Veglia di preghiera contro le discriminazioni – Omelia

Chiesa dell’Ospedale di Crema, 7 giugno 2019

Spero che mi perdonerete se, anziché riferirmi immediatamente alle letture bibliche che abbiamo ascoltato, prenderò spunto per questa mia breve riflessione anzitutto dalla preghiera proclamata prima delle letture stesse. In questa preghiera abbiamo chiesto a Dio di aprire i nostri cuori perché «sia possibile riconoscerci come fratelli e sorelle creati a [sua] immagine e somiglianza». E vorrei proprio partire da questa affermazione, perché è un punto centrale della visione cristiana dell’uomo, ed è il fondamento anche della dignità che la fede riconosce a ogni uomo e donna: essi sono creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26 s.), e dunque posti in relazione speciale con Lui.
Di qui deriva, per i cristiani, la radice della stessa «dignità umana e dei diritti inalienabili della persona umana. Poiché ogni essere umano è un’immagine di Dio, nessuno può essere costretto a soggiacere a qualsiasi sistema o finalità di questo mondo» (Comm. Teol. Internaz., Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, 22). Per i cristiani, anzi, questa concezione va ancora più in là: perché essi riconoscono che l’uomo creato a immagine di Dio è pienamente realizzato in Gesù Cristo. Egli è, potremmo dire, l’immagine di Dio perfettamente riuscita (cf. Col 1, 15), perfettamente compiuta e donata nella realtà di uno di noi, nella realtà del Figlio stesso di Dio, che ha voluto farsi in tutto simile a noi, fuorché nel peccato (cf. Eb 2, 17; 4, 15)
Proprio perché creato a immagine di Dio, l’essere umano merita un rispetto incondizionato: su questo non possiamo avere dubbi. E il nostro ritrovarci qui, questa sera, vuol essere anche rinnovata proclamazione dell’esigenza di rispetto nei confronti di tutti e di ciascuno, riconoscendo in tutti e in ciascuno questa fondamentale dignità, che viene da Dio stesso.

Ma l’essere creati a immagine di Dio non è solo un dono: costituisce anche un compito. La tradizione cristiana riconosce che noi siamo capaci di deturpare, di stravolgere in tanti modi l’immagine di Dio in noi. In definitiva, ogni volta che ci rinchiudiamo nel peccato, nell’egoismo, nella preoccupazione ossessiva per noi stessi, dimenticando che proprio l’immagine di Dio in noi ci lega a Lui, come ci lega a tutti gli altri nostri fratelli e sorelle creati secondo la stessa immagine, noi calpestiamo questa immagine, la disonoriamo.
È per questo che, secondo la fede cristiana, l’immagine di Dio è perfettamente compiuta in Cristo, e si può realizzare in noi solo a patto di lasciarci liberare, salvare da Lui, e di lasciarci da Lui sostenere e guidare nel cammino che ci può permettere di onorare con pienezza questo dono di Dio. In definitiva, il rispetto dovuto ad ogni uomo e donna, perché creato a immagine di Dio, non è che il punto di partenza – anche se, dobbiamo riconoscerlo, troppe volte questo rispetto manca, è in tanti modi calpestato. Ma è solo il punto di partenza, perché si tratta non solo di rispettare l’immagine di Dio in ciascuno ma, per ciascuno, di impegnarsi – con l’aiuto di Dio – verso la sua piena realizzazione. E questo impegno non può che percorrere la strada indicata da Gesù Cristo: che è quella del no all’autoaffermazione di sé, alla difesa del proprio io, per aprirsi con verità al dono di sé.
È giusto e doveroso chiedere di non essere discriminati: soprattutto se ci si trova in una posizione di fragilità, di debolezza, se si è indifesi ed esposti all’ingiustizia, all’odio, alla violenza. Ma dobbiamo essere avvertiti del rischio, che tutti corriamo – io per primo –, di passare alla svelta dall’altra parte.
Permettetemi di dirlo con un esempio letterario, che prendo dai Promessi sposi. Ci sono due passi, nei quali l’autore mette in bocca a fra Cristoforo un riferimento all’uomo creato a immagine di Dio. Il primo è all’inizio, nel colloquio con don Rodrigo, il potente signorotto che sta insidiando Lucia e impedisce il suo matrimonio con Renzo. Fra Cristoforo lo va a incontrare in casa sua per intercedere per i due fidanzati, subisce un po’ di umiliazioni, ma a un certo punto non si tiene più, e dice a don Rodrigo, tra le altre cose: «Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato» (A. Manzoni, I promessi sposi, c. 6).
Dio difende la creatura fatta a sua immagine: ne siamo sicuri. È ciò che abbiamo sentito anche attraverso le parole del profeta nella prima lettura (cf. Is 43, 1-4), dove le parole che Dio rivolge al popolo di Israele dicono ciò che ciascun credente può e deve sentire vero per sé.
Verso la fine del romanzo, però, le parti sembrano rovesciarsi. Siamo nel lazzaretto, nel pieno della peste che sta devastando Milano e il milanese, e Renzo è alla ricerca di Lucia. Incontra padre Cristoforo, che non vede da tempo, e nel dialogo con lui si lascia andare a fortissimi (e, potremmo pensare, ‘giustificati’) sentimenti di vendetta nei confronti di don Rodrigo. Anche in questo caso fra Cristoforo alza la voce, e dice a Renzo: «Tu sai, tu l’hai detto tante volte, ch’Egli [Dio] può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d’un vendicativo. E perché sei povero, perché sei offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine?» (I promessi sposi, c. 35).
È la stessa cosa che aveva detto a don Rodrigo, ma qui le parti sono rovesciate. Renzo, la vittima, vuole trasformarsi nel vendicatore; e allora anche Dio, per così dire, cambia posto, e si schiera a fianco di don Rodrigo: perché anch’egli, il potente, il violento, l’oppressore, è immagine di Dio, è sua creatura preziosa.

Sì, Dio ci ha creati a sua immagine, e siamo infinitamente preziosi ai suoi occhi: talmente preziosi, che egli ha dato il suo stesso Figlio per noi, per noi tutti, «senza fare discriminazioni» (cf. At 15, 9). Ma tutto questo non ci può semplicemente lasciare fermi in ciò che siamo. La vita di un credente è sempre impegno a uscire da sé stesso: perché il cammino verso il dono di noi stessi, verso la rinuncia all’egoismo e al peccato, verso un amore vero e generoso, verso l’accoglienza seria di ciò che Gesù Cristo propone a ogni uomo e donna, per raggiungere la pienezza dell’immagine di Dio in noi, è per tutti un cammino esigente.
Certo, prima di tutto è un cammino reso possibile dal dono di Dio, che ci precede, ci sostiene, ci incoraggia. Lasciamoci attirare da questo dono, e chiediamo a Dio di crescere fino alla pienezza della statura di Cristo (cf. Ef 4, 13).