella forma di una preghiera che Gesù, secondo il vangelo di Giovanni, rivolge al Padre subito prima di entrare nella Passione. E anche l’addio di Paolo agli anziani di Efeso prelude a una passione e l’annuncia: «So… che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni» (At 20,23).
Sia per Gesù che per Paolo, dunque, siamo davanti a una svolta importante, decisiva, delle loro esistenze. Momenti come questi portano da sé a uno sguardo all’indietro. E così Paolo ricapitola il comportamento che ha tenuto nel corso della sua missione: «Ho servito il Signore con tutta umiltà… Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù… Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio…» (At 20,20-21.27).
E anche Gesù, con le parole che corrispondono allo stile del quarto vangelo: «Io, [o Padre], ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare… Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo» (Gv 17,4.6)
Il passato di Gesù, come pure il passato del suo apostolo Paolo, attestano in definitiva l’impegno di vite dedicate a una sola cosa: trasmettere e far conoscere il dono di Dio, il «vangelo della grazia di Dio», come dice Paolo (At 20,24) o, con le parole di Gesù caratteristiche del vangelo di Giovanni, la «vita eterna», e cioè «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3): perché la vita eterna non è una “cosa”, ma è Dio stesso, e lo spazio sovrabbondante del suo amore, che Gesù è venuto a farci conoscere.
Se le cose stanno così, capiamo perché le parole sia di Gesù che di Paolo si rivolgano, poi, al futuro. Anzi, su questa soglia decisiva, sia per Gesù che per Paolo, proprio il passaggio al futuro è la questione principale. Prima di tutto per Gesù, per il quale sta per compiersi il “passaggio”, la Pasqua definitiva, da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1): anticipando questo passaggio, dice nella sua preghiera: «Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te» (17,11).
Anche per Paolo siamo a un passaggio decisivo: il discorso che fa a Mileto segna la fine della sua missione; non ancora della sua vita, che però, secondo il racconto degli Atti, d’ora in avanti vedrà solo persecuzione: che ne sarà, dunque, delle comunità che l’apostolo ha fondato e ha seguito come un padre?
Guardare verso il futuro è quasi sempre una scommessa difficile. Certamente è difficile per noi, perché ci è toccato di vivere in un’epoca complicata, fatta di cambiamenti rapidi e continui e nella quale, specialmente per la nostra condizione di cristiani e la vita di Chiesa, ci sembra che le perdite siano molto più consistenti dei guadagni – per usare un linguaggio da contabile.
Eppure, noi possiamo provare a guardare verso il futuro sulla base di un passato che non è solo né principalmente nostalgia. Il nostro sguardo sul passato ci assicura che tutto ciò che conta, già l’abbiamo ricevuto. Anzitutto, l’abbiamo ricevuto nel dono che Gesù ha fatto di sé al Padre per noi (cf. Gv 17,4); e l’abbiamo ricevuto anche per il fatto che gli apostoli ci hanno trasmesso “tutta” la ricchezza del vangelo (Paolo insiste, nel suo discorso agli anziani di Efeso, su questa “pienezza”).
Non solo: il nostro passato è ricco di testimonianza, è ricco delle tante figure, note o ignote, famose o rimaste nell’ombra, che in tanti modi ci hanno testimoniato «il vangelo della grazia». In questo luogo, e in questa sera, a dieci anni di distanza dalla sua morte, ci è particolarmente caro ricordare il cardinale Marco Cè, figlio di questa terra, presbitero di questa nostra Chiesa, chiamato a un ministero che si è irradiato ben oltre i nostri confini, e che ancora oggi viene ricordato con riconoscenza.
In definitiva: noi cristiani dovremmo essere proprio quelli che hanno meno paura di guardare al futuro, quelli che, nella fede, sanno che nessun futuro potrà mai prescindere dal dono di Dio in Gesù Cristo, da quel “vangelo della grazia” che Paolo e gli altri apostoli ci hanno trasmesso.
Noi dovremmo essere quelli che più di tutti sanno farsi carico delle incertezze e ansietà di questo nostro tempo così complicato, e farsi compagni di strada dei tanti, dei troppi che si lasciano vincere dal timore e dallo sconforto, quando provano a guardare al futuro.
Non siamo ingenui: del resto, Gesù sa che lo aspettano la passione e la croce, e Paolo vede davanti a sé un percorso di persecuzione. Soprattutto, però, l’uno e l’altro vedono davanti a sé la fedeltà di Dio e il compimento della sua promessa: se guardano al futuro, per sé e per la Chiesa, è appunto in ragione di questa fedeltà e di questa promessa.
In questo luogo, e in questi giorni, il nostro volgerci con fiducia al futuro è sostenuto anche dall’esempio e dall’intercessione di Maria. La contempliamo, a pochi giorni dalla Pentecoste, unita in preghiera con il gruppo dei discepoli di Gesù che attende lo Spirito Santo: perché è lui, in definitiva, a condurre la Chiesa e il mondo verso il futuro di Dio.
Presente, e anzi protagonista, nella fede e nel dono di sé, alla nascita di Gesù, Maria è anche presente alla nascita della Chiesa. Madre, donna della nascita, appunto: e cioè della vita che si apre al futuro. Le chiediamo di intercedere anche per noi, Chiesa e umanità che a volte si sentono a disagio, guardando al futuro.
Lei, che si è lasciata riempire dallo Spirito di Dio, ci assicura che ciò che può sembrare morte, è nascita, è vita nuova: la vita nello Spirito, che continuerà a guidarci e a sostenerci nel cammino verso il futuro che Dio prepara per noi.