Commento del vescovo Daniele al Vangelo della solennità dell’Epifania

Domenica 6 gennaio 2019 – Matteo 2, 1-12

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Può sembrare strano, a prima vista: ma il credente è colui che continua a cercare Dio; smettere di cercarlo – per lo meno, smettere di cercarlo perché si pensa di conoscere Dio, di «possederlo», in qualche modo – è invece piuttosto il segno di una fede spenta, se non proprio morta.

L’affascinante e sempre un po’ misterioso racconto dei Magi, che si mettono alla ricerca del «Re dei Giudei», perché ne hanno visto sorgere «la stella», è molto significativo, a questo riguardo: il vangelo ce li presenta come veri cercatori di Dio, che percorrono tutte le strade possibili, per cercarlo. Cercano Dio nella creazione, scrutando i movimenti degli astri; lo cercano nelle Sacre Scritture, ed è per questo che arrivano a Gerusalemme e interrogano il popolo di Israele, che ha accolto la rivelazione di Dio nella Legge e nei Profeti; e lo cercano ancora nel loro cuore, quando ascoltano la voce di Dio che parla loro in sogno e li fa tornare al proprio paese per un’altra strada.

La loro ricerca è premiata: alla fine, la stella li conduce fin «sopra il luogo dove si trovava il bambino», e dove «videro il bambino con Maria sua madre» e lo adorarono (cf. Mt 2, 9.11). Sono giunti, dunque, alla meta della loro ricerca; hanno trovato colui che cercavano e hanno sperimentato la gioia di questa scoperta.
È finita così, la loro ricerca? Non lo sappiamo: ma proprio perché hanno cercato tanto, e da così lontano e in così tante direzioni, possiamo pensare che essi siano rimasti ancora dei cercatori di Dio.
Perché, come dirà secoli dopo sant’Agostino, noi siamo chiamati a cercare Dio, e dunque «cerchiamolo per trovarlo, e cerchiamolo ancora dopo averlo trovato». E, ricordando il passo del salmo che dice: «Cercate sempre il volto del Signore» (cf. Sal 104, 4), sant’Agostino osserva ancora che questo invito aiuta a capire un altro insegnamento biblico, secondo il quale «quando un uomo ha finito, è allora che comincia» (cf. Sir 18, 7).
È stato così anche per i Magi, forse: arrivati a Betlemme, trovato Gesù, forse si sono resi conto che il loro cammino non finiva, ma incominciava. Perché, dice ancora sant’Agostino, finché siamo qui in terra «dobbiamo cercare sempre, e il risultato della nostra ricerca non deve mai farci smettere di cercare» (cf. Commento a Giovanni, disc. 63, 1).

Qualche volta almeno, temo, la nostra testimonianza cristiana è indebolita dal fatto che gli altri, quanti sono lontani dalla fede, non ci riconoscono come veri e instancabili cercatori di Dio. Qualche volta, forse, noi credenti assomigliamo di più ai sacerdoti e agli scribi di Gerusalemme, i quali sanno bene ciò che dicono le Scritture, sanno la dottrina, ma hanno smesso di cercare Dio: al punto che non si prendono neppure il disturbo di fare quegli otto o nove chilometri che separano Gerusalemme da Betlemme, per andare a vedere che cosa era successo.
È ancora sant’Agostino, questo instancabile cercatore di Dio, a farci capire che, in definitiva, la ricerca è come il polso dell’amore: in questa ricerca  – dice – in cui si esprime l’amore, il ritrovamento non rappresenta la fine della ricerca, perché «nella misura in cui aumenta l’amore, aumenta la ricerca della persona trovata» (Espos. sul Salmo 104, 1,3).

Penso che ci siano anche oggi persone che, come i Magi, bussano alle porte delle nostre comunità cristiane per cercare il Signore. Mi auguro che trovino in noi dei veri credenti, cioè uomini e donne che amano Dio con tutto il cuore e con tutte le forze e che, proprio per questo, non si stancano mai di cercarlo umilmente, e di lasciarsi trovare da Lui.