Santa Messa del Crisma – Omelia del vescovo Daniele

La santa Messa del Crisma è stata celebrata in Cattedrale a Crema la mattina del Giovedì santo, 1 aprile 2021. Riportiamo il saluto iniziale e l’omelia del vescovo Daniele

Saluto iniziale

Ritroviamo quest’anno, per grazia di Dio, la possibilità di celebrare la Messa del Crisma nel giorno più indicato, quello in cui la Chiesa fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e si prepara a celebrare il santo Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto. Ringraziamo il Signore per questo dono, consapevoli di viverlo ancora in un’ora difficile per la vita nostra e del mondo. Nella nostra preghiera continuiamo a portare il peso di quanti soffrono per la malattia, l’impegno di chi si adopera per la loro cura, tutte le situazioni difficili che ancora ne conseguono in tante parti della nostra società.
Siamo riconoscenti a Dio per un confratello che per la prima volta partecipa da prete alla Messa del Crisma, don Alessandro Vanelli, ordinato nell’ottobre scorso. Sentiamo uniti a noi coloro che per l’età o la malattia non possono essere presenti: nomino di loro soltanto don Giovanni Terzi, tuttora ricoverato in ospedale, e per il quale va una preghiera speciale e affettuosa; ma li sentiamo tutti uniti a noi in fraternità presbiterale.
Ringraziamo Dio per quanti celebrano quest’anno un particolare anniversario di ordinazione: 60 anni, per don Giuseppe Degli Agosti, unito a noi in comunione di preghiera, anche se non presente fisicamente; i 50 anni di don Pier Luigi Ferrari; i 40 anni di don Angelo Frassi, don Ezio Neotti, don Luciano Pisati e don Francesco Vailati.
Il nostro ricordo va poi ai confratelli defunti di questi ultimi dodici mesi: don Guido Zagheni, don Giuseppe Pedrinelli, don Piero Galli; con loro ricordiamo anche fr. Aligi Quadri, dei Frati Minori Cappuccini; dal cielo guardino a questa nostra e loro Chiesa, intercedendo da Dio specialmente il dono di numerose vocazioni al ministero presbiterale e di speciale consacrazione.
A questa preghiera per le vocazioni ci richiamano anche i nostri seminaristi, Andrea, e i due diaconi Cristofer e Enrico, che saluto insieme con gli educatori don Gabriele e don Alessandro, e con un pensiero di riconoscenza a tutta la comunità interdiocesana di seminaristi che sta a Lodi.
Ricordiamo nella preghiera don Federico Bragonzi e don Paolo Rocca, in servizio nella diocesi di San José de Mayo, in Uruguay, e preghiamo per questa Chiesa, che da diversi mesi è in attesa del nuovo vescovo.
Nelle ultime due Messe del Crisma non avevamo mancato di pregare per la liberazione di p. Gigi Maccalli: con grande gioia oggi lo abbiamo presente tra di noi, e mentre lo ringraziamo per la sua testimonianza, riconosciamo presenti in lui tutti i missionari e le missionarie originari della nostra Chiesa, e li portiamo nella nostra preghiera.
Per la prima volta, nella Messa del Crisma, accogliamo con riconoscenza la presenza dei diaconi permanenti, Alessandro e Antonino: per loro e per il loro ministero preghiamo, affidando a Dio anche quanti sono in cammino verso il diaconato, e chiedendo anche la grazia di una rinnovata fioritura di ministeri e servizi per il bene della nostra Chiesa.
Saluto con riconoscenza e affetto tutti i consacrati e le consacrate, segno prezioso dell’amore di Dio per la nostra Chiesa.
Saluto tutto il popolo santo di Dio, quello che è rappresentato da quanti sono qui in Cattedrale e anche tutti coloro che seguono la celebrazione attraverso la radio e la diretta streaming.
Benedicendo gli Oli, pregheremo in particolare per i cresimandi e per tutti i ragazzi e ragazze che si accosteranno ai sacramenti nelle prossime settimane; porteremo a Dio gli ammalati; ricorderemo i catecumeni che nella notte di Pasqua diventeranno cristiani, vero segno della benedizione di Dio che sempre ringiovanisce e rinnova la sua Chiesa.

