Veglia di Pasqua – 16 aprile 2022

Il vescovo Daniele ha presieduto la solenne Veglia pasquale nella Cattedrale di Crema, la sera di sabato 16 aprile 2022. Riportiamo di seguito la sua omelia.

Mi ha colpito ascoltare, questa mattina alla radio, la lettura dell’articolo di uno scrittore ebreo a proposito della Pasqua – quella Pasqua che anche gli ebrei stanno celebrando in queste stesse ore. Nella celebrazione della Pasqua ebraica, la cosiddetta Haggadah di Pasqua, ha un ruolo centrale il racconto della liberazione degli ebrei dalla schiavitù di Egitto, culminante nel passaggio del mare. L’abbiamo ascoltato anche noi nel corso della Veglia di Pasqua: questa è l’unica lettura dell’Antico testamento che, anche nella versione più breve della Veglia pasquale che potremmo fare, non va mai tralasciata.
Questo scrittore punta l’attenzione sulla violenza implicata da quel racconto: violenza divina, dobbiamo sottolineare, perché è Dio stesso, in definitiva, a ottenere la salvezza di Israele attraverso la distruzione dell’esercito degli egiziani – già colpiti, peraltro, nota ancora lo scrittore di cui dicevo, dalle cosiddette “piaghe d’Egitto”.
«Il Signore è un guerriero – afferma il cantico che segue la lettura – i carri del faraone e il suo esercito li ha gettati in mare…» (cf. Es 15,3-4).
In qualche modo, dice in sostanza questo scrittore, noi ebrei (e, potrei aggiungere, anche noi cristiani) diamo tutto questo per scontato; magari, anzi, applaudiamo tutto questo…
Ma (lo dico con parole mie) possiamo ancora sopportare una cosa di questo genere? Possiamo ancora applaudire l’immagine di un “Dio guerriero”, soprattutto quando poi sappiamo quante e quali sono state nel passato – e, purtroppo, sono ancora nel presente – le conseguenze che ne tiriamo per giustificare i nostri conflitti e le nostre guerre?
«Non si fa la guerra in nome di Dio. Non si porta l’odio in nome di Dio»: papa Francesco lo ha detto innumerevoli volte, nel corso del suo pontificato. Perché, allora, leggiamo ancora queste pagine, e celebriamo la Pasqua ascoltando racconti che parlano di un “Dio guerriero”?
Capite che rispondere seriamente a questa domanda ci porterebbe via tutta la notte! Possiamo però ricordare, anzitutto, che la questione è presente da secoli allo spirito ebraico: il Talmud riporta un’interpretazione secondo la quale anche gli angeli in cielo volevano festeggiare la sconfitta degli Egiziani e la salvezza di Israele, ma Dio gliel’ha proibito, dicendo: «Ma come: le mie creature sono annegate nel mare, e voi vorreste cantare?» (cf. Talmud bab., Meghillà 10b); non si può fare una cosa del genere. E un altro commentatore aggiunge: Dio, da parte sua, non festeggia, anche se permette ad altri di festeggiare.

La parola pasqua, come sappiamo, significa “passaggio”. Ed è un passaggio che si riferisce a molte cose: il passaggio del mare, ma anche il fatto che Dio “passa sopra” le case di Israele in Egitto, perché lo sterminio non le colpisca… E io credo che non andiamo troppo fuori strada, se pensiamo a questo “passaggio” anche come a un passaggio progressivo, al quale Dio stesso educa il suo popolo, verso un’immagine sempre più mite e “disarmata” di Dio stesso.
L’anello decisivo di questo passaggio è Gesù Cristo: tutta la celebrazione di questa sera, infatti, conduce noi cristiani a ricordare ancora una volta che la Pasqua si è compiuta in lui, perché in lui Dio si rivela definitamente come il Dio che prende su di sé la morte e il peccato, e vi risponde non con la violenza, non con la potenza che castiga, schiaccia e opprime, ma con la mitezza dell’agnello immolato, dell’innocente che non oppone resistenza al male, del giusto che si sottopone a una condanna ingiusta.
E la vittoria è la sua! Questo noi cantiamo, nella notte di Pasqua e in tutta la nostra fede pasquale: la vittoria del Dio mite, del Dio disarmato; la vittoria di colui che, secondo ogni logica umana, era lo sconfitto, il perdente, schiacciato dalla violenza umana, dall’inganno e dalla menzogna, di colui che è stato ingiustamente condannato a una morte vergognosa.
Ed è una vittoria, quella del Cristo risorto, che vuole accogliere tutti, abbracciare tutti. Non – badiamo bene – perché non ci sia differenza tra chi compie il bene e chi fa il male, tra chi opera la violenza e chi la subisce.
La risurrezione di Gesù significa, certo, che Dio si schiera, non è imparziale: si schiera con la vittima, con colui che viene scartato, oppresso… Dio “parteggia” per Gesù: e proprio per questo lo accoglie nella pienezza della vita e lo pone davanti a tutti – anticipiamo un po’ la prima lettura della Messa della domenica di Pasqua – come «il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,42-43).
Gesù risorto è «il giudice dei vivi e dei morti»: e questo ci assicura che ci sarà giustizia, e il male e il bene saranno riconosciuti per quello che sono. Ma egli è anche colui nel quale riceviamo il perdono dei peccati; il Risorto è colui nel quale si dischiude al mondo la misericordia di Dio: di un Dio che proprio la Pasqua del Signore ci impedisce di pensare come un “Dio guerriero”, perché il dono decisivo della salvezza non è più separabile da Gesù Cristo, l’Agnello immolato e vittorioso.
Immersi anche noi, attraverso il Battesimo, nella Pasqua del Signore – lo ricorderemo anche tra poco, rinnovando la nostra professione di fede battesimale – abbiamo rinunciato al male in tutte le sue forme: e tra queste, ci sono anche tutte le tentazioni di violenza e di odio che ancora possono abitare nel nostro cuore.
Abbiamo aderito, invece, a Gesù Cristo: a colui che ha risposto al male con il bene, alla violenza con la mitezza, alla menzogna con la verità, all’odio con l’amore. La fede in lui, morto e risorto, ci assicura che questa è la strada buona, la via della vita.
Cantando, in questa notte santa, la gioia della risurrezione di Cristo, chiediamo di seguire sempre la via di amore, misericordia e pace, che egli ha aperto per sempre con la sua Pasqua.