Celebrazione cittadina del ‘Corpus Domini’ – 16 giugno 2022

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Al ‘Parco Bonaldi’ di Crema, giovedì 16 giugno 2022, il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia, nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue del Signore (‘Corpus Domini’), a cui ha fatto seguito l’adorazione eucaristica e poi la processione per la riposizione del SS.mo Sacramento nella chiesa parrocchiale dei Sabbioni. Riportiamo l’omelia del vescovo.

È diventata una moda, quasi uno slogan continuamente ripetuto, soprattutto nella Chiesa, criticare quelli o quelle che si rifugiano dietro al «si è sempre fatto così»; chi, insomma, si oppone ai cambiamenti, chi chiude gli occhi di fronte alle trasformazioni, spesso di grande portata, che domandano anche ai cristiani di ripensare il modo in cui vivono la loro missione e la loro testimonianza.
Del resto, è vero che di cambiamenti, nella storia della Chiesa, ce ne sono stati in abbondanza: a volte imposti dalle vicende storiche; spesso, però, nati da veri impulsi rinnovatori, portati avanti con grande fede e grande immaginazione, da uomini e donne che si rendevano ben conto della novità dei tempi e delle domande che queste novità ponevano anche alla Chiesa.
Certo, dunque: il «si è sempre fatto così» rischia di essere un grosso limite, un grosso impoverimento. Però, il modo in cui l’apostolo Paolo trasmette ai Corinzi la tradizione sull’ultima Cena, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura (cf. 1Cor 11,23-26), assomiglia moltissimo a un «si è sempre fatto così». Di fronte alla presenza di abusi, che si andavano delineando nel modo in cui si viveva la «cena del Signore», cioè l’Eucaristia, nella comunità di Corinto, Paolo ricorre precisamente al «si è sempre fatto così», cioè al principio di «tradizione», che ritroviamo nella frase: «Io… ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11,23).
In altre parole, abbiamo qui, secondo Paolo, qualcosa di indisponibile, di irrinunciabile, che non può essere soggetto a trattative o sconti. Col passare del tempo, il dono che il Signore Gesù, «nella notte in cui veniva tradito» (ivi) ha lasciato alla sua Chiesa, potrà essere senza dubbio approfondito, contemplato, compreso sempre meglio (nella fede, evidentemente!) – com’è successo, di fatto, nei venti secoli di storia della Chiesa, e come prova la stessa festa del Corpus Domini. Nel suo nucleo fondamentale, però, rimane qualcosa su cui la Chiesa non potrà che continuare a dire: «si è sempre fatto così», e così si dovrà continuare a fare, come il Signore ci ha detto: e, certo, cercando anche di capire sempre meglio – e, soprattutto, di mettere in pratica sempre meglio – ciò che questo dono dell’Eucaristia porta con sé.
Vorrei provare a sottolineare brevemente un paio di queste implicazioni.
La Cena del Signore è, prima di tutto, un luogo centrale della «memoria» di Gesù. «Fate questo in memoria di me» (vv. 24-25), ha ripetuto due volte il Signore, secondo la tradizione raccolta e trasmessa da Paolo. In memoria di me, dunque proprio di Gesù di Nazaret: perché la fede cristiana non è un sistema religioso, una gnosi fatta di belle idee o un sistema di precetti, ma è radicata nel legame con quell’uomo, Gesù di Nazaret, vissuto duemila anni fa, e nel quale Dio ha voluto venire incontro definitivamente all’uomo e al mondo.
Non c’è fede cristiana senza il rapporto con Gesù Cristo e la memoria di lui, vivificata dallo Spirito. E il «luogo» principale di quella memoria, secondo la parola del Signore, è proprio la sua Cena, la celebrazione dell’Eucaristia.
E c’è davvero da chiedersi come sia possibile che la maggior parte dei battezzati, almeno dalle nostre parti, diserti abitualmente l’incontro con Gesù Cristo nell’Eucaristia, lasciando così cadere proprio il momento centrale e più rilevante della nostra memoria del Signore. Com’è possibile pensare di essere cristiani, e non obbedire al comando del Signore, al suo «fate questo in memoria di me»?
Forse, però, prima di criticare altri, faremmo bene a guardare a noi stessi – lo dico a me per primo – e a chiederci fino a che punto la partecipazione alla Cena del Signore imprime nella nostra vita i tratti che hanno caratterizzato quella di Gesù, il senso complessivo della sua esistenza e in particolare di quel gesto, l’Eucaristia, nel quale egli ha voluto racchiudere questo senso complessivo.
Il «si è sempre fatto così» significa anche questo, infatti: che non ti puoi discostare dalla «norma» che ti è data da Gesù Cristo, dal suo dono radicale di amore; non puoi andare alla ricerca di altre vie, rispetto a quella che lui ha disegnato per te in tutta la sua vita, fino al culmine della passione e della Croce, punto di arrivo di una vita interamente vissuta per il Padre e per i fratelli (di fatto, «ogni volta… che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga»: v. 26).
Questo, almeno, se vuoi continuare a considerarti un suo discepolo, uno che vive della memoria di Gesù e della sua presenza vivente nello Spirito. Ma non sempre, purtroppo, «si è fatto così»; non sempre si vive in coerenza con questo mistero. Magari c’è adorazione, c’è lode, c’è riconoscenza e stupore per questo grande mistero dell’Eucaristia, nel quale il Signore si è donato a noi come cibo spirituale e bevanda di vita eterna; e sono tutte cose bellissime, giuste e doverose, ci mancherebbe!
Ma «fare questo» in memoria di Lui non significa soltanto rifare la Cena del Signore, come facciamo anche adesso, e adorare il suo Corpo e il suo Sangue, come faremo poi. Significa «rifare» in noi – o meglio, lasciare che si rifaccia in noi, proprio a partire da questo cibo, e per virtù dello Spirito – tutta la sua vita, la sua fiducia filiale nel Padre, la passione per il Regno di Dio, la bellezza del suo vangelo, l’amore per i piccoli e dei poveri, la misericordia per i peccatori, l’edificazione di un’umanità fraterna, la carità spinta fino al dono della propria vita…
Celebriamo dunque la Cena del Signore, perché «si è sempre fatto così», e così continueremo a fare, per obbedire al comando di Gesù. Ma chiediamo la grazia che tutta la nostra vita, e la vita della Chiesa, sia «sempre fatta così», come un prolungamento di quella del Signore, in perfetta continuità, grazie al dono del suo Corpo e del suo Sangue per noi, e in quella novità che sempre lo Spirito sa dischiudere, per chi gli presta ascolto.