Domenica 2 dicembre 2018 – Vangelo di Luca (21, 25-28. 34-36)
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Siamo all’inizio di un nuovo anno liturgico, un nuovo anno della vita della Chiesa e del cristiano. È il tempo dell’Avvento, cioè della «venuta»; il tempo che ricorda ai cristiani la verità di ciò che dicono ogni domenica, forse distrattamente: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».
È anche il tempo che ci prepara a celebrare la venuta del Figlio di Dio nella nostra umanità, più di duemila anni fa. Nella celebrazione del Natale, fra qualche settimana, lo sguardo riconoscente verso il passato ci aiuterà ad accogliere oggi la venuta di Dio nella nostra vita; ma con il cuore che non smette di aspettare, un cuore che sa attendere.
Di quale attesa parliamo? Perché c’è attesa e attesa… Nel vangelo della prima domenica di Avvento, Gesù allude agli sconvolgimenti cosmici e storici che possono accadere; e dice che «gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra».
Ma non è questo l’atteggiamento del credente; anzi, ai discepoli Gesù preannuncia la sua venuta dicendo: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina»: è un’attesa carica di speranza, non di paure e timori.
Dove imparare il modo giusto di vivere questa attesa? Più di due mesi fa, come ormai tutti sanno, p. Pierluigi Maccalli, missionario originario di Madignano, è stato rapito nella sua parrocchia in Niger. A tutt’oggi non abbiamo notizie di lui e del suo destino, e per lui continuiamo a pregare, così come per altri cristiani rapiti – anche recentemente, tre religiosi sono stati rapiti in Camerun…
Mi sono chiesto spesso, in queste settimane: come p. Gigi sta vivendo questo momento della sua vita? Come passa le lunghe giornate in mano ai suoi rapitori? Potrà, almeno qualche volta, leggere il Vangelo, guardare un giornale, ascoltare la radio, così diffusa in Africa? Come sarà, la sua interminabile attesa?
Anche noi viviamo nell’attesa: l’attesa di una notizia positiva, mentre non abbiamo neppure la possibilità di avere almeno qualche frammento di informazione; e penso soprattutto all’attesa dei suoi famigliari, dei suoi confratelli missionari, dei suoi parrocchiani…
Questa difficile situazione può aiutarci, penso, a imparare lo stile cristiano dell’attesa: un’attesa che non chiude gli occhi davanti al male, alle tribolazioni, ai drammi che certo ci sono – e del dramma che riguarda p. Maccalli siamo particolarmente consapevoli e partecipi; ma proprio per questo un’attesa carica di fiducia; che impara la pazienza della preghiera; che sa aspettare nel silenzio e sa diventare solidale; un’attesa che allarga lo sguardo; che approfondisce il desiderio; che ci rende meno superficiali; un’attesa che desidera la libertà non per fare quel che più piace, ma per poter tornare a fare ciò che è giusto e buono davanti a Dio e per i fratelli.
Sono convinto che p. Gigi Maccalli sta entrando così nel suo Avvento, e si è allenato a vivere così il tempo dell’attesa, già così lungo per lui e per noi.
In modo simile, anche noi entriamo nel nostro Avvento, ricco di speranza e di pazienza a tutta prova, tempo di un’attesa che non è vana, perché radicata in Dio, che è fedele alla sua promessa.
Buon Avvento!