Solennità del ‘Corpus Domini’

Parco “Baden Powell”, Crema, 31 maggio 2018

1. Nella sua lunga storia, il popolo di Israele ha cercato le immagini e le parole per dar conto della sua esperienza di Dio, della sua vicinanza e cura per il suo popolo. Tra queste immagini, un ruolo particolare ha il tema dell’alleanza. Nell’Oriente antico ce n’erano vari esempi: l’alleanza militare tra popoli diversi; l’alleanza di un imperatore che prende sotto la sua «protezione» una popolazione… Si parlava di alleanza anche come legame tra persone – ad es. quella tra Davide e Gionata, e anche del matrimonio come alleanza.
L’alleanza indica quindi una relazione, un legame e patto tra persone o popoli diversi, che decidono di camminare insieme, per vari motivi. Di questo legame è segno forte la condivisione del cibo e della bevanda: per questo, spesso, i riti di alleanza comportano anche il mangiare e bere insieme. È un’esperienza che conosciamo anche noi, ma che si ritrova un po’ dappertutto; e la si ritrova spesso anche nella Bibbia, nel vangelo: vediamo spesso Gesù a tavola con i pubblicani e peccatori, con i discepoli ecc., proprio per esprimere la volontà di alleanza e comunione che Dio ripropone all’uomo e che si rinnova in lui.

2. C’è un rischio, però: va bene condividere lo stesso cibo e bevanda, è bella l’esperienza di fraternità e gioia dello stare alla stessa tavola… Il rischio è quello di non prendere troppo sul serio il carattere impegnativo dell’alleanza: perché l’alleanza è una cosa seria!
Questa serietà, la Bibbia l’esprime attraverso il segno del
sangue: ad esempio il sangue con il quale sono aspersi coloro che hanno contratto l’alleanza (cf. I lettura). Il sangue era ritenuto «sede della vita» (e anche segno della morte, quando si parla del «sangue versato»): esso, quindi, dice che nell’alleanza ne va della vita stessa. È insomma una questione di vita o di morte, perché la comunione che lega le persone in un’alleanza fa parte della loro stessa vita, e venire meno a questa comunione è come «uccidere» l’altro.
Di fatto, tutta la storia dell’umanità e di Israele con Dio si può leggere come una storia di alleanze fallite: dove Dio si impegna a favore del suo popolo, vuol fare alleanza con lui, ma questo popolo non prende sul serio l’impegno di Dio; dice di accettare l’alleanza, ma poi la tradisce, perché non cammina nelle vie di Dio, non sta ai patti, non osserva l’alleanza.

È per questo che sorge, poco alla volta, il desiderio di una alleanza nuova e definitiva: di qualcosa che finalmente realizzi fino in fondo ciò che l’alleanza dice, ossia il legame forte, indistruttibile, tra Dio e l’uomo.
I cristiani riconosceranno che questo desiderio si realizza in Cristo: in lui che si compie l’alleanza nuova e definitiva tra Dio e l’uomo (cf. II lettura, Vangelo). In Cristo, Dio offre definitivamente all’uomo la sua alleanza; ma, in Cristo, trova anche la risposta piena da parte dell’uomo. Gesù Cristo è precisamente colui che prende sul serio l’alleanza: accoglie totalmente il dono che Dio, il Padre, fa di sé, e va fino in fondo nella risposta a questo dono
Anche e soprattutto questa alleanza è sigillata dal sangue: ma è il sangue di Gesù stesso, cioè la sua vita e la sua morte, totalmente messe in gioco perché il dono di Dio e la risposta dell’uomo possano finalmente incontrarsi, in modo pieno e insuperabile. Il ‘sì’ di Dio e il ‘sì’ dell’uomo si congiungono appunto in Gesù Cristo, in tutta la sua vita e la sua morte, che sono questo stesso
detto una volta per sempre, da parte di Dio e da parte dell’uomo.

3. Allora possiamo capire perché Gesù lascia ai discepoli, nell’ultima Cena, cioè nella sua Eucaristia, il «sacramento» di questa alleanza; e possiamo capire che questa Cena è molto più che un banchetto fra amici, una bella occasione per stare insieme…
In questa Cena, l’alleanza che Dio offre all’uomo nel suo Figlio Gesù diventa cibo e bevanda: dono che sostiene e nutre la nostra esistenza, perché Corpo e Sangue del Signore dati per noi, perché anche in noi si realizzi l’alleanza di pace tra Dio e l’uomo; ma anche dono
impegnativo, perché nutrirci di quel cibo, partecipare di quel Pane e di quel Calice, ci fa diventare uomini e donne di alleanza, comunità di alleanza: uomini e donne che accolgono il dono di Dio – perché tutto parte sempre di lì – ma per essere poi operatori di alleanza in questo nostro mondo: tra di noi, nelle nostre comunità, nei confronti del nostro ambiente… Perché l’alleanza di Dio con l’uomo non viene meno: ma ora tocca a noi, sostenuti dal cibo della nuova alleanza, che il Signore ci dona, rendere questa alleanza presente ancora nel nostro oggi.

Penso che questo debba essere anche l’atteggiamento con il quale noi cristiani guardiamo al momento difficile – a dir poco – che sta attraversando il nostro Paese, mentre siamo quasi alla vigilia della Festa della Repubblica. Come dicevo, la nostra stessa partecipazione all’Eucaristia ci impegna a essere uomini e donne di alleanza, nello spirito che il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Bassetti, ha ricordato anche ieri (dopo averlo fatto parlando a noi vescovi la settimana scorsa):

«Questo è il tempo grave della responsabilità e non certo dello scontro istituzionale, politico e sociale. Per il bene delle famiglie, dei giovani e dei figli del popolo italiano. Invito tutti gli uomini e le donne di buona volontà affinché si prendano cura del nostro amatissimo Paese con un umile spirito di servizio e senza piegarsi a visioni ideologiche, utilitaristiche o di parte. E rinnovo l’appello di don Luigi Sturzo a «tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria». È infatti eticamente doveroso lavorare per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale» (da Avvenire, 30 maggio 2018).

Quel «dovere di cooperare», di cui parlava don Sturzo, lo possiamo benissimo tradurre come il «dovere di fare alleanza», appunto «senza partigianeria, con carità e responsabilità». L’Eucaristia ci sostiene anche in questo dovere, al quale più che mai, come cristiani, ci sentiamo oggi impegnati.