Il vescovo Daniele ha presieduto la solenne Veglia pasquale, nella Cattedrale di Crema, la sera dell’8 aprile 2023. Riportiamo qui la sua omelia.
Il vangelo di Matteo non bada a spese, nel descrivere non già la risurrezione di Gesù in quanto tale – nessun vangelo canonico ci prova – ma il modo in cui essa si manifesta agli uomini (cf. Mt 28,1-10): un terremoto (che nella Bibbia indica sempre un intervento divino); l’apparizione sfolgorante di un angelo; il masso, che chiudeva l’ingresso del sepolcro, che viene rotolato via e diventa il seggio, o forse potremmo dire l’ambone, dal quale l’angelo proclama l’annuncio pasquale…
Forse abbiamo la tentazione di pensare: eh, se anche noi potessimo vedere segni come questi, sarebbe più facile credere che Gesù è davvero risorto; magari, anche questa umanità distratta, che per la maggior parte (battezzati compresi, s’intende) trascorre questa notte santa, vero cuore della fede cristiana, in tutt’altre faccende affaccendata, sarebbe indotta con più decisione a credere…
Lo stesso evangelista dissipa alla svelta queste suggestioni, perché ci racconterà poi come neppure i soldati posti a guardia del sepolcro, che pure sono stati testimoni diretti di questi segni, sembrano avere creduto più di tanto; e si sono lasciati corrompere alla svelta, per mettere in giro la diceria di un furto del corpo di Gesù (cf. Mt 28,11-15).
La liturgia di questa santa Veglia di Pasqua annuncia la risurrezione di Gesù con segni di tutt’altro genere. Segni deboli, in apparenza. Abbiamo acceso la luce di un cero, e con la sola guida di questa piccola luce siamo entrati nella cattedrale buia, immersa nelle tenebre. Abbiamo ascoltato molte parole, provenienti da testi scritti secoli e secoli fa, e che non sono neppure sempre facilmente comprensibili. Riceveremo su di noi qualche goccia d’acqua, una piccola pioggia – mentre i nostri campi hanno bisogno di piogge ben più consistenti – che non basterà neppure a farci sentire bagnati o lavati. Ci accosteremo a ricevere un pezzo di pane minuscolo, che certo non sazierà il nostro stomaco…
Sono tutti segni “mancanti”, deficitari. La luce che abbiamo acceso non dissipa il buio, e scompare in mezzo alle tante altre luci della nostra città; la parola sparisce nel profluvio di parole che ci arrivano addosso ogni giorno (e alle quali anche noi contribuiamo); l’acqua non basta a trasformare in terra fertile i nostri deserti; il pane non riesce a sfamare i tanti che ancora non hanno di che mangiare a sufficienza…
Ma proprio a partire da questi deficit possiamo incominciare a capire qualcosa del mistero di questa notte santa. Del resto, il primo segno che viene offerto alle donne del vangelo è quello di una mancanza: sono invitate a guardare al sepolcro, ma solo per constatare che è vuoto: «Gesù, il crocifisso, non è qui; è risorto, come aveva detto» (cf. 28,6).
Di fatto, la potenza di Dio, che fa passare da morte a vita il Figlio suo, non è dell’ordine delle potenze che ci immaginiamo noi poveri uomini.
Non è una potenza che abbaglia, che schiaccia, che opprime o calpesta: non calpesta neppure i peccatori, neppure chi, il Figlio, lo ha condotto a morte. No: è piuttosto una potenza che raccoglie, che ricupera ciò che agli occhi del mondo conta poco o nulla. Questa potenza opera come il muratore, che in mezzo a un mucchio di rottami trova una pietra, e dice: proprio questa, la pietra scartata dai costruttori (cf. Sal 118/117,22), mi serve, per fondare l’edificio nuovo che voglio costruire.
È una potenza che incomincia con l’accendere una luce piccola: ma, come ci ha ricordato padre Gigi Maccalli raccontando le sue notti di prigionia nel deserto, anche una luce piccola, dove fa molto buio, rischiara le tenebre.
È la potenza di una voce che è poco più di un sussurro: e mormora al cuore delle donne, che avevano seguito Gesù, che la morte non può essere l’ultima parola, per chi è venuto ad annunciare l’amore del Padre, e su questo annuncio ha giocato tutta la sua vita, fino alla morte di croce.
Se entriamo in questa prospettiva, i segni di questa nostra celebrazione sono davvero i più adatti, ad annunciare a noi e al mondo che Gesù è risorto e vive per sempre. Scopriamo, anzi, che questi segni possono operare in noi, e renderci partecipi, e non solo spettatori, dell’annuncio pasquale.
La luce illumina il nostro cuore nella consapevolezza che chi segue Gesù, morto e risorto, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (cf. Gv 8,12).
La parola che ascoltiamo, e che proclama la risurrezione di Cristo come compimento di tutta la storia di salvezza, fin dall’inizio della creazione, si rivela parola di vita eterna (cf. Gv 6,68): parola che crea e rigenera, parola che, al tempo stesso, annuncia e compie la salvezza di Dio; parola feconda, che viene da Dio e non ritorna a lui senza aver operato ciò che Dio desidera e senza aver compiuto ciò per cui l’ha inviata (cf. Is 55,11).
L’acqua, con la quale saremo aspersi, ci riporta alla memoria il nostro primo e decisivo contatto con la potenza della risurrezione: quando, attraverso l’acqua del Battesimo, «siamo stati sepolti insieme a Cristo nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4: II lettura).
E il pane, di cui ci nutriremo, ci rende partecipi della morte e della vita di Gesù, corpo spezzato e sangue versato per la vita del mondo (cf. Gv 6,51): pane di vita eterna, dunque, nel quale anche noi pregustiamo la nostra piena partecipazione alla risurrezione di Cristo.
Sì, prendiamo sul serio questi segni, nei quali la risurrezione di Cristo è annunciata e resa presente e operante. Lasciamoci trasformare, attraverso di essi, dall’umile potenza del Signore risorto. Saremo aiutati a essere anche noi luce del mondo, come Gesù chiede ai suoi discepoli; a dire parole di verità, di consolazione, di perdono, di fratellanza; a trovare pane per gli affamati e acqua per gli assetati… a fare in modo, insomma, che la risurrezione di Cristo si manifesti, non in chissà quali effetti speciali, ma in noi stessi, fatti donne e uomini della Pasqua, nuove creature in Cristo e, per virtù dello Spirito, resi capaci di testimoniare che egli è davvero risorto e vive per sempre.