Omelia

Se avessimo prolungato di un solo versetto l’ascolto della seconda lettura, avremmo sentito così: «Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù…» (Ap 1,9).
Anche se non ci troviamo in una situazione così tribolata come quella del veggente dell’Apocalisse e dei suoi destinatari, prendo volentieri a prestito le sue parole per rivolgermi a voi in quanto «vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù». Quest’ultima espressione la potremmo tradurre tranquillamente con «pazienza», come fa la Vulgata, che parla appunto della patientia in Iesu, con parole simili a quelle che si leggono nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, e che sono riprese anche dalla liturgia: «Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo» (2Ts 3,5).
Come sapete, nella lettera indirizzata alla nostra Chiesa per la Pasqua che stiamo per celebrare, come pure nel messaggio di auguri trasmesso anche ai mezzi di comunicazione, ho voluto orientare l’augurio pasquale proprio intorno a questa virtù della pazienza, che mi sembra quanto mai necessaria e preziosa per l’ora che stiamo vivendo. E mi sono preoccupato di sottolineare che questa pazienza è tutt’altro che un atteggiamento rassegnato, passivo; così come non è un atteggiamento vendicativo, rancoroso, di chi si sente represso e aspetta solo il momento buono per reagire e scatenarsi.
Si tratta invece, né più né meno, dell’amore che è al centro dell’esistenza credente, ed è il dono più grande dello Spirito: perché «l’amore è paziente», scrive Paolo incominciando a descrivere, nel suo «Inno alla carità», il modo di agire dell’amore (cf. 1Cor 13,4 ss.); e la pazienza di cui parliamo è, in definitiva, un altro modo di parlare della carità che è in Cristo, e che è anche al cuore del nostro ministero.
E però – anche se brevemente – vorrei chiedermi più precisamente in che cosa consiste questa virtù della pazienza per noi, chiamati da Dio al ministero: noi che (come diremo poi nel Prefazio) siamo stati scelti da Dio, nel suo amore per il suo popolo, e «mediante l’imposizione delle mani» siamo stati resi partecipi del ministero di salvezza di Cristo, condividendo quell’unzione di Spirito Santo che ha fatto di lui il portatore del Vangelo ai poveri.
Certo, le occasioni per «portare pazienza», nel nostro ministero, non mancano, e ciascuno di noi saprebbe elencarne un bel po’! Nelle mille cose da fare per le nostre comunità, negli impegni quotidiani, e soprattutto nei rapporti con le persone, con gli altri confratelli, certamente anche col Vescovo… quanta pazienza ci vuole!
Indubbiamente tutto questo è almeno in parte «compensato» dalla pazienza che altri dovranno portare nei nostri confronti: anche noi, senza dubbio, favoriamo la virtù degli altri, permettendo loro di compiere esercizi di pazienza verso di noi…
È chiaro, però, che essere partecipi e servitori, in virtù dell’unzione nello Spirito santo, della «pazienza di Cristo», è qualcosa di più di questo pur importantissimo esercizio quotidiano della pazienza – che include, peraltro, anche la non poca pazienza che dobbiamo avere nei confronti di noi stessi, quando ci sperimentiamo, nonostante il nostro impegno, molto al di sotto dei nostri ideali…

