Secondo anniversario del rapimento di p. Pierluigi Maccalli

Per le vie di Crema, concludendosi in Cattedrale, si è tenuta il 17 settembre 2020 la Veglia diocesana nel secondo anniversario del rapimento di p. Pierluigi Maccalli. Riportiamo di seguito l’intervento del vescovo Daniele

Desidero anzitutto ringraziare tutti voi per avere ancora una volta partecipato, in modi diversi, a questo appuntamento di preghiera e di supplica per la liberazione di padre Gigi Maccalli, nel secondo anniversario del suo rapimento. Nessuno di noi, evidentemente, ha accettato volentieri il lungo protrarsi di questa prigionia. Tutti, però, abbiamo accettato l’invito alla preghiera e abbiamo fatto nostro il desiderio di esprimere anche pubblicamente la vicinanza a padre Gigi, la speranza di una sua liberazione.
Non dovrebbe essere necessario farlo, ma è bene anche ricordare che sempre la nostra preghiera, implicitamente e anche esplicitamente, ha inteso abbracciare, con lui, tutti quelli e quelle che sono nelle sue condizioni. Sappiamo di qualcuno che sta proprio condividendo materialmente la prigionia con p. Gigi; di altri, probabilmente, nulla sappiamo: ma la nostra preghiera per loro non è meno forte e accorata, e il volto di padre Gigi riassume tutti i loro volti, in lui e con lui ci sono anche tutti gli altri. Saluto e ringrazio anche tutti quelli che seguono questa nostra preghiera da casa, attraverso la diretta streaming e la radio, e quanti sono in tanti modi uniti a noi in comunione di preghiera.
Un grazie di cuore a tutti quelli e quelle che hanno collaborato alla realizzazione di questo appuntamento: gli uffici pastorali e le realtà aggregative della diocesi, che ci hanno aiutato con le loro riflessioni; i volontari, quanti lungo il cammino si sono prestati all’animazione con le letture e canti; la segreteria vescovile, coloro che hanno curato la trasmissione della Veglia dalla Cattedrale, le Forze dell’ordine, l’Hospital Service per l’assistenza sanitaria… Saluto e ringrazio il Sindaco di Crema, dott. Stefania Bonaldi per la sua presenza; e un saluto speciale e affettuoso ai missionari della Società delle Missioni Africane che sono qui con noi questa sera, in particolare il loro Superiore generale, p. Antonio Porcellato: in lui sentiamo presente tutto l’Istituto, con il quale è cresciuta, in questi due anni dolorosi, la comunione e l’amicizia.

A queste parole di ringraziamento provo ad aggiungere una breve riflessione, per la quale vorrei prendere spunto dal vangelo della Messa di oggi, il racconto che siamo soliti intitolare pudicamente La peccatrice perdonata (cf. Lc 7,36-50).
Ricordate: Gesù è invitato a tavola da un fariseo, ed ecco «una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!”».
E ricordiamo, almeno a grandi linee, la risposta di Gesù: Simone, il fariseo, non ha fatto nessuno dei gesti di ospitalità tradizionali di quel mondo: «Tu – gli dice Gesù – non mi hai dato l’acqua per i piedi… non mi hai dato un bacio… non hai unto con olio il mio capo…». Sembra quasi di sentir dire: avevi la possibilità di fare tutte queste cose, eppure non le hai fatte. Questa donna ha rimediato, a modo suo, con i gesti che sapeva fare, bagnandomi i piedi con le lacrime e asciugandomi con i capelli, cospargendomi i piedi di profumo… Saranno anche gesti equivoci, venendo da una prostituta: ma (mi sembra ancora di sentir dire da Gesù a Simone) devono in qualche modo supplire alle tua mancanze: tu potevi fare questi gesti, e non li hai fatti; lei ha supplito, come ha potuto – ma, aggiungerà ancora, con molto amore e sentendosi molto amata…
In che cosa questo episodio può aiutarci, questa sera? Nel farci riflettere, mi sembra, sulle molte nostre omissioni. E sul fatto che chi da due anni è impotente, prigioniero, impossibilitato a fare alcunché, probabilmente sta supplendo alle nostre mancanze. Potremmo fare molto, per Gesù, per vivere la nostra comunione con lui, per testimoniare il suo vangelo, per essere segno e strumento del suo amore gli uni verso gli altri, e soprattutto verso quelli che sono meno amati…
Spesso, credo, ci dobbiamo riconoscere colpevoli di omissione: potevamo onorare più e meglio il nostro Signore Gesù, nell’incontro con Lui e nel servizio ai fratelli, e non l’abbiamo fatto. Voglio pensare che padre Gigi, in questi due anni di prigionia, dove molto probabilmente non ha potuto esercitare niente, o quasi, del suo ministero di prete e di missionario, abbia dovuto supplire lui alle nostre omissioni.
Anche a lui, ne sono convinto, dobbiamo essere molto riconoscenti. Ma questa riconoscenza non diventi un alibi. In tutti gli ambiti del nostro vivere – quegli ambiti intorno ai quali abbiamo meditato e pregato questa sera, arrivando qui dai quattro angoli della città e della diocesi – molto possiamo fare, per onorare il Signore e quelli nei quali egli si identifica: i più piccoli, gli ultimi, i non amati…
Dio ci perdoni per le nostre omissioni, ci aiuti a sentirci anche noi molto amati, come la donna del vangelo, per poter a nostra volta amare con tutte le nostre forze, in ogni situazione della nostra vita.