Solennità dell’Assunzione di Maria 2019 – Omelia

Cattedrale di Crema, 15 agosto 2019

Anche questa mia terza celebrazione della Solennità dell’Assunzione di Maria, in questa Cattedrale a lei dedicata, è stata preparata con un pellegrinaggio. L’anno scorso ho camminato con un gruppo di giovani della diocesi da Loreto ad Assisi, per andare poi a Roma; due anni fa, a pochi mesi dal mio arrivo a Crema, in Terra Santa. Quest’anno, è stato il pellegrinaggio a Lourdes, concluso proprio un settimana fa. Ho avuto la grazia di partecipare al pellegrinaggio regionale dell’Unitalsi, che ha visto la presenza di un bel gruppo di pellegrini cremaschi, insieme con quelli di altre diocesi della nostra regione.
Inevitabilmente, credo, ciò che più ha segnato i miei sguardi e il mio cuore, in questo pellegrinaggio, è stata la presenza, la partecipazione, la fede degli ammalati. Mi sono chiesto che cosa spinge tanti ammalati ad affrontare questo viaggio, che per molti di loro, senza dubbio, è una fatica non da poco. Perché affrontarla? Che cosa cercano, che cosa sperano, i nostri fratelli e sorelle ammalati, quando si recano in questo che è uno dei grandi luoghi della fede, sotto la protezione della Vergine Maria?
Non pretendo, naturalmente, di riuscire a rispondere al posto degli ammalati stessi, e ancor meno di dare una risposta esaustiva. Provo solo a condividere un paio di cose, che mi sembra di aver percepito stando a Lourdes o in altre circostanze.

Non penso, anzitutto, che la maggior parte dei malati cerchi una guarigione miracolosa. Direi piuttosto che cerca qualcosa che dia senso alla malattia; che aiuti, cioè, a integrare anche la malattia dentro una vita che ha significato e valore – significato e valore che non dipendono dall’integrità fisica e che, proprio per questo, permettono di fare i conti anche con la fragilità del corpo e il deteriorarsi della salute. Questo significato è ricordato proprio anche dalla festa di oggi: ci fa contemplare Maria assunta in cielo in anima e corpo: associata pienamente, cioè, al suo Figlio Gesù, morto e risorto, vivente per sempre, con tutta la sua umanità, trasfigurata nella gloria di Dio.
Per usare un’immagine: la nostra vita terrena, soprattutto quando è segnata dalla malattia, è un po’ come guardare un arazzo da dietro: si vede solo un groviglio di fili intrecciati, che appaiono senza senso, in un disordine inestricabile.
Ma il risvolto, l’altro lato di questo groviglio, è l’immagine dell’arazzo vista, per così dire, dal lato giusto. La festa dell’Assunzione di Maria, che evidentemente non possiamo staccare da ciò che celebriamo nella Pasqua di Gesù Cristo, ci fa intravedere il lato giusto dell’arazzo, ci fa intravedere il disegno compiuto della nostra vita. E mi sembra che la possibilità di recarsi pellegrini a Lourdes, per molti ammalati, significhi qualcosa di simile: nell’incontro con il Signore, e con la Vergine Maria, la possibilità di intravedere il disegno pieno della propria vita e, in questo, di portare più facilmente anche il peso della malattia.

Pesa, nella malattia, anche la solitudine. Tante volte gli ammalati soffrono, ancor più che per le conseguenze fisiche della malattia, per l’isolamento e la solitudine nelle quali si trovano a vivere, perché la nostra società affaccendata non si prende il tempo di stare al passo di chi è più debole, di chi non ce la fa.
L’esperienza del pellegrinaggio – a Lourdes o altrove – è anche un’esperienza di comunità, di partecipazione. «Malati» e «sani» sono insieme, condividono gli stessi spazi, gli stessi mezzi di trasporto. Inevitabilmente, bisogna mettersi al passo di chi è più debole e più lento, di chi non ce la fa da solo. Maria, la ragazza di Nazaret, si mette a disposizione della parente anziana, Elisabetta: e devo dire che a Lourdes ho guardato con piacere ragazzi e ragazze anche molto giovani, poco più che adolescenti, prendersi il tempo di stare con i malati, di accompagnarli, di ascoltare le loro chiacchiere, di servirli a tavola… e so che molti di loro, se non tutti, hanno potuto sperimentare la gratitudine sincera dei malati, la riconoscenza espressa anche in piccoli segni, in una parola di ringraziamento, in un piccolo dono…
Papa Francesco dice che noi oggi «sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EvG 87). E nota ancora che «uscire da sé stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo» (ivi).

Quando ci si mette al passo dei più deboli, al passo degli ammalati e dei sofferenti, come si impara a fare a Lourdes, si capisce meglio anche ciò che Maria canta nel suo cantico di lode, nel Magnificat che abbiamo ascoltato nel vangelo.
Si capisce meglio questa verità semplice, elementare – almeno per chi si mette in ascolto della Parola di Dio, che la proclama dalla prima all’ultima pagina della Bibbia, e non solo: e cioè che Dio, per primo, si mette dalla parte degli ultimi. Il Dio che vuole la vita e la salvezza di tutti, il Dio che desidera che «tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (cf. 1Tm 2, 4) è, senza ombra di dubbio, il Dio che – secondo le parole di Maria – «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1, 51-53).
Se c’è una «parte» che Dio sceglie e con la quale si schiera – lo ripeto: il Dio che chiama tutti gli uomini alla salvezza e alla vita piena – è la parte dei più deboli, degli esclusi, di chi è messo ai margini. Anche Maria lo proclama senza ombra di dubbio. Andando a Lourdes, accompagnando e servendo gli ammalati, questa cosa la si comincia a capire un po’ meglio. Ma non c’è bisogno di andare fin là, evidentemente. La Vergine Maria può aiutarci a entrare ogni giorno in questa «logica divina», che ha proclamato nel suo cantico di lode. Chiediamole di contemplare, insieme con la sua gloria celeste, anche la sua piccolezza terrena, la sua condizione di «umile serva» (Lc 1, 48), posta oggi davanti a noi e a tutta l’umanità come «segno di consolazione e di sicura speranza».