1. Prima di tutto, ciò che a volte traduciamo con «pazienza» indica, nel linguaggio biblico, la grandezza d’animo, la «magnanimità». È, possiamo dire, la dilatazione del cuore e della mente, una dilatazione che si misura, se possibile, con la magnanimità di Dio stesso (cf. Rm 2,4; 9,22), con la sua misericordia senza limiti.
Di questa magnanimità è segno la nostra stessa chiamata al ministero, se appena facciamo nostre le parole di Paolo a Timoteo: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (1Tm 1,15-16).
Anche per questo motivo ci è chiesto di vivere il ministero con quella «pazienza a tutta prova» (cf. 2Cor 12,12) che è proprio il contrassegno della magnanimità con la quale Dio ci ha amati e ci ha chiamati. Mi tornano in mente le parole di preghiera allo Spirito che san Giovanni XXIII pronunciò in occasione della Pentecoste del 1962: «… Nessun legame terreno ci impedisca di far onore alla nostra vocazione: nessun interesse, per ignavia nostra, mortifichi le esigenze della giustizia, nessun calcolo riduca gli spazi immensi della carità dentro le angustie di piccoli egoismi. Tutto sia grande in noi: la ricerca e il culto della verità, la prontezza al sacrificio fino alla croce e alla morte…»
«Tutto sia grande in noi…»: così si riassume al meglio il senso della «pazienza magnanima» di cui sto dicendo: tutto sia «grande», evidentemente, non per orgoglio o presunzione, ma perché ci sentiamo partecipi, per pura grazia, della magnanimità di Dio.

2. Vivere il ministero nella pazienza significa anche, oggi, fare i conti con l’incertezza. Non penso soltanto all’incertezza che abbiamo sperimentato e ancora stiamo sperimentando a causa della pandemia; o, piuttosto, penso che questa incertezza abbia allargato e reso più acuta un’incertezza che accompagna da tempo la nostra vita di Chiesa e il nostro stesso ministero.
Le nostre reazioni a questo situazione possono essere diverse. C’è chi si sente più sicuro nell’individuare strategie da perseguire, c’è chi vorrebbe fare passi più radicali in direzioni nuove, chi vorrebbe ricuperare riferimenti che in passato si sono mostrati più solidi… E tutto questo non vale solo per noi, ai quali è stato affidato il ministero nella Chiesa, ma anche per i nostri fedeli e le nostre comunità.
La pazienza ci impegna nell’ascolto reciproco, in uno stile di comprensione e di benevolenza che non pretende di avere in tasca la soluzione dei problemi – forse non esiste la soluzione, e ci occorrono la magnanimità e sapienza di accettare anche strade differenti, senza che necessariamente entrino in conflitto.
Per non lasciarci paralizzare dall’incertezza, vi invito anche a condividere di più i nostri tentativi, i passi che proviamo a fare; vi invito a far crescere sempre più, nel presbiterio diocesano e in tutta la nostra Chiesa, uno stile di confronto fraterno, di aiuto reciproco, di condivisione, appunto con quella pazienza in Cristo che ci permette di «non spegnere lo Spirito, non disprezzare le profezie, vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono» (cf. 1Ts 5,19-21).

3. Poi, certo, se vogliamo davvero misurarci sulla pazienza di Cristo, per viverla nel nostro ministero, il «programma» ci è messo davanti precisamente nei giorni santi che ci aspettano. La pazienza di Cristo non è altro che la passione di amore che ha spinto il Signore Gesù a dare la vita per noi e per tutti.
Riecheggiando, sia pure alla lontana, il rito con il quale ci sono state consegnati, nel giorno dell’Ordinazione, il pane e il calice per la celebrazione dell’Eucaristia, mi sento di dire che grazia che ci è stata data, e per la quale oggi in modo speciale siamo riconoscenti a Dio, è precisamente quella di poter essere servitori, imitatori e testimoni di questa passione d’amore:
servitori che sanno di non essere padroni, ma amministratori sapienti e generosi di ciò che è messo nelle nostre mani non per noi stessi, ma per il popolo di Dio a noi affidato;
imitatori, perché non ci accada che sia troppa la distanza tra l’amore paziente del Signore, che dispensiamo nel nostro ministero sacerdotale, e i nostri comportamenti quotidiani;
– e testimoni che hanno conformato pienamente la loro vita a quella del Signore, sicché anche quando ci sentiamo impotenti, delusi di fronte agli insuccessi, privi di forza per l’avanzare dell’età o il venir meno della salute, la nostra stessa debolezza (cf. 2Cor 12,9) sia il contrassegno dell’amore paziente di Cristo, che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7).