L’immagine biblica che papa Francesco aveva assegnato alla Giornata mondiale della gioventù, che è stata celebrata nei primi giorni di agosto a Lisbona, era precisamente quella del vangelo che abbiamo ascoltato, il racconto della visita di Maria a Elisabetta: in particolare, il papa aveva scelto (già qualche anno fa) le prime parole del racconto, «Maria si alzò e andò in fretta…» (Lc 1,39).
Il papa ha ricordato questo spunto parlando a oltre un milione di giovani nella veglia di sabato 5 agosto, quando ha detto loro:
«Grazie per aver viaggiato, per aver camminato, e grazie di essere qui! E penso che anche la Vergine Maria ha dovuto viaggiare per vedere Elisabetta: “Si alzò e andò in fretta” (Lc 1,39). Viene da chiedersi: perché Maria si alza e va in fretta dalla cugina? Certo, ha appena saputo che la cugina è incinta, ma anche lei lo è: perché allora andare se nessuno gliel’aveva chiesto? Maria compie un gesto non richiesto e non dovuto; Maria va perché ama e “chi ama vola, corre lietamente” (L’imitazione di Cristo, III,5). Questo è quello che ci fa l’amore».
Sì, dentro al gesto apparentemente semplice di Maria che si alza, si mette in piedi e parte in fretta, sta rinchiuso un mondo intero: e non solo il mondo rappresentato dai giovani che sono andati a Lisbona.
C’è il mondo del nostro essere umani, in ciò che ci distingue rispetto agli altri esseri viventi: subito pensiamo a cose come l’intelligenza, la libertà, la volontà… Cose importantissime, certo!
Ma se, in modo solo apparentemente più semplice, il primo tratto del nostro essere uomini e donne lo individuassimo invece proprio in questa possibilità che a un certo punto si è destata nei nostri lontanissimi antenati: alzarci, stare sui nostri piedi (e così, e non è poco, allargare lo sguardo in avanti e anche verso l’alto), e metterci in cammino?
Alzarsi, stare in piedi, camminare: è un primo modo di onorare la nostra umanità, che forse proprio per questo si apre poi ai doni dell’intelligenza, della libertà…
Sta di fatto che anche quando si tratta di parlare del rapporto con Dio, la Bibbia riprende proprio questo linguaggio. Pensiamo a come incomincia l’avventura di Abramo, «nostro padre nella fede», modello di tutti i credenti: parte dal comando di Dio, che mette Abramo in cammino, lo fa uscire dalla sua terra, dal suo mondo, per farlo incamminare verso la promessa che Dio ha in serbo per lui.
Alzarsi e camminare vuol dire quindi parlare anche della fede – e a Maria, che si è messa in cammino per arrivare alla sua casa, Elisabetta dice: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45); beata per la fede, perché proprio questa fede ha fatto sì che Maria si alzasse e si mettesse in cammino.
Alzarsi e camminare è il segno di ciò che Dio è venuto a dare all’uomo, mandandogli Gesù, il suo Figlio nato dalla Vergine Maria: «Álzati e cammina», dirà Gesù al paralitico: non solo a quello che gli portano davanti calandolo giù per il tetto (cf. Mc 2,11), o a quello incontrato presso la piscina della Porta delle pecore a Gerusalemme (cf. Gv 5,8): non solo a loro, ma a tutti, a tutti noi, all’umanità paralizzata dalla sua fragilità, dalle sue paure, dai suoi peccati…
Gesù è venuto a dire a tutti questa parola, a dare a tutti la possibilità di rialzarsi e camminare, sempre, qualunque sia il peso che vorrebbe tenerci a terra. Questo peso, Gesù l’ha condiviso fino all’estremo, nel mistero della sua Pasqua: e la fede nel Signore risorto afferma proprio questo, che colui è stato ucciso e messo nel sepolcro «si è rialzato» (questo è il primo senso dell’espressione: «è risorto»); si è rialzato, perché la morte non ha potuto tenerlo prigioniero, a ha ripreso il suo cammino: anzi, ci ha mostrato qual è la meta vera e definitiva di questo cammino, è l’amore del Padre, più forte della morte, è la pienezza della vita di Dio, nella quale egli ha introdotto la nostra umanità, perché tutti noi potessimo arrivare fin lì.
E per questo, anche, ha già condotto fino al termine di questo cammino, fino alla pienezza della risurrezione e della vita, anche la sua Madre, Maria di Nazaret: di modo che in lei possiamo avere l’immagine e l’anticipazione del nostro destino, e possiamo contemplare in lei il senso della nostra chiamata a essere uomini e donne che onorano la propria umanità, che camminano guardando alla promessa di Dio, che seguono Gesù Cristo e, con Lui e per mezzo di Lui, vivono la vita come una Pasqua, un passaggio – insieme lieto e faticoso, bello e impegnativo – da questo mondo al Padre.
E forse il modo migliore per sperimentare anche noi la gioia e la bellezza di questo alzarci e metterci in cammino, è preoccuparci di aiutare gli altri a fare lo stesso. Gesù ha fatto questo: ha fatto rialzare chi sembrava ormai prigioniero della morte, ha rimesso in cammino uomini e donne paralizzati in mille modi. E chiede anche a noi, suoi discepoli, di partecipare di questo suo dono e servizio.
Anche noi possiamo offrire agli altri segni di speranza, possiamo aiutare a rialzarsi chi è caduto, accompagnare il cammino della vita di chi fa più fatica: possiamo visitare un ammalato e farlo sentire meno solo, possiamo dire una parola di fiducia a chi si sente stanco, possiamo dare una mano a chi non ce la fa più, possiamo offrire ai più giovani segni e gesti di incoraggiamento e futuro…
Anche noi ci alziamo e camminiamo, come ha fatto Maria, non solo per se stessa, ma anche per altri – per la sua parente Elisabetta, ma anche per tutti quelli e quelle ai quali ha donato il suo Figlio Gesù.
La sua Assunzione in cielo ci assicura che non ci alziamo e non camminiamo invano; ci assicura che la risurrezione del suo Figlio già opera in noi e ci invita a percorrere fino in fondo la strada che conduce alla pienezza della vita.