18 aprile 2025

Celebrazione della Passione del Signore

La celebrazione della Passione del Signore si è tenuta in Cattedrale, a Crema, nel tardo pomeriggio del 18 aprile 2025, Venerdì santo. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele.

 

Una parte consistente del racconto della passione del Signore, nel vangelo di Giovanni, è dedicata al processo di Gesù davanti a Pilato: processo che vede a confronto, in realtà, Gesù, Pilato e i capi dei Giudei (cf. Gv 18,28 – 19,22). Un buon quaranta per cento del testo è occupato da questo confronto, che ha al suo centro la questione della regalità di Gesù, il suo essere “re dei Giudei”, e che culmina nel riferimento all’“iscrizione”, che Pilato fa mettere sulla croce, compilandone personalmente il testo e “difendendo” questo testo (dove appunto è scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”) anche rispetto alle obiezioni dei capi dei sacerdoti (cf. 19,19-22).

Mi fermo un momento a riflettere su questo titolo, e sul fatto che, secondo l’evangelista, l’iscrizione fu scritta in tre lingue, «in ebraico, in latino e in greco» (19,20). È chiaro che Giovanni vuole metterci davanti a un paradosso: Gesù è veramente re, anche se non è re alla maniera di questo mondo; è veramente re, e però viene respinto da coloro sui quali dovrebbe regnare, che arrivano a dire: «Non abbiamo altro re che Cesare» (19,16), cioè l’imperatore – loro che, figli di Israele, dovrebbero dire: solo Dio è davvero il nostro re, solo Lui può regnare su di noi. E il rappresentante di Cesare, Pilato, un po’ si incuriosisce, in larga misura si dedica a prendere in giro la pretesa di regalità di Gesù e finisce poi per lasciarlo condannare a morte, pur avendo detto e ripetuto, prima, di non trovare in lui nessuna colpa (cf. 18,38; 19,6).

Ma è appunto Pilato che, come abbiamo sentito, fa scrivere il motivo della condanna in tre lingue: ebraico, latino e greco. Già questo particolare ci apre gli occhi: ci aiuta a capire che l’espressione “Re dei Giudei” non riguarda solo loro, non riguarda solo il popolo di Israele, ma riguarda tutti, ha qualcosa da dire a tutti.
È per tutti che Gesù esercita la sua regalità in questo modo così paradossale: sottomettendosi al potere umano, accettando l’umiliazione e la derisione, e facendo di una croce il suo trono glorioso.
Il riferimento alle tre lingue può aiutarci a fare qualche piccolo passo in più, nella contemplazione di Gesù di Nazaret, “re dei Giudei”, e di ciò che questa regalità ha da dirci.

L’ebraico (forse, storicamente, sarà stato l’aramaico, lingua vicina all’ebraico e parlata in Palestina al tempo di Gesù) è, nel contesto immediato del racconto della Passione, la lingua dei capi del popolo, dei sacerdoti del tempio, del loro potere religioso che si rifiuta di riconoscere colui che il Padre ha mandato nel mondo. Il latino è la lingua del dominatore romano, è la lingua del potere politico e militare, e del diritto: ma di un potere e di un diritto che vengono stravolti e calpestati, dal momento che il giudice qui condanna un innocente, e che dei soldati lo metteranno a morte… Il greco era la lingua della cultura, della comunicazione, dei commerci; la lingua nella quale si esprimevano a livelli ineguagliati, all’epoca, la filosofia, la letteratura; ma anche la lingua della vita quotidiana, del lavoro, degli affari, degli scambi internazionali… Tutte cose nelle quali sembra esserci poco spazio, per ciò che il mistero della Passione del Signore proclama.

Ma queste lingue, che a prima vista esprimono forse l’incomprensione per il mistero che accade sul Calvario, potrebbero essere anche altro. Giovanni, quando scrive il vangelo, probabilmente le conosce già come le lingue di un annuncio che ha saputo raggiungere la varietà dei popoli, delle culture, delle lingue, appunto (e non solo queste tre), e che ha incominciato a trasformare in profondità, a rinnovare, sapienza, cultura, leggi, abitudini… L’evangelista le conosce come lingue di donne e uomini che hanno saputo aprirsi all’annuncio della sorprendente regalità di Cristo, e che sono stati attirati dalla sua Croce: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me», aveva detto Gesù alla vigilia della Passione; e lo aveva detto, annota l’evangelista, «per indicare di quale morte doveva morire» (cf. 12,32 s.).

Davvero il mistero della Passione del Signore è capace di parlare a tutti, di attirare tutti alla grazia e alla misericordia del Padre. Ma sta anche a noi contribuire a far sì che questo annuncio si diffonda nel mondo. Lo faremo anzitutto accogliendo il dono dello Spirito, che Gesù comunica nel suo ultimo respiro (cf. 19,30); e poi sottomettendoci sempre più alla signoria di Cristo, che è perdono dei peccati, fonte di libertà e di gioia, e ci abilita a vivere in quell’amore che, sulla croce, ha raggiunto la sua pienezza.