Riportiamo di seguito l’omelia che il vescovo Daniele ha tenuto in Cattedrale, nella Messa della notte di Natale (24 dic. 2024)
Ripeteremo tra poco, dopo questa mia omelia, le parole della professione di fede. L’anno che sta per arrivare, il 2025 – oltre a essere caratterizzato dalla grazia del Giubileo, che papa Francesco ha ufficialmente aperto poco fa a Roma, e che noi apriremo, come in tutte le altre diocesi, domenica prossima, 29 dicembre – vede anche la ricorrenza dei 1700 anni della celebrazione del concilio di Nicea: fu il primo concilio ecumenico della storia, e proprio a questo concilio dobbiamo la prima formulazione della professione di fede, il Credo, che ancora oggi utilizziamo, secondo un testo che fu poi integrato nel secondo concilio ecumenico, tenuto a Costantinopoli nel 381.
Tra poco, dunque, noi ripeteremo insieme questa professione di fede, di grande importanza anche per il suo significato ecumenico, perché è la professione di fede accolta da tutti i cristiani, “prima” di ogni divisione che la storia ha portato con sé.
Ripetendo la professione di fede diremo, tra le altre, le parole che ricordano il mistero che celebriamo in questa notte:
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Sono parole decisive per la nostra fede, specialmente in questa liturgia natalizia: per questo, tra l’altro, le indicazioni liturgiche suggeriscono di mettersi in ginocchio, durante questa Messa di Natale, mentre vengono pronunciate.
Vorrei sottolineare un parallelo tra queste parole e quelle che l’angelo rivolge ai pastori, secondo il vangelo proclamato poco: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11).
È da notare questo “per voi”, che corrisponde appunto a ciò che diremo nel \emph{Credo} in una forma appena più sviluppata: «Per noi uomini e per la nostra salvezza».
Non intendo approfondire il senso teologico di queste espressioni. Faccio notare, piuttosto, il contrasto che c’è, nel vangelo, tra il “per voi” della nascita di Gesù, e il fatto che “per loro”, cioè per Maria, Giuseppe e questo bambino appena nato, «per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7), non c’era posto nell’abitazione degli uomini, e il posto hanno dovuto trovarglielo fra gli animali, nella mangiatoia.
“Per loro”, per lui, non c’era posto: eppure, Egli è nato “per noi”: e questo sarà l’orientamento di tutta la vita di Gesù. Egli non viene per sé, non cerca un proprio vantaggio, ma quello nostro; e fino alla fine, soprattutto alla fine, anche quando per lui non ci sarà più posto, e verrà spinto fuori, espulso e condannato sulla croce, lui continuerà a vivere e a morire «per noi uomini e per la nostra salvezza».
Appartiene alla nostra condizione umana di non limitarci semplicemente a “vivere”, ma di farci domande intorno a noi, alla nostra esistenza, al senso della nostra vita; di chiederci, insomma, “chi siamo, perché viviamo, perché siamo al mondo?».
Ma, come papa Francesco ama ricordare, la domanda probabilmente più decisiva è un’altra, e cioè: per chi sono io, per chi vivo?
Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”. Come la Madonna, che è stata capace di domandarsi: “Per chi, per quale persona sono io, in questo momento? Per la mia cugina”, ed è andata (Francesco, Discorso nella Veglia di preghiera in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù, 8 aprile 2017; cf. Id., Esort. ap. Christus vivit, n. 286.)
Sono parole che il Papa ama ripetere soprattutto ai giovani, ma credo che abbiano un senso per tutti. E, naturalmente, domandarsi “per chi sono io?” non esclude il senso delle altre grandi domande (“chi sono?, perché vivo?…”). Ma non cogliamo fino in fondo il mistero del Natale, se non mettiamo in primo piano questo “per chi”: “per voi è nato un Salvatore”, “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo…”.
Tutto il vangelo confermerà che l’esistenza di questo bambino, di cui oggi celebriamo la nascita riconoscendo in lui il Figlio di Dio, è una “esistenza-per”; e proprio così Gesù rivelerà il volto di Dio.
Certo, non si può “ridurre” Dio, la sua trascendenza, la sua pienezza di vita, a qualcosa che “serve” a noi: ma entrando nel mondo “per noi uomini e per la nostra salvezza”, e facendo della sua vita e della sua morte un dono di amore “per noi”, Gesù ha voluto darci quella certezza che l’apostolo Paolo, scrivendo ai Romani, esprimerà così:
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? …
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? …
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (cf. Rm 8,35-39).
Questo è il punto di arrivo dell’annuncio degli angeli ai pastori. E riconoscerlo, come faremo tra poco ripetendo le parole del Credo, non può essere solo una cosa di parole. Significa accogliere Colui che è nato per noi come nostro Signore e Salvatore; e significa riconoscere che solo una “vita-per”, come è stata quella del Signore Gesù, solo una vita che, per sua grazia, diventa dono, è veramente piena, è umana e divina insieme.
Sia questa la grazia che chiediamo per il Natale: di riconoscere e accogliere Colui che è entrato nel mondo «per noi uomini e per la nostra salvezza» e, camminando dietro a lui, poter diventare anche noi testimoni di una vita donata per la salvezza del mondo.
