Solennità di Cristo Re e festa del Crocifisso miracoloso – Omelia

Cattedrale di Crema, 25 novembre 2018

Tutto il racconto della Passione di Gesù secondo il vangelo di Giovanni è una proclamazione della regalità di Gesù. Il dialogo tra Gesù e Pilato, di cui abbiamo ora ascoltato una parte, è solo un elemento di questa proclamazione: ma dovremmo cercare di tenere in mente tutto, anche perché, altrimenti, questo frammento di dialogo rischia di lasciarci un po’ insoddisfatti, incapaci di capire bene che cosa è in gioco. Già non è semplice, nel nostro mondo di oggi, utilizzare una categoria come quella della regalità, per parlare di Gesù, del nostro rapporto con lui, e di ciò che egli è per noi, anzi per tutto il cosmo, visto che la liturgia di oggi lo proclama «Re dell’universo».

Certo, Gesù dice che il suo regno «non è di questo mondo… non è di quaggiù»; ma già S. Agostino avvertiva che ciò non significa che la regalità di Gesù non abbia niente a che fare con questo nostro mondo, con la nostra storia e con la nostra vita in questo mondo, come se fosse una realtà puramente ultraterrena, del tutto «celeste». Quel che Gesù dice è, piuttosto, che il suo regno non è da questo mondo, non ha il suo fondamento, né riceve i suoi criteri, dalle logiche o dai poteri di questo mondo, che siano di tipo politico, economico, militare o di altro tipo.
Questo regno viene «da altrove», e d’altra parte mette in questione, critica i poteri e i regni di questo mondo: critica, ad esempio, un magistrato, rappresentante del potere imperiale, che lo sta interrogando e che, alla fine, lo farà condannare a morte pur sapendo che egli è innocente… Ma proprio perché la sua è una regalità che non viene dai criteri di questo mondo, Gesù si lascerà condannare: come dice esplicitamente, non usa un suo esercito (che non ha) per lottare e difendersi; e neppure userà quei poteri, che il Padre gli ha dato per salvare e guarire, per raccogliere la sfida di quelli che, sotto la croce, diranno: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele: scenda ora dalla croce e crederemo in lui» (Mt 27, 42).

Eppure, Gesù è re: la sua corona è di spine, il suo manto regale è un pezzo di misera stoffa che i soldati gli mettono sulle spalle per deriderlo, il suo scettro è una fragile canna, il suo trono è la croce riservata ai delinquenti… ma Egli è re. E la sua regalità consiste, secondo le sue stesse parole, nel «dare testimonianza alla verità». Anche qui, bisognerebbe percorrere tutto il vangelo di Giovanni, per riuscire a rendersi conto bene di ciò che Gesù sta dicendo. Ma, per riassumerlo con una parola sola, possiamo dire che la «verità», alla quale Gesù rende testimonianza, è la rivelazione, la conoscenza di Dio, del Padre. Gesù regna, Gesù è «re», perché testimonia, in perfetta trasparenza, la signoria di Dio sul mondo, sulla storia, sugli uomini tutti; e la testimonia per quello che essa è veramente, ossia una signoria d’amore, se è vero che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).
Per questo la storia della Passione, nella quale si scopre fino in fondo che Gesù è re, è al tempo stesso la manifestazione definitiva dell’amore di Dio: Gesù regna, insomma, non nel dominio o nella sopraffazione, ma nel dono di se stesso al Padre, per la vita e la salvezza del mondo. Ma la storia della Passione, facendoci vedere la regalità di Gesù in questo modo così ambiguo – la regalità di un condannato a morte come un brigante, un delinquente! – ci ricorda anche che la verità dell’amore di Dio giudica tutto ciò che va nella direzione opposta. La regalità di Gesù giudica anche l’ingiustizia, la violenza, la menzogna, l’inganno, il potere sfacciato…

La regalità di Gesù non è solo qualcosa da contemplare. Riconoscere Gesù come re significa, come lui stesso dice a Pilato, ascoltare la sua voce: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Forse siamo tentati anche noi, qualche volta, di reagire come fa Pilato, quando chiede (il vangelo lo racconta subito dopo): «Ma che cos’è la verità?» (Gv 18, 38): che, in questo contesto, non è un modo per riproporre una delle grandi domande della filosofia, del pensiero, ma piuttosto un modo per dire: no, grazie, la verità della quale tu rendi testimonianza non mi interessa.
A noi si ripropone, invece, la sfida di ascoltare la voce di colui che rende testimonianza alla verità: non si tratta, lo sappiamo bene, di un ascolto solo d’orecchio, o di pensiero: ascoltare, nel linguaggio della Bibbia e del vangelo, significa sempre anche «fare», mettere in pratica. Scrivendo agli Efesini, Paolo dice che i cristiani sono chiamati a «fare la verità nell’amore» (cf. Ef 4, 15): perché la verità cristiana si mostra, in definitiva, nell’amore con il quale Cristo ci ha amati e ha voluto regnare su di noi non opprimendo, ma donando sé stesso senza riserve.
Sostando davanti alla croce, e in particolare anche davanti al Crocifisso della nostra Cattedrale, così caro alla devozione dei cremaschi, chiediamo dunque la grazia di contemplare il Signore sul suo trono regale, per riconoscere in lui la verità dell’amore di Dio, che giudica e salva il mondo, per ascoltare la sua parola e, anche noi, «fare la verità nell’amore».