Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria (2018) – Omelia

Cattedrale di Crema, 8 dicembre 2018

Da sant’Agostino in poi, le parole della fede hanno incominciato a usare il linguaggio del «peccato originale», a cui rimanda anche la prima lettura di questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria.
La questione del «peccato originale» ha avuto un tale peso nella tradizione cristiana soprattutto d’Occidente, che rischia di ingenerare un equivoco, che riguarda proprio la parola «origine»; rischia, cioè, di far pensare che appunto «peccato» e «origine» in qualche modo si sovrappongano, diventino quasi la stessa cosa, come se «all’origine» di tutto ci fosse, appunto, il peccato dell’uomo.
Ma non è così: l’«origine» è altro, l’origine è piuttosto ciò che viene annunciato da Paolo nell’inno che apre la lettera agli Efesini, e di cui abbiamo ascoltato qualche versetto nella seconda lettura. L’origine sta nel fatto che Dio, il Padre, «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1, 3) e che anche se Cristo noi l’abbiamo conosciuto esplicitamente solo dopo il suo ingresso nella nostra umanità – quell’ingresso che ci stiamo preparando a ricordare e celebrare nel prossimo Natale – in realtà la benedizione di Dio in Cristo è all’origine, è prima di tutto il resto.
Dio, infatti, «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà» (vv. 4 s.). Possiamo proprio dire che all’origine c’è il «disegno amoroso» di Dio, il «disegno d’amore della sua volontà», che dà senso a tutto e che riguarda non solo noi, ma tutta l’umanità, anzi il cosmo intero, come la lettera agli Efesini dice ripetutamente.
Che Maria entri nel mondo «immacolata», non segnata dalla colpa del peccato d’origine, significa anzitutto questo: che in lei si manifesta la vera origine, si manifesta il primato del «disegno amoroso» del Padre, si manifesta il fatto che il nostro essere «in Cristo», cioè nella pienezza e verità di vita e di umanità che vengono da Cristo, è prima di tutto il resto. E anche per noi, l’essere stati inseriti in Cristo, a partire dal nostro battesimo, significa essere stati ricondotti alla nostra vera origine che è, al tempo stesso, il nostro compimento, la pienezza di tutto il nostro essere secondo Dio.
Salutando Maria con un invito alla gioia e riconoscendola come «piena di grazia», l’angelo Gabriele – come abbiamo sentito nel vangelo – scorge in lei la meraviglia dell’origine; in Maria di Nazaret, l’umile ragazza di Galilea, l’angelo vede come un frammento del mondo come doveva essere nella sua prima origine secondo il disegno di Dio: il mondo benedetto da Dio, il mondo corrispondente al suo disegno amoroso, il mondo come rispecchiamento luminoso della bellezza e della santità di Dio.

Questo mondo è chiamato a riscoprire la sua origine, che ha smarrito, per andare verso il suo pieno compimento: e per questo Dio ha mandato il suo Figlio, «nato da donna» (cf. Gal 4, 4), a compiere il disegno amoroso del Padre, perché tutto fosse ricapitolato appunto in Cristo (cf. Ef 1, 10). Ma ciò comporta che il «disegno amoroso» del Padre trovi nel mondo chi lo accoglie e lo condivide. Dio ha preparato per questo la ragazza di Nazaret, e in lei ha trovato la risposta: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38).
Maria è talmente in sintonia con l’origine, è così in sintonia – per dono di Dio stesso – con il «disegno amoroso» del Padre, che può dire il suo e diventare, in questo modo, la Madre del suo Figlio. Ma tutti noi, ora, siamo nelle sue stesse condizioni; tutti noi siamo stati ricondotti alla nostra vera «origine», tutti noi siamo stati inseriti, grazie al dono di amore di Gesù Cristo, nel «disegno amoroso» del Padre. Per questo, le parole di gioia e di compiacimento dell’angelo riguardano anche tutti noi. Anche a noi è detto: «Rallégrati», per quel che Dio ha fatto di te; rallégrati, perché sei anche tu «pieno di grazia», anche tu sei benedetto in Cristo! E allora, anche tu sei chiamato a collaborare al progetto di Dio; anche tu, prima di tutto grazie alla tua vita «in Cristo», puoi essere strumento del «disegno amoroso» del Padre, e dare a lui quel che puoi, perché il mondo conosca la pienezza dell’amore di Dio e possa trovare in lui la sua verità e la sua gioia vera.
Non basta contemplare Maria e rallegrarsi per lei, se poi non arriviamo a dire, ogni giorno: «Ecco il servo, ecco la serva del Signore»; senza aver paura di questo titolo di «servo» o di «serva», perché, se è andato bene per Gesù e per Maria, perché non dovrebbe andare bene per noi? E senza aver paura di non essere all’altezza di questo compito, perché anche a noi l’angelo continua a ripetere: «Nulla è impossibile a Dio» (v. 37), che fa sgorgare la vita anche lì dove l’uomo vede solo sterilità e morte. E certamente – ma non senza la nostra collaborazione – Egli porterà a compimento il suo «disegno amoroso», conducendo l’umanità alla vita piena in Cristo, nei «cieli nuovi e nella terra nuova», che attendiamo dal suo amore fedele.