Lunedì 6 gennaio 2025 il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la solenne celebrazione dell’Eucarista nella festa dell’Epifania del Signore. Riportiamo di seguito la sua omelia.
Negli ultimi decenni si sono moltiplicate le ricerche socio-religiose che attestano il declino della pratica religiosa in Italia, seguendo una tendenza che era già da tempo chiarissima in altri paesi d’Europa. Del resto, anche senza avere una laurea in sociologia, per chi ha qualche anno in più sulle spalle basta pensare a come stavano le cose cinquanta o sessant’anni fa: quando le chiese erano ancora piene, quando c’erano molti più preti e suore in giro, e molti più giovani nei nostri oratori, e si aveva l’impressione che il cristianesimo, almeno qui da noi, godesse ancora di ottima salute.
Era così davvero? Si può avere qualche dubbio, ma non importa: quello che è chiaro è che le cose sono molto cambiate; e la condizione di chi desidera vivere secondo la proposta cristiana, e di appartenere alla Chiesa non solo a parole o anagraficamente, perché magari è stato battezzato e cresimato, è una condizione di minoranza. La maggior parte delle persone, da noi, e in generale nel mondo “occidentale”, fa scelte diverse e non considera rilevante la fede in Dio, l’adesione a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Però noi, per i quali questa adesione a Gesù e alla Chiesa continua a essere importante – altrimenti non saremmo qui, oggi – non possiamo accontentarci di constatare (magari con risentimento) che siamo una minoranza. La festa che stiamo celebrando, la festa della “Epifania”, ossia della “manifestazione” di Gesù Cristo, e le letture bibliche che abbiamo ascoltato – in particolare questo racconto sempre così sorprendente del viaggio dei Magi – ci inducono a farci qualche domanda in più.
Questo venir meno della pratica religiosa, vuol dire che non c’è ricerca di Dio – o, se vogliamo, che non c’è ricerca di qualche realtà trascendente, ricerca forse di “senso” religioso, di spiritualità, o di come la vogliamo chiamare, nell’umanità odierna, nei nostri contemporanei?
Il viaggio dei Magi, mi sembra, ci invita a essere cauti, e soprattutto ci chiede di riconoscere che la luce di Dio può mostrarsi, ed essere riconosciuta, anche da chi sembra lontano, estraneo al nostro mondo e alla nostra comunità di fede.
Nei pochissimi testi della Bibbia in cui si parla di “magi”, si vede che non erano gente proprio raccomandabile: pagani, dediti all’astrologia e probabilmente a pratiche idolatriche…
Eppure, la luce di Gesù Cristo si manifesta a loro, al punto da farli mettere in cammino per un viaggio lungo e rischioso, che li farà arrivare fino davanti a lui in adorazione!
Dobbiamo nutrire la fiducia che Dio continua a illuminare le donne e gli uomini anche di questo nostro mondo che sembra tanto lontano da Lui; certo, gli itinerari della fede possono essere lunghi e tortuosi, e anche molto diversi da quelli che noi ci immaginiamo, ma non importa, perché Dio è capace di condurre le persone a Sé anche per i sentieri più strani e imprevedibili.
Piuttosto – e qui viene la seconda domanda che ci dobbiamo fare – che cosa succede, se chi è alla ricerca di Dio, in questi itinerari anche strani e improbabili, incontra noi, incontra la comunità cristiana?
È una domanda seria, ma inevitabile, alla luce del racconto dei Magi: perché loro sono arrivati a incontrare la comunità dei credenti, a Gerusalemme, capoluogo materiale e spirituale del popolo di Israele di allora; e da questo incontro sono anche stati indirizzati sulla strada buona, sulla via di Betlemme… Però ci sono dovuti andare da soli: la comunità di Gerusalemme è rimasta lì, con i suoi dubbi o le sue sicurezze, o con i progetti segreti di Erode, ma in ogni caso non è arrivata fin dove avrebbe potuto incontrare Gesù.
Il titolo della festa di oggi, l’ho già ricordato, significa “manifestazione”. La domanda di cui dicevo, dunque, si può esprimere anche così: quale “manifestazione di Dio”, quale “epifania” viene fuori, dalla nostra vita di credenti, dalla vita delle comunità cristiane?
Più che lamentarci del fatto di essere in pochi, o rimpiangere i bei tempi antichi, mi sembra che dovremmo chiederci: in che modo la mia vita, la nostra vita di cristiani, permette a Dio di manifestarsi, di diventare “epifania” del suo “mistero”? – “mistero” che, come ci ha ricordato la seconda lettura, non è qualcosa di strano, di arcano, ma consiste nell’invito che Dio rivolge a tutti ad accogliere il suo dono di amore, la sua promessa di vita piena (cf. Ef 3,5-6).
I Magi sono arrivati davanti a Gesù, e a Maria, sua madre (cf. Mt 2,11), da soli: a Gerusalemme non hanno trovato compagni di viaggio. Penso che la missione della Chiesa, e di noi che vogliamo farne parte, consista oggi – per lo meno in qualche misura – in questo: farci compagni di viaggio di quanti, anche in modo confuso, o per noi stravagante, cercano il volto di Dio.
A patto, naturalmente, di non smettere mai di essere noi stessi dei cercatori di Dio. Perché questa ricerca non è mai esaurita. Sant’Agostino amava dire che si è sempre cercatori di Dio: o perché non lo si conosce; o perché, avendolo conosciuto nella fede, si è consapevoli che Egli è “immenso”, e che non si finisce mai di cercarlo, in questa vita (cf. Agostino, Tratt. su Giovanni, disc. 63,1). Se credi di “comprenderlo”, di “possederlo”, direbbe sempre sant’Agostino, vuol dire che non è Dio!
Così, facendoci compagni di strada dei cercatori di Dio nel nostro tempo, sarà vero per noi l’augurio che riceveremo nella benedizione conclusiva di questa Messa, e «come i santi Magi guidati dalla stella», al termine del nostro pellegrinaggio terreno potremo trovare, «con immensa gioia, Cristo Signore, Luce da Luce».
