28 giugno 2023, chiesa parrocchiale di Chieve

10° anniversario della morte di don Pino Lodetti

Nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, il vescovo Daniele ha presieduto nella chiesa parrocchiale di Chieve la celebrazione eucaristica in ricordo di don Giuseppe ‘Pino’ Lodetti, prete diocesano, originario di Chieve, missionario fidei donum in Venezuela e Guatemala, nel decimo anniversario della morte, avvenuta in Guatemala il 28 giugno 2013.

Il dialogo tra Gesù e Pietro (cf. vangelo: Gv 21,1-19) si svolge su una spiaggia: anche se non è la spiaggia della riva americana dell’Oceano Pacifico, sulla quale ho potuto fermarmi per qualche minuto l’estate scorsa, durante il mio viaggio in Guatemala; quella spiaggia che don Pino ha visto pressoché tutti i giorni, nei ventisei anni del suo ministero pastorale al Puerto San José.
Lui stesso ha raccontato questa specie di rito pastorale, legato alla spiaggia, che si ripeteva quotidianamente. Riprendo per intero il suo breve racconto, che riassume un suo intervento al Congresso Missionario diocesano della diocesi di Escuintla, tenuto il 13 novembre 2004.
Del resto, anche l’apostolo Paolo – l’abbiamo sentito nella seconda lettura – è un missionario che si racconta, scrivendo ai Galati. Mettiamoci anche noi in ascolto del racconto missionario di don Pino, come se fosse una lettera che ci arriva ancora da lui… Immagino che molti di voi abbiano già ascoltato questo testo in altre occasioni, o abbiano avuto modo di sentire qualcosa di simile dalla viva voce dello stesso don Pino. Ma è come per le letture bibliche della Messa: le riascoltiamo tante volte, sempre hanno qualcosa di nuovo da dirci. E don Pino raccontava:

Vi racconto come io svolgo la missione nel Puerto San José.
Quando mi sveglio mi siedo sul letto e mi raccomando a Dio, bacio un crocifisso che mi ha dato mia mamma quando è morta, lei mi ha detto: «Non dargli mai il bacio di Giuda».
Poi dico: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo». Quello che cerco è far presente Gesù nel Porto, che io possa prolungare la sua vita. Apro la finestra e benedico il popolo. Davanti al Santissimo faccio una genuflessione e mi dispongo a riconoscere Gesù presente nei poveri: Gesù di qui e Gesù di là.
Mi incammino verso la spiaggia, saluto tutti, a tutti offro la mano, entro in quattro bar di malavita, saluto, offro la mano alle persone e una moneta, per questo mi chiamano “el ajustón” [cioè “quello che completa quanto manca”]… Sempre mi ricordo di Hector René che diceva: «Come prima cosa la mano e poi la moneta…». Certo, come prima cosa la mano, come prima cosa la dignità.

A pensarci bene, questo ci rimanda a ciò che abbiamo ascoltato nella prima lettura: Pietro che dà la mano allo storpio, e lo fa rialzare (cf. At 3,7)… Riprendiamo l’ascolto delle parole di don Pino:

Vado in spiaggia, incontro il mare. Le onde mi insegnano la perseveranza nella mia vocazione, il mare mi ispira la preghiera. Ricopio in un quaderno il Vangelo del giorno, poi traccio tre colonne con tre domande: cosa fa Gesù? Dove incontro oggi Gesù risorto nella vita della gente? A cosa ci invita il Signore in questa giornata?
Ritorno per un’altra strada. Compro un quotidiano. Domando al venditore qual è la notizia più impressionante. Controllo se c’è qualche detenuto nel carcere locale per salutarlo e chiedergli se gli serve qualcosa. Pago la colazione a bambini e ragazzi della strada (mi criticano molto, dicono che questo è solo «allattare piccoli drogati»).
Mangio qualcosa. In chiesa prego la prima parte del Rosario: sempre qualcuno mi accompagna. Domando se qui da noi è morto qualcuno. Ricevo le persone, se ci sono.
Studio, per esempio l’evangelizzazione (Gesù di qua, Gesù di là), il cristianesimo, la religione della gratuità (i poveri, le prostitute, coloro che non hanno nulla da dimostrare…). Mi considero un “analfabeta tecnologico”, contento di esserlo per essere solidale con gli analfabeti tecnologici. Tuttavia non siamo analfabeti di Gesù, che ci ama molto!

Ecco! E siamo così tornati alla spiaggia: quella del lago di Tiberiade, dove Gesù ha riempito le reti dei pescatori dopo una notte di pesca andata a male, e dove si svolge il dialogo che abbiamo ascoltato nel vangelo: un dialogo che riguarda il rapporto tra Gesù e Pietro, ma anche il rapporto di Pietro con gli altri discepoli.
Dietro alle domande di Gesù, Pietro è sollecitato a riconoscere un amore che l’ha prevenuto, e che si è manifestato pienamente nella croce, quella croce dalla quale lui era fuggito, rinnegando tre volte il Signore. Se adesso – con fatica – può dire a Gesù: «Ti voglio bene», è perché ha riconosciuto e creduto all’amore. A questo punto, con le parole di don Pino, anche Pietro può dire: «Non siamo analfabeti di Gesù, che ci ama molto!».
Per questo ora gli è anche chiesto di prendersi cura degli altri: di guidarli, di sostenerli, cercando di imitare lo stesso amore che gli si è manifestato. Perché Gesù rimane il vero Pastore («Pasci i miei agnelli… pascola le mie pecore…»): ma si tratta di rendere presente Lui; come diceva don Pino, si tratta di «far presente Gesù…, che io possa prolungare la sua vita». Per lui, nel Puerto; per noi, per ogni discepolo, ovunque ci troviamo.
Perché la vocazione di Pietro e di Paolo ha certamente qualcosa di unico, di straordinario, che riguarda solo loro: è il loro modo di essere discepoli («Séguimi», dice Gesù a Pietro: è un richiama alla condizione del discepolo; e anche Paolo si presenta anzitutto come colui che ha ricevuto il vangelo: cf. Gal 1,12) e di essere missionari: mandati in mezzo alle genti, mandati per «condurre fuori» (cf. Gv 10,3-4) la comunità dei discepoli, per condurla verso il mondo per annunciare il Vangelo…
Però anche don Pino, come pure don Imerio [Pizzamiglio], con il quale ha condiviso tante scelte e tanta parte della vita, e come altri, anche della nostra Chiesa, hanno riconosciuto la loro via di discepoli missionari; don Pino, in particolare, l’ha vissuta in modo tale da lasciare nella sua comunità l’impronta e l’eco della santità.
Se il Signore vorrà, questa santità sarà un giorno riconosciuta anche ufficialmente nella Chiesa. Ma la cosa importante è che il suo esempio, il suo modo gioioso di rendere presente Cristo in mezzo alla sua comunità, alla sua gente, ai suoi poveri, contagi anche noi, perché anche per ciascuno di noi si tratta, con la luce dello Spirito, di trovare il nostro modo proprio di essere discepoli missionari.
Non vale solo per Pietro o per Paolo, o per don Pino e don Imerio, o per il beato Alfredo… ciascuno a suo modo, questa chiamata vale per tutti. Ci aiuti il Signore, per intercessione dei santi apostoli, a riconoscerla e a viverla nella nostra vita di ogni giorno.