“Pellegrinaggio” a S. Maria della Croce

Nell’impossibilità di tenere il consueto pellegrinaggio a S.Maria della Croce, il 3 maggio 2021 è stata celebrata nel Santuario l’Eucaristia, presieduta dal vescovo Daniele. Ne riportiamo l’omelia.

A un mese dall’apparizione a Caterina degli Uberti, il 3 maggio 1490 la Vergine Maria offrì ai cremaschi un nuovo segno della misericordia di Dio attraverso la guarigione prodigiosa di un ragazzino di undici anni, colpito da una malformazione ai piedi.
Questo e i successivi segni di benevolenza e di grazia avvenuti per l’intercessione di Maria condussero alla decisione di erigere in suo onore questa nostra bella Basilica, nella quale ancora una volta ci ritroviamo, a un mese dalla ricorrenza del 3 aprile; e anche questa sera, come negli ultimi anni (e con la speranza di riprendere il prossimo anno anche il pellegrinaggio), vogliamo affidare alla Vergine Maria, in modo particolare, le nostre famiglie, anche in vista della giornata diocesana della famiglia, che celebreremo nelle parrocchie domenica prossima, 9 maggio.
Una preghiera particolare vorrei fare, questa sera, per le famiglie che anche da noi, in questi giorni, sono state colpite dal lutto gravissimo, drammatico, della perdita di una figlia o di un figlio ancora ragazzi o adolescenti. Penso alla morte di Viola, la settimana scorsa a Moscazzano; a quella di Christian, pochi giorni fa, a Trescore… e altre, di cui forse l’uno o l’altro di noi può essere informato, ma anche quelle di cui non sappiamo niente: di tutti i dolori che possono colpire una famiglia, è difficile pensarne uno più straziante di quello provocato dalla morte di una bambina, o di un ragazzo nel pieno della sua adolescenza.
Forse è per questo che, dei tre episodi che i vangeli ci raccontano, nei quali il Signore Gesù ha richiamato a questa nostra vita terrena chi era già morto, due riguardano proprio due adolescenti: la figlia dodicenne di Giairo, il capo di una sinagoga (cf. Mc 5,40-43 e par.) e il figlio adolescente della vedova di Nain (cf. Lc 7,11-16).
Al tempo di Gesù la mortalità infantile, come si dice con una formula un po’ astratta, era certamente molto più alta di adesso: ma si direbbe che Gesù sia stato anche lui particolarmente colpito da questi eventi per i quali non riusciamo a trovare parola di spiegazione; possiamo soltanto affidarci, nella fede e nella speranza, al Dio di grazia e di misericordia, il cui abbraccio a volte è anche fonte di mistero e turbamento.
Nella prossima giornata diocesana della famiglia siamo invitati in modo particolare a rendere grazie a Dio per la vita delle nostre famiglie. Ce lo ricorda papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Amoris laetitia, che in questo anno ci è chiesto di riprendere in mano in modo speciale. Scrive il Papa: «Rendo grazie a Dio perché molte famiglie, che sono ben lontane dal considerarsi perfette, vivono nell’amore, realizzano la propria vocazione e vanno avanti anche se cadono tante volte lungo il cammino. A partire dalle riflessioni sinodali non rimane uno stereotipo della famiglia ideale, bensì un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni» (Am. laet., 57).
Dobbiamo rendere grazie a Dio anche per le famiglie che, colpite della morte improvvisa di un figlio o di una figlia ancora giovani, ci danno una grande testimonianza di fede e di abbandono al mistero di Dio, con una forza d’animo davvero straordinaria. Anche questo può diventare ed è effettivamente segno di come la famiglia può essere luogo di una forza e di una tenacia senza pari, anche davanti alle prove più dolorose che si possano concepire.

E forse questo è l’insegnamento che riceviamo questa sera, sia pensando a queste esperienze dolorose, sia contemplando la vicenda di Gesù e della famiglia umana della quale egli ha fatto parte.
Il racconto evangelico che abbiamo ascoltato, con la narrazione di ciò che avviene dopo la visita dei Magi a Betlemme, ci riporta a uno degli episodi evangelici che più suscitano domande – episodio che il Lezionario tralascia, ma che ricordiamo bene, perché è lo sfondo di tutto ciò che abbiamo ascoltato, e cioè la cosiddetta «strage degli innocenti», l’uccisione dei bambini di Betlemme e del circondario, ordinata da Erode nel tentativo di disfarsi del «re dei Giudei», della cui nascita era stato informato dai Magi.
Questo episodio, dicevo, suscita domande gravi, difficili, simili a quelle che ci facciamo quando un giovane, una bambina, muoiono improvvisamente: perché questa violenza? Perché Dio permette che il suo Figlio sfugga alla violenza di Erode, ma non ne ferma la mano omicida? Perché lascia morire gli altri bambini?
Io non ho risposte sicure a queste domande, così come non saprei rispondere ai genitori che mi chiedessero: perché la nostra bambina è morta soli dieci anni? Perché il nostro figlio adolescente è morto nel sonno, senza che potessimo fare niente per lui?
Quello che vedo, nel Vangelo, è una famiglia che affronta la prova rimanendo nella fedeltà a Dio, nell’obbedienza alla sua parola, creando un contesto di protezione, di cura reciproca e, possiamo immaginare, anche di preghiera e di riflessione credente a riguardo delle prove che sta vivendo.
Non credo che potremo mai eliminare del tutto, dalla vita delle nostre famiglie, difficoltà e prove, anche prove dure, come quelle che derivano dalle malattie, da situazioni disabilità, dalle incertezze sul futuro, e anche dalle nostre stesse scelte… Credo, però, che Dio possa dare alle famiglie la forza di far fronte alle prove, la pazienza davanti alle difficoltà, la creatività e il coraggio che ci vogliono in situazioni difficili, la fede e la speranza che possono illuminare anche le ore più buie.
Credo che le famiglie possano essere i luoghi dove la speranza pasquale, così ben simboleggiata in Maria, in piedi sotto la Croce del suo Figlio, diventa «di casa», e può rendere capaci di esultare di gioia nelle ore liete, di affidarsi a Dio nell’ora del dolore, e di fare tutto il possibile per chi più è in difficoltà.
Dobbiamo rendere grazie a Dio, perché ci sono famiglie così; e, come Chiesa, impegnarci a raccoglierne la testimonianza, e a sostenere tutte le famiglie, perché possano diventare poi spazi e ambienti di vita capaci di sostenere, custodire e prendersi cura, nella gioia e nel dolore, di ciascuno dei suoi membri, ma anche della società e della stessa Chiesa.