Commento del vescovo Daniele al vangelo della seconda domenica di Avvento

Domenica 9 dicembre 2018 – Vangelo di Luca (3, 1-6)

Ascolta l’audio di questo commento a questo link

Ci si aspetterebbe, con la sfilata dei nomi importanti che l’evangelista elenca – a partire da quello dell’imperatore Tiberio, successore di Augusto, per continuare con quelli di governatori e re e sommi sacerdoti – che egli stia per riportare qualcosa di importante avvenuto nei “palazzi del potere”, politico o religioso, o magari anche economico o culturale che sia; in quei palazzi nei quali, dirà un giorno Gesù, stanno quelli “che portano vesti sontuose e vivono nel lusso” (cf. Lc 7, 25).
Ciò che accade, invece, accade “nel deserto”; e ciò che accade non è neppure qualcosa che possa essere riportato facilmente nelle cronache politiche, mondane, qualcosa che non troverebbe spazio sulle prime pagine dei giornali o in apertura dei notiziari televisivi, e nemmeno, probabilmente, riceverebbe molti ‘likes’ sui cosiddetti social media. Accade, infatti, che “la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto” (Lc 3, 2), e che quest’uomo irsuto, severo, poverissimo nel vitto (miele e cavallette) e nel vestito (una semplice pelle di cammello), incomincia a proclamare un messaggio di salvezza: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (v. 6).
Dobbiamo essere sinceri con noi stessi, e chiederci quanto tempo e quanta attenzione dedichiamo a leggere o ad ascoltare le notizie del mondo politico, economico, culturale, sportivo o mondano, quante energie dedichiamo a rilanciarle o a discuterle (magari senza esserci documentati in modo adeguato)  e anche quanto discutiamo, o consideriamo l’una o l’altra opinione sul papa, la Chiesa, i vescovi e i preti, gli scandali (che ci sono, eccome!) e così via – e quanto ne resta per la parola di Dio, quanto lasciamo che scenda su di noi, che riempia il nostro cuore e i nostri pensieri, che dia sostanza alla nostra vita.
Dovremmo chiederci con sincerità se rimane, nella nostra vita, qualche spazio per il “deserto”: qualche spazio per stare nel silenzio davanti a Dio e davanti a noi stessi; qualche spazio per lasciarci anche salutarmente intimorire del grande vuoto che il deserto evoca, per domandarci con che cosa lo riempiamo, questo vuoto, di che cosa ci circondiamo, perché la nostra vita non assomigli a un deserto spaventoso e privo di senso.
Giovanni Battista il deserto lo ha cercato, così come lo ha cercato anche Gesù; soprattutto, l’uno e l’altro, in modi anche diversi, hanno cercato i tempi, i luoghi, le condizioni perché la Parola di Dio potesse venire loro incontro; perché sapevano che solo quella Parola poteva rispondere alla loro attesa, e solo quella Parola poteva dar senso alla vita, indicarle una direzione persino nel deserto, persino lì dove ogni altro riferimento sembra venire meno.
Giovanni, Gesù e tutti i grandi uomini e le grandi donne di Dio hanno fatto spazio alla Parola di Dio: che a volte è dolce come il miele, altre volte amara come certe medicine; e che però non delude, perché apre una strada anche nel deserto o in mezzo al mare, perché spiana i monti e colma le valli, perché illumina anche nella notte più buia e conforta anche nel dolore più atroce. 
Il tempo di Avvento è molto breve, e c’è il rischio che venga spazzato via da molti affanni e anche da molta superficialità. Riserviamoci qualche spazio di deserto, abbiamo il coraggio di seguire Giovanni il Battista nel suo percorso, che apre la via al Signore che viene. Solo così potrà risuonare ancora oggi il lieto annuncio, per noi e per tutti, e ne potremo essere ascoltatori e forse anche messaggeri: «Ogni uomo – anzi, “ogni carne”, ogni creatura – vedrà la salvezza di Dio» (v. 6).