3 aprile 2024

Apparizione di Santa Maria della Croce

Il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia nella Basilica di S. Maria della Croce, mercoledì 3 aprile 2024, in ricordo dell’apparizione della Vergine Maria a Caterina degli Uberti, il 2 aprile 1490. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

 

Spero di non commettere un’operazione troppo spericolata, cercando di leggere l’apparizione della Vergine Maria a Caterina degli Uberti, in questo luogo, tra il 2 e il 3 aprile 1490, e il notissimo, e però sempre straordinario racconto dell’apparizione del Signore risorto ai discepoli sulla via di Emmaus (cf. Lc 24,13-35); e anche viceversa, nel senso che dovremmo leggere sempre le apparizioni della Vergine Maria e dei Santi come “prolungamenti” del mistero pasquale, mistero che continua a essere operante anche grazie a coloro che il Signore risorto sceglie, per trasmettere agli uomini la potenza salvifica che deriva dalla sua morte e risurrezione gloriosa.
L’anello di congiunzione tra ciò che avvenne la sera del giorno di Pasqua, nell’incontro misterioso del Risorto con i due discepoli, e ciò che avvenne qui la sera del 2 aprile 1490, lo possiamo vedere nella preghiera che i due discepoli rivolgono al pellegrino che si è unito a loro, ma che non hanno ancora riconosciuto: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29).
Neppure per i discepoli di Emmaus quella sera costituiva un semplice dato astronomico, un’ora specifica del giorno. Era calata la sera sulle loro speranze, sulla fiducia che avevano riposto in Gesù di Nazaret, sulla possibilità di vedere realizzato il sogno che avevano riposto in Dio, quando si erano messi al seguito di quel «profeta potente in opere e in parole», che però i capi dei sacerdoti e le autorità avevano «consegnato per farlo condannare a morte», ottenendo la sua crocifissione (cf. vv. 19 s.).
Per Caterina era giunta addirittura, e in che modo drammatico, la sera della vita. Non sappiamo – almeno, io non so – se un itinerario di disillusioni, di perdita di speranze, di amarezze fosse incominciato, nella sua vita, già in precedenza, magari dopo che aveva sposato (poco più di un anno prima) l’uomo che poi l’avrebbe derubata e ridotta in fin di vita.
Tutto, in ogni caso, è crollato definitivamente per lei in quella sera, con quell’aggressione, e con l’amarezza di trovarsi tradita, sola, abbandonata, ferita a morte…
Tutto, tranne l’invocazione della fede, un’invocazione certamente anche più consapevole di quella dei due discepoli di Emmaus: un’invocazione che, attraverso la preghiera rivolta alla Vergine Maria, cercava ancora e sempre il dono di amore che può venire solo dal suo Figlio.

I due discepoli di Emmaus chiedono al loro compagno di strada che si fermi con loro, che non li lasci soli, in quella sera: non sanno ancora che il dono che otterranno è quello che sempre, non solo in quel momento, permetterà a loro, e a tutti gli altri discepoli di Gesù, in ogni luogo e in ogni tempo, di riconoscere la presenza del Risorto, del Vivente: Gesù spezza il pane, comunica il suo dono di amore, rinnova il gesto dell’ultima Cena, nella quale aveva lasciato il sacramento del suo amore.
Quel dono, il dono dell’amore fedele di Dio consegnato nei sacramenti della Chiesa, Caterina degli Uberti aveva imparato a riconoscerlo e a riceverlo in tutta la sua vita di cristiana. La sua invocazione alla Vergine Maria è orientata ai sacramenti, è l’invocazione di non dover lasciare questo mondo senza quei doni, che rinnovano nella vita dei cristiani i gesti di salvezza del Signore Gesù. I sacramenti sono presenza e dono del Figlio, Gesù Cristo: ecco perché, invocando per l’intercessione di Maria la grazia di non morire senza i sacramenti, Caterina ripete sempre, in definitiva, la preghiera dei discepoli di Emmaus, continua a dire con loro al Signore Gesù: «Resta con noi, resta con me, perché si fa sera…»
Gesù rimane con i discepoli, l’evangelista lo sottolinea: «Egli entrò per rimanere con loro» (v. 29): ma il suo rimanere non è confinato a quella sera – anzi, come riferisce il racconto, nel momento in cui gli occhi dei discepoli si aprono e lo riconoscono, dopo la frazione del pane, «egli sparì dalla loro vista» (v. 31).
Sparisce dalla vista, ma rimane con loro, rimane con i discepoli sempre, rimane appunto nei suoi gesti di salvezza; e rimane certamente anche nel modo in cui la Chiesa continua a raccontare di Lui, e continua a farlo non solo con le parole, come è l’annuncio pasquale che fanno i due discepoli, tornando immediatamente verso Gerusalemme, ma in tutti i modi nei quali i discepoli di Gesù manifestano e mettono in pratica la sua cura attenta e premurosa per chi soffre nel corpo e nello spirito.

Per questo qui, questa sera e in questo luogo, il nostro pensiero e la nostra preghiera vanno in modo particolare a tutti coloro che sono vittime di violenza e sopruso, e soprattutto alle donne che patiscono violenza e oltraggi che troppo spesso, lo sappiamo, continuano a condurle fino a morte, come è accaduto più di cinque secoli fa a Caterina degli Uberti.
Non sempre – anzi, probabilmente solo in rarissimi casi – quelle donne chiedono aiuto, come ha fatto Caterina, rivolgendosi alla Vergine e domandando la grazia di non morire senza i sacramenti. Ma noi siamo convinti che nella loro richiesta di aiuto, quale che sia, e in qualsiasi modo venga espressa, risuona sempre l’invocazione: «Rimani con noi, Signore…».
A noi, sostenuti dalla grazia di Dio e dall’intercessione della Vergine Maria, il compito di raccogliere questo grido, di non lasciare sole le donne che patiscono, di fare tutto il possibile (in un impegno che, certo, interpella tutta la società) perché non abbiano mai a subire violenza e morte; e, qualora disgraziatamente ciò dovesse ancora accadere, perché sentano accanto a sé fratelli e sorelle che si fanno loro vicini, si fanno prossimo nella cura, nella solidarietà e manifestano così, anche senza tante parole, che il Signore Gesù è rimasto e rimane con loro, e sempre offre loro speranza e salvezza.