5 marzo 2025

Mercoledì delle Ceneri

Mercoledì 5 marzo 2025 il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la santa Messa con il rito delle Ceneri, all’inizio del tempo di Quaresima. Riportiamo di seguito la sua omelia.

 

Domenica scorsa, tre giorni fa, la parola di Gesù, nel vangelo, ci parlava del cuore: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6,45): così si concludeva il vangelo di domenica.
In questo primo giorno di Quaresima, questa parola l’abbiamo sentita risuonare altre volte, anzitutto nelle parole del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (Gl 2,12-13).
Gli ha fatto eco, poi, il salmo responsoriale: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo…» (Sal 51/50, 12); e poi anche il vangelo.
Qui, tutti voi che avete ascoltato attentamente il vangelo potreste dirmi: guarda che ti sbagli, guarda che nel vangelo di oggi la parola “cuore” non si trova neppure una volta… Eppure, Gesù, nel suo insegnamento sull’elemosina, sulla preghiera e sul digiuno, parla anche del cuore – anzi, forse parla proprio principalmente del cuore; ma lo fa con un’altra parola, la parola “segreto”. E per tre volte ripete ai discepoli: «il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4.15.18).
Il “Padre che vede nel segreto” è un’espressione vicina a quella che troviamo altre volte nella Bibbia: Dio è colui che conosce il cuore dell’uomo (cf. Ger 11,20; 20,12; At 1,24; Ap 2,23); perché, mentre l’uomo «vede l’apparenza, il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7).
Riceviamo così una prima indicazione preziosa, per vivere il tempo di grazia della Quaresima: questo tempo ha a che fare con il nostro “cuore”, con ciò che di più profondo e vero c’è in ciascuno di noi. Non è un tempo di esteriorità, ma di interiorità: un tempo nel quale ci è fatta la grazia, se lo vogliamo, di “rientrare in noi stessi”, di fare la verità in noi stessi, perché Dio possa aiutarci a fare luce in noi, possa prendersi cura del nostro cuore e metterci in sintonia con Lui e con i progetti del suo cuore.

D’altra parte, poi, il Padre ci incontra sì nella profondità del nostro cuore – lui che «vede nel segreto» – ma a proposito di qualcosa che non è pura interiorità. Gesù, nel suo insegnamento, ripercorre le pratiche, già conosciute nel mondo ebraico del suo tempo, dell’elemosina, della preghiera e del digiuno: e ci invita a farci diagnosticare da Dio su come “funzionano” le nostre relazioni fondamentali: con gli altri (elemosina), con Dio (preghiera), con le cose, con il “mondo” (digiuno); e, con la diagnosi, ci invita a lasciarci curare da Lui.
Ciò che abbiamo nel cuore, e che solo noi conosciamo (fino a un certo punto, peraltro; mentre Dio, appunto, lo conosce bene), presto o tardi finisce per emergere, per venire a galla, come appunto ci ricordava Gesù nel vangelo di domenica scorsa. E l’ipocrisia, di cui parla Gesù nel vangelo di oggi («non siate come gli ipocriti…», ripete per tre volte: cf. Mt 6,2.5.16), cioè l’atteggiamento di chi “recita”, come su un palcoscenico, per mascherare ciò che abbiamo nel cuore, non regge a lungo. Certamente non regge davanti a Dio.
Possiamo essere ricondotti alla verità del cuore, dunque, proprio a partire dal modo in cui viviamo le relazioni con gli altri, con Dio, con il mondo e con le cose di cui abbiamo bisogno.
Perché – solo per fare qualche accenno – l’elemosina fatta in definitiva per umiliare l’altro e sentirsi in pace con la propria coscienza; l’ostentazione della vita religiosa e degli atti di culto che onorano Dio con le labbra, mentre il cuore è lontano da lui (come già dicevano i profeti, e come ripete Gesù: cf. Mt 15,7-8); un rapporto malsano con le cose, un rapporto “divoratore”, che ci rende schiavi delle cose e incapaci di vera condivisione… ecco, tutte queste sono manifestazioni di ferite profonde del cuore, di patologie che hanno bisogno di essere curate seriamente.
Nel libro del profeta Geremia, Dio critica con severità i capi religiosi del popolo di Israele i quali, dice Dio attraverso il profeta, «curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: “Pace, pace!”, ma pace non c’è» (Ger 6,14): sono come quei cattivi medici che, per non turbare il paziente, dicono: “Tutto va bene, non si preoccupi…”, anche quando la malattia c’è, ed è grave, e andrebbe curata con attenzione.
Per questo, sempre nel libro di Geremia, Dio dice, a un certo punto: «Curerò… la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe» (30,17). Dio stesso si fa carico della salute del suo popolo, della sua salvezza; Dio stesso promette di essere il vero medico.
Il tempo di Quaresima è per noi questo tempo: un tempo di cura, nel quale metterci con fiducia, con gioia, nelle mani di Colui che sa andare alla radice profonda del male che c’è in noi, per restituirci a pienezza di vita: convertendo a Lui il nostro cuore, lasciando che sia Lui a creare in noi un “cuore nuovo”, un cuore di figli, che si sanno amati dal Padre e capaci, per questo, di vivere in pace con Lui, con i fratelli, con il mondo intero.