La scomparsa di don Primo Pavesi

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Stamattina, lunedì 16 agosto,  mentre concelebrava l’Eucarestia nella parrocchiale di Capergnanica nella memoria di S.Rocco, improvvisamente è  spirato don Primo Pavesi.
Era nato a Santa Maria della Croce il 23 ottobre 1929  e ordinato presbitero  il 28 giugno del 1953 dall’allora vescovo di Crema Mons. Giuseppe Piazzi. Nei suoi 68 anni di sacerdozio don Primo è stato  vicario parrocchiale a Trescore Cremasco dal 1953 al 1955 e poi a San Benedetto dal 1955 al 1969.
Nel 1969 diventava parroco di Ripalta Guerina, dove vi rimase fino al 1986 quando il vescovo Libero Tresoldi lo chiamava alla guida della  comunità di  Capegnanica. Incarico che mantenne fino al 2005. Inoltre dal 1970 al 2013 ha ricoperto il ruolo di Consulente ecclesiastico diocesano della Federazione provinciale “Coltivatori Diretti” e direttore delle Sale della comunità (1975-2005).  Dal 2005 al 2019 si è reso disponibile come cappellano nell’Unità pastorale di Ripalta Nuova – Bolzone – San Michele – Zappello.

 La salma è esposta nella chiesa parrocchiale di Capergnanica. I funerali verranno celebrati Mercoledì 18 agosto alle ore 10,00 a Capergnanica. La tumulazione avverrà poi nel cimitero di Santa Maria della Croce.

Il vescovo Daniele, tutto il presbiterio cremasco e la comunità dei fedeli lo ricordano con affetto e riconoscenza nella preghiera.

 

Riportiamo qui sotto due brani del testo “Breviario – Viaggio nella memoria del parroco emerito don Primo”, dove emergono la sua fede, la sua ironia e il suo zelo pastorale.

Preoccupazione

Presto sarò parroco emerito e mi metterò in panchina, non so dove, bonariamente accolto in una casa non mia perché non ho casa. Non vorrei essere colpito dalla sindrome del pensionato. Godrò di un certo senso di libertà per la cessazione delle responsabilità, non vorrei però che subentrassero sconforto, irritazione e isolamento. Se sarò in grado offrirò qualche servizio, non lascerò l’altare e il breviario, qualche buona lettura, le preghiere, lo svago e se mi avanzerà tempo preparerò polpette all’amico fedele Bubù. Poi aspetterò che mi spuntino le ali per una trasvolata. Mi preparerò adeguatamente perché voglio che il decollo riesca il meglio possibile.

Fine corsa

È arrivato il tempo di chiudere. Come vorrei che l’avventura continuasse! Ho condiviso con voi gioie e dolori, speranze e delusioni. Ho percorso una strada lunga 50 anni di servizio pastorale – 19 con voi – non priva di difficoltà. Ora si è fatta molto bella, bella come un viale. Peccato che sia il viale del tramonto!

A fine corsa mi pare di aver giocato una partita a tre tempi corrispondenti a tre età. Il primo tempo giocato da giovane curato con energie fresche, entusiasmo e qualche scanzonatura. Il secondo tempo da giovane parroco, con passione e orgoglio. Il terzo tempo da parroco maturo, giocato col fiato corto ma nella resistenza alle molte sfide e con tenacia.

Quando ho iniziato la mia partita non avevo strategie particolari. Mi sono immischiato coi ragazzi, i giovani, gli adulti. Ho giocato con loro, ho fatto il tifo sui campi da calcio, ho accompagnato ragazzi e ragazze sui campi di neve, in gite turistiche; ho dormito in tenda in campeggi di fortuna sui monti e al mare. Ho incontrato la mia gente nei campi, sugli argini del Serio. Ho celebrato feste e inventato momenti ricreativi. Molti di voi siete stati protagonisti di episodi e avventure capaci di suscitare indimenticabili nostalgie ed emozioni. Trovo ora grande soddisfazione e nessun pentimento. Rifarei tutto da capo, ben inteso con le stesse persone che ho avuto la fortuna di incontrare e alle quali dico di cuore grazie.

Al termine del mio mandato, ricorrendo alle parole di San Paolo, dico: “Son venuto tra voi non per fare da padrone sulla vostra fede, ma collaboratore della vostra gioia”. Detto da me ha il sapore di una sviolinata al mio io, una lusinga, un apprezzamento esagerato. Forse mi inganno, ma il proposito era sincero. L’impudenza è una malattia che non conosco.

Qualche complimento al termine del mio servizio a Capergnanica me giunto. Troppa buona la mia gente! Teatro, chiesa, casa parrocchiale, chiese sussidiarie, campane, oratorio, attrezzature sportive, scuola materna convertita in fondazione privata: insomma, qualcosa si è fatto.

Non sono così fatuo nell’attribuirmene il merito. Non voglio assomigliare alla lumachella del celebre Trilussa che si gloriava di lasciare la sua impronta storica sull’obelisco in Roma: era la sua bava. Io dico grazie alla popolazione per quanto è riuscita a fare e la invito a dire con me: “Deo gratias”.