Ordinazione diaconale di Andrea Berselli

Sabato 1 ottobre 2022, il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia, nella quale ha conferito l’ordine del diaconato al seminarista Andrea Berselli. Riportiamo l’omelia del vescovo.

 

Saluto iniziale

Prolungo il saluto di pace, nella gioia del Cristo presente tra di noi, per dare il benvenuto a tutti voi, qui riuniti per celebrare l’Ordinazione diaconale di Andrea Berselli.
Saluto e ringrazio i laici, i consacrati e le consacrate, i diaconi e i presbiteri, e quanti seguono la celebrazione attraverso la Radio e la diretta streaming. Un saluto speciale e riconoscente ai genitori e a tutta la famiglia di Andrea, e a quanti, preti e laici, rappresentano qui la comunità da cui proviene (la parrocchia di san Carlo, in unità pastorale con le parrocchie di Crema Nuova e di S. Maria dei Mosi) e quelle del suo servizio pastorale, Vaiano e Monte Cremasco.
Saluto i seminaristi delle diocesi sorelle di Cremona, Lodi, Pavia e Vigevano, il rettore di Crema don Gabriele Frassi, con tutti i formatori e insegnanti; e un saluto anche alla piccola “comunità vocazionale” che ha mosso nei giorni scorsi i primi passi, ospite della parrocchia di Ombriano.
Due “presenze” in particolare vorrei ancora richiamare e ringraziare: quella dell’Azione Cattolica diocesana, che è una delle “radici” più importanti della vocazione di Andrea, Azione Cattolica che ha scelto proprio questo giorno per incominciare il nuovo anno associativo.
E poi vorrei salutare – immaginando che ce siano diversi presenti – gli alunni e i colleghi di scuola di Andrea, e tutti gli insegnanti di religione cattolica, che condividono con lui questo compito così prezioso e delicato. Grazie per la vostra presenza e amicizia!
Preghiamo Dio per Andrea, per la nostra Chiesa di Crema, per il dono di numerose e sante vocazioni, di carismi e ministeri per il servizio del popolo di Dio e per il bene della Chiesa.
Disponiamoci ora a celebrare i santi misteri, riconoscendo i nostri peccati e affidandoci alla misericordia di Dio.

 

Omelia

È già successo, tre anni fa, di leggere durante la Messa di ordinazione di un diacono questa parola un po’ sconcertante di Gesù, che dice: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10): parola ancora più sconcertante, perché il termine greco “diacono” rimanda proprio al servizio (anche se nel vangelo che abbiamo ascoltato si usa una parola diversa): in particolare, il servizio dell’annuncio del Vangelo e della carità verso i più poveri.
Andrea è stato chiamato dal Signore, ne siamo convinti, a entrare come diacono nel servizio di Dio e della Chiesa; e dallo stesso Signore Gesù si sente dire: sei un servo inutile, un servo di cui non c’è bisogno!
Non so che cosa tu abbia pensato, caro Andrea, davanti a questa parola; magari ci sarà una qualche occasione perché tu ce lo dica. Da parte mia, credo che cercherei di dire a Gesù qualcosa di questo genere: non è prima di tutto perché ci sia “bisogno” di me, che ho deciso, Signore, di legare la mia vita alla tua.
Tu mi hai dato delle risorse, delle capacità, dei doni, che forse non sono del tutto “inutili”. Ma questa non è la cosa decisiva. Se ho pensato di legare la mia vita alla tua non soltanto nel Battesimo, che mi ha reso tuo fratello e discepolo e amico, ma anche in questo ministero di cui sarò rivestito questa sera (e poi, se tu vorrai, anche nel ministero del prete), è perché ho conosciuto il tuo amore per me, e ho pensato che questa fosse, per me, la via migliore per rispondere a questo tuo dono.
Non pretendo davvero di essere di qualche “utilità”, tanto meno di essere “necessario”, ma sono convinto di questa parola dell’apostolo Paolo: è «l’amore del Cristo», l’amore tuo per noi, per me, che «ci possiede», e mi stringe da ogni parte; e so bene che «uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti» alla vita vecchia, dell’uomo egoista. E tu, Signore sei «morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (cf. 2Cor 5,14-15).
Ecco: ho sentito, Signore – tu mi hai fatto sentire – che non potevo più vivere per me stesso, ma che dovevo vivere per te, che sei morto e risorto per me e per i miei fratelli e sorelle. E vivere per te vuol dire anche vivere per loro, per il tuo Corpo, per la tua Chiesa, per questa umanità per la quale hai donato te stesso e alla quale chiedi che sia ancora annunciato e testimoniato l’amore del Padre.
E continuerei a dire al Signore Gesù una cosa di questo genere: sei tu, Signore, a mettermi davanti la grazia, la gioia e la bellezza del servire: servire te, e il Padre che ti ha mandato, e tutti quelli che mi farai incontrare, sostenuto dal dono di Dio che mi sarà conferito mediante l’imposizione delle mani, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo.
Non c’è nulla di umiliante, nulla di avvilente, in questo servizio. Perché tu per primo, Signore, tu hai accettato di svuotare se stesso, la tua divinità, e di assumere la condizione di servo, facendoti obbediente a Dio fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,7-8).
Tu per primo, il Signore e Maestro, ti sei piegato a lavare i piedi dei tuoi discepoli (cf. Gv 13,1 ss.); tu per primo sei stato in mezzo a noi come colui che serve (cf. Lc 22,27) e ci hai fatto capire che nel regno del Padre tuo il primo posto ce l’ha chi si fa piccolo e servo di tutti (cf. Mc 9,35), proprio come hai fatto tu.
Non è l’utilità o l’inutilità, il punto decisivo: è la grazia di poterti seguire, è la gioia di mettere i miei passi dietro ai tuoi (cf. Gv 12,26), e sapere che tu fai di me, questa sera, il segno vivente del tuo servizio, perché molti ancora possano riconoscere di quale amore Dio ci ama: fino a prendere, in te, l’ultimo posto, fino a morire come uno schiavo sulla croce.

Così, più o meno, proverei a reagire alla parola di Gesù sui “servi inutili”: nella consapevolezza che occorre certo molta fede, per vivere seriamente, ma anche gioiosamente, tutto questo. E sapendo però che quel briciolo di fede che è stato piantato in noi può sradicare anche le radici più tenaci, e farci spostare montagne di fatica, di stanchezza, di avvilimento, che pure fanno parte del nostro cammino.
E poi, «Dio non ci ha dato – e non ti dà – uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2Tm 1,7). Trasmetto a te, caro Andrea, questa assicurazione di Paolo a Timoteo, nella convinzione che saprai custodire, «mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti viene affidato» (cf. v. 14) e sarai attento a rinnovare sempre «il dono di Dio», che sarà in te «mediante l’imposizione delle mie mani» (cf. v. 6).
E affido il tuo ministero di diacono all’intercessione di santa Teresa di Gesù Bambino, la piccola santa di Lisieux, di cui abbiamo celebrato oggi la memoria. Parlando di utilità o inutilità, c’è un tema che ricorre più volte nei suoi scritti: e cioè che tutti i nostri atti di giustizia, tutti i nostri meriti, scompaiono davanti alla sovrabbondanza della misericordia di Dio. A lui, solo, affidiamo la nostra vita; e sarà lui a renderci capaci di quel dono che santa Teresa esprime sinteticamente così: «Amare significa donare tutto e donare se stessi». Ti accompagni il Signore, con la nostra preghiera, perché questa sia la cifra del tuo diaconato.