Pellegrinaggio a Santa Maria della Croce (24 maggio 2019) – Omelia

Basilica di S. Maria della Croce (Crema), 24 maggio 2019

Rinnovo a tutti voi il benvenuto in questo nostro pellegrinaggio annuale, attraverso il quale anche ci prepariamo a celebrare la «giornata diocesana delle famiglie» nelle nostre parrocchie e comunità. Lo facciamo qui, davanti a questo santuario di S. Maria della Croce, così caro alla devozione dei Cremaschi, davanti alla Vergine Maria, che onoriamo e ricordiamo questa sera celebrando la S. Messa di «Maria di Nazaret», di Maria contemplata nella fede proprio nella luce della dimensione familiare della sua esistenza donata al Padre.

E lo facciamo lasciandoci raggiungere da questa parola di Gesù, che ci porta al cuore del suo Vangelo: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12). È il cuore del Vangelo non soltanto, e neppure, prima di tutto, come nostro compito e dovere. Sullo sfondo di questo comandamento sta ciò che Gesù ha detto poco prima ai discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (15, 9).
La fonte, l’origine di tutto, rimane l’amore del Padre, da cui tutto deriva. E se guardiamo la «logica» di questa derivazione, scopriamo qualcosa di veramente sorprendente. Il Padre ha amato e ama il Figlio, e in Lui si compiace. E Gesù, il Figlio, risponde all’amore del Padre amando i «suoi», i discepoli che il Padre gli ha dato. Sì, certo, in questo «testamento», che Gesù lascia ai discepoli prima della sua passione, aveva già detto che egli «ama il Padre» (cf. 14, 31): ma appunto, egli ama il Padre facendo ciò che il Padre gli ha comandato e cioè dando la sua vita per i suoi «amici» – ossia, potremmo dire, facendo entrare gli uomini nell’amicizia di Dio, proprio grazie al dono della sua vita per amore. Insomma, per dirla con un linguaggio un po’ sbrigativo, è come se il Padre dicesse al Figlio: se vuoi rispondere al mio amore, ama quelli ai quali ti mando, ama questa umanità segnata dal male e bisognosa di riscoprire il mio amore.
E, nella stessa linea, Gesù dice ai discepoli: se volete amare me, se volete rispondere al mio amore, amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato. Usando sempre un linguaggio un po’ grezzo, possiamo dire che al Padre non «interessa» essere riamato dal Figlio, ma che il Figlio doni il suo amore agli uomini; e al Figlio non «interessa» di essere amato dai suoi discepoli, ma che i discepoli vivano questo amore reciprocamente, tra di loro.
Ho usato volutamente questa espressione, «non interessa», perché ci richiama all’amore «disinteressato», a quella carità che «non cerca il proprio interesse», come dice Paolo nell’Inno alla carità (cf. 1Cor 13, 5), ma quello degli altri (cf. Fil 2, 4); quell’amore che anche papa Francesco ha richiamato, parlando della famiglia, quando scrive, citando s. Tommaso d’Aquino, che «“è più proprio della carità voler amare che voler essere amati” (Summa Theologiae II-II, q. 27, a. 1, ad 2) e che, in effetti, “le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate” (Ibid., a. 1). Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, “senza sperarne nulla” (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è “dare la vita” per gli altri” (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)» (Francesco), Amoris laetitia 102).

Si tratta dunque di vivere ciò che chiede il Vangelo, di mettere in pratica il «comandamento» di Gesù. Certo non è fuori luogo chiedersi se si può «comandare» l’amore. Evidentemente, non lo si può comandare come sarebbe il comando di un padrone nei confronti di uno schiavo. Ma lo si può accogliere come una consegna che viene da un amico – «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15); lo si può accogliere come un impegno che riceviamo da chi ha consegnato se stesso alla morte per noi, e si è impegnato per noi fino al punto di donare la propria vita.

In fondo, il senso di questo «comando» lo comprendiamo alla luce di un altro comando, che è quello che ci ha portato a radunarci qui, questa sera, come ogni volta che ci ritroviamo intorno all’altare del Signore. Lo ricorderemo tra poco: «Fate questo in memoria di me». Il Signore ha lasciato ai discepoli questa consegna: di ritrovarsi a fare memoria viva del dono della sua vita per noi, del Pane spezzato e del Sangue versato, per riconoscervi l’«amore più grande»; l’amore vicendevole è l’altro risvolto di questa stessa consegna, l’altro lato della stessa medaglia.
Se accogliamo la consegna di Gesù, di ritrovarci intorno all’altare, intorno al Pane della vita e al Calice della salvezza, non possiamo non accogliere l’altra consegna, quella di amarci come Lui ci ha amato. Come dice ancora san Giovanni nella sua prima lettera, «in questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3, 16).
Probabilmente, nelle nostre famiglie, con tutti i loro limiti e le loro fatiche, noi cerchiamo già di fare questo, proprio perché cerchiamo di porre le nostre famiglie sul fondamento dell’amore di Dio che ci è donato da Gesù Cristo.
Sì, le nostre famiglie possono diventare, e già sono, i luoghi in cui impariamo ad amarci a vicenda, come Gesù ci ha amato. E il Signore ci sta facendo il dono di continuare nella stessa linea di fecondità dell’amore divino, capace di portare molto frutto: sta facendo sì, insomma, che l’amore vicendevole non sia una realtà chiusa in sé stessa, ma si apra a un dono sempre più grande, diventi amore accogliente, aperto, ospitale… Porti, insomma, quel «frutto abbondante», di cui parla Gesù nel Vangelo.
Ancora una volta, proviamo a dar credito a questo amore, a credere alla forza rinnovante dell’amore del Signore per noi; lasciandoci accogliere da Dio, chiediamo che anche le nostre famiglie, come pure la vita di tutti e ciascuno di noi, abbiano la fecondità dell’amore disinteressato, e scoprano sempre meglio, così, quanta gioia e bellezza è promessa a questo modo di vivere (cf. Gv 15, 11), il modo di vivere di chi accoglie l’amicizia di Gesù.

Ci aiuti in questo cammino la Vergine Maria, che ha accolto il Figlio divino non per tenerlo per sé, ma per donarlo a tutti, frutto del suo grembo purissimo, frutto che continuamente genera fecondità di amore nella storia del mondo.