26 novembre 2023

Cristo Re dell’universo – Festa del Crocifisso della Cattedrale

Il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Crema, domenica 26 novembre 2023, Solennità di N. Signore Gesù Cristo Re dell’universo, nella quale si onora anche in modo speciale il Crocifisso della Cattedrale. Riportiamo di seguito l’omelia.

 

Il tempo che viviamo è il tempo della mescolanza, potremmo anche dire della confusione. Non lo dico come critica specifica al tempo presente, ma ricordando alcune espressioni di Gesù nel vangelo di Matteo – il vangelo che ha accompagnato l’anno liturgico di cui celebriamo oggi l’ultima domenica.
È il tempo di cui parla la parabola del grano e della zizzania: tempo in cui l’uno e l’altra crescono insieme, sono mescolati e non facilmente distinguibili (cf. Mt 13,24 ss.); o a cui allude l’altra parabola, quella dei pescatori che gettano la rete e la tirano su piena di pesci di ogni genere, buoni e cattivi, commestibili o no (cf. 13,47 ss.).
Così è il nostro tempo, così è sempre il tempo della storia. Ma questo non vuol dire che ogni comportamento, ogni scelta, ogni decisione che prendiamo in questa vita si equivalgano, come se tutto fosse indifferente: perché ci sarà il momento della separazione: grano e zizzania avranno destinazioni diverse (cf. 13,41-43), ci sarà la cernita tra pesci buoni e cattivi (cf. 13,49 s.): e così, davanti al pastore e giudice, come ricorda nel modo più chiaro possibile il vangelo di oggi (cf. 25,31-46), i destini saranno diversi: «E se ne andranno [dice Gesù]: questi [gli empi] al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (25,46).
A noi questa cosa della separazione fa difficoltà: ci sembra che l’infinita misericordia di Dio non permetterà che ci sia chi si perderà definitivamente.
Ora, su questo, per un verso, dobbiamo tranquillizzarci: perché proprio il vangelo di oggi, e con lui tutti gli altri testi evangelici sul giudizio, ci dicono che il giudizio spetta appunto a Dio, e a lui solo. Noi non possiamo esprimere giudizi di condanna definitiva su nessuno: solo Dio può farlo. E se ci fidiamo di Dio, della sua misericordia, ebbene, lasciamo appunto a lui il giudizio: saprà comunque fare infinitamente meglio di noi.
Per altro verso, però, questa pagina del vangelo ci toglie la tranquillità: ma la toglie a ciascuno per sé stesso. È a me, insomma, che questa pagina toglie la tranquillità. Questa parola di Gesù non mi chiede di speculare sulla salvezza o meno di tutti, ma mi chiede di guardare alla mia vita, e di domandarmi: Che cosa ne ho fatto, della mia vita? Che cosa ne sto facendo?
Finisce un anno liturgico, e ogni “fine”, anche se provvisoria – non è ancora il giudizio finale del Vangelo – è però occasione opportuna per fare una piccola verifica: e per farla, questa volta, a proposito di quei peccati che diciamo tante volte di riconoscere, ma che forse trascuriamo: parlo del peccato di omissione.
L’abbiamo detto anche all’inizio di questa Messa: abbiamo confessato davanti a Dio e ai fratelli di aver peccato in pensieri, parole, opere e omissioni. Si direbbe che a Gesù interessi soprattutto questo. A quelli che stanno alla sua sinistra il giudice non dice: avete questo o quest’altro male, avete commesso questo o quest’altro atto malvagio, ma: «Avevo fame, non mi avete dato da mangiare; avevo sete, non mi avete dato da bere…»: contesta, insomma, proprio e solo dei peccati di omissione!
E sono peccati ai quali sarebbe anche facile rimediare: perché Gesù non fa riferimento a cose complicate, difficilissime: non ci chiede se abbiamo realizzato la pace in Terra Santa o sanato le innumerevoli e macroscopiche ingiustizie che ci sono in tante parti del mondo, no. Però: hai fatto qualcosa, in questo ultimo anno, per chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena? Ti sei fatto vicino a qualche malato? Hai fatto qualche gesto di amicizia, di aiuto, verso lo straniero, verso la persona sola? Ti sei interessato di qualche prigioniero, o almeno hai gettato l’occhio, qualche volta, sulla situazione drammatica dei carcerati nel nostro paese? O tutto questo è finito dentro il grande calderone delle “omissioni”, che confessiamo in blocco, dimenticando che è proprio su questo che, alla fine, si verificherà la consistenza della nostra vita?
Ecco, c’è qualche ragione per non stare del tutto tranquilli. Mentre sfida la nostra tranquillità, però, Gesù fa anche qualcosa d’altro: perché il racconto del Vangelo non finisce con questa pagina – anche se finisce per noi, per questo anno liturgico, la lettura del vangelo di Matteo. Però il Vangelo continua: e continua, proprio subito dopo, con il racconto della passione e della risurrezione, con il racconto della Pasqua. Prima di sedersi sul «trono della sua gloria» (cf. Mt 25,31), il trono del giudizio, di cui abbiamo sentito, Gesù si è seduto su un altro trono, un trono paradossale, ma che rivela il senso vero della sua regalità: il trono della Croce.
Egli regna e giudica di lì: per ricordarci fin dove si spinge la misericordia di Dio per noi peccatori, e per rivelarci l’amore «fino alla pienezza» (cf. Gv 13,1), quell’amore che il Signore ci propone anzitutto di ricevere (e lo riceviamo anzitutto qui, celebrando l’Eucaristia), per poterlo poi anche donare nei gesti umili e quotidiani dell’amore fraterno, sui quali saremo giudicati nell’ultimo giudizio.