Ordinazione diaconale di Alessandro Vanelli – Omelia

Cattedrale di Crema, 5 ottobre 2019

Introduzione alla celebrazione
Saluto cordialmente nel Signore tutti voi, qui convenuti per questo momento di grazia, l’ordinazione diaconale di Alessandro: saluto tutti i sacerdoti presenti, la comunità interdiocesana del Seminario di Lodi con il Rettore don Anselmo Morandi e tutti i seminaristi; i formatori del Seminario di Crema, don Gabriele Frassi, rettore, e don Alessandro Vagni, padre spirituale; i docenti dello studio teologico e, naturalmente, i seminaristi della nostra diocesi.
Saluto e ringrazio i genitori di Alessandro, sempre partecipi dei momenti significativi di vita di Chiesa non solo del loro figlio, ma di tutta la diocesi; e il fratello con tutta la sua famiglia. Saluto i parroci e le comunità parrocchiali di Montodine, di Ombriano e dell’unità pastorale di Trescore Cremasco, Casaletto Vaprio e Cremosano, entro la quale Alessandro vivrà il suo ministero; e tutti voi, in particolare i giovani, qui raccolti dal Signore per accompagnare e sostenere Alessandro con la preghiera e l’amicizia.
All’inizio di questo mese di ottobre, ottobre missionario per noi più che mai straordinario, ci accompagna proprio oggi la memoria riconoscente di p. Sandro Pizzi, nel decimo anniversario della morte: Alessandro ne ha conosciuto un po’ la figura e l’opera andando, l’estate scorsa, in Uganda. Ci prepariamo anche al mandato missionario di don Paolo Rocca, per giungere poi alla beatificazione di p. Alfredo Cremonesi, mentre continua la nostra implorazione per la libertà di p. Gigi Maccalli.
I doni di Dio davvero non mancano: ma sono anche un appello, una chiamata che si rinnova! Disponiamoci ad ascoltarla, anche nel riconoscimento dei nostri peccati e affidando tutti noi e la nostra Chiesa alla sua misericordia.

Omelia

Suona una po’ come una beffa che proprio nella celebrazione nel corso della quale un nostro fratello viene ordinato diacono – questa parola greca che significa «servitore» – ci sentiamo dire dal Signore, nel vangelo, che questo «servizio», anche quando fatto in modo completo, integrale, è «inutile»! «Così anche voi – così anche tu, caro Alessandro –, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 10).
Letteralmente, questi servi dovrebbero dire: «Siamo servi di cui non c’era bisogno». Così, uno matura nella fede la convinzione che il Signore lo chiama a mettere in gioco tutta la sua vita per Lui e per la Chiesa; questa sua convinzione viene vagliata da altri, dalle sue guide spirituali, dagli educatori e formatori, dal Vescovo… Lascia la famiglia, per cinque o sei anni si dedica alla preghiera, allo studio, alla vita comune nel seminario; incomincia a vivere anche esperienze significative di servizio nella parrocchia; si conferma così sempre più nella volontà di donare tutta la sua vita a Dio, e per questo sceglie di rinunciare a un proprio lavoro, alla professione, a un proprio posto nel mondo; si sente chiamato dal Signore anche a rinunciare all’amore per una donna, al compimento bello di sé nel costituire una propria famiglia, e abbraccia dunque la scelta, anch’essa bella e appassionante, del celibato per il Regno dei cieli…  Arriva al momento che segna il primo passaggio veramente decisivo, in questo cammino che ha per sua meta il ministero del prete, attraverso l’ordinazione diaconale… e si sente dire: grazie, sei un servo di cui non c’è bisogno, un servo inutile!
Non so se tu, caro Alessandro, abbia visto le cose in questo modo e, nel caso, quale sia stata la tua reazione interiore. Forse, anzitutto, quella di dire, con gli apostoli: «Signore, accresci in me la fede!» (cf. v. 6) perché, senza la fede, faccio fatica a capire il senso di questa inutilità. Solo che, anche in questo caso, almeno a prima vista la risposta di Gesù non è molto rassicurante, perché sembra dire: con la fede, è tutto o niente, o c’è o non c’è! Ed è vero, se non altro, che non dobbiamo pensare la fede come una specie di benzina soprannaturale, di cui si può far rifornimento quando il serbatoio si svuota.
La fede è piuttosto un modo di stare davanti a Dio o, meglio di vivere in relazione con Lui; è un abbandonarsi alla fedeltà del suo amore, che ha senso soltanto se è pieno, senza riserve, senza tattiche o condizioni. Poi, senza dubbio – è il vangelo stesso a ricordarcelo – ha senso anche la nostra preghiera di credenti che dicono al Signore: «Credo! Ma tu aiuta la mia incredulità» (cf. Mc 9, 24). Aiuta la mia incredulità: e aiutami anche a capire la mia «inutilità», il fatto di essere un servo «di cui non c’è bisogno».
Al Signore Gesù, che mi parla così, sento che potrei rispondere in questo modo: sì, o Signore, sono ben consapevole che sono e sarò sempre un servo inutile, che di me non c’è bisogno. Ma sono io che ho bisogno di te! Il servizio al quale mi sento chiamato non serve a te, serve a me! Ho bisogno io di conformarmi a te, di plasmare la mia vita sul modello della tua: perché tu hai detto che sei passato in mezzo a noi «come colui che serve» (Lc 22, 27); tu hai detto che il più grande, nel regno del Padre tuo, è colui che si fa servo di tutti (cf. Mc 9, 35); tu ti sei piegato a lavare i piedi ai tuoi discepoli, come uno schiavo, per farmi capire che solo il dono della vita nell’amore fino alla pienezza rende la vita stessa degna e bella (cf. Gv 13, 1 ss.)…
Quindi, Signore Gesù, dammi sempre la consapevolezza di essere un servo inutile, di cui non c’è bisogno, senza alcun dubbio: ma fammi anche la grazia di vivere almeno un po’ quel servizio che tu hai vissuto in pienezza, quel servizio che – con tutti i miei limiti – mi fa essere un po’ più simile a te.

E poi, Signore – mi permetto di continuare questa specie di replica immaginaria a Gesù, da parte di chi si sente qualificare come «servo inutile» – forse del tutto inutile non sarò. Tutti gli evangelisti dicono che tu guarivi coloro che avevano bisogno di te, perché erano malati. Ma il tuo evangelista Luca – e solo lui – dice due volte che anche tu hai avuto bisogno: hai avuto bisogno dell’asinello sul quale sei salito per entrare a Gerusalemme (cf. Lc 19, 31.34).
Ecco, Signore: potrei esserti utile come quell’asinello: senza pretese, senza vanti, sapendo bene che le folle e i bambini, mentre entravi a Gerusalemme, applaudivano te, non l’asinello. E sapendo bene – come dice sant’Agostino – che era l’asinello che ti portava, ma eri tu a guidarlo: e così non c’è nessuna paura di sbagliare strada, nessun pericolo di finire nel precipizio (cf. S. Agostino, Espos. del Sal 33, II, 5).

Vivendo il tuo ministero di diacono potrai essere utile al Signore e ai fratelli, caro Alessandro, appunto come quell’asinello: lasciandoti guidare sempre da Gesù, cercando di portare agli altri lui, e non te stesso; e nella consapevolezza che il servizio al quale ti impegni, non sarà mai per te motivo di vanto, ma solo dono di cui essere riconoscente, e da custodire e ravvivare con ogni premura. È l’atteggiamento che Paolo indica a Timoteo, quando lo invita a tenere continuamente viva la fiamma del «dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani» – quel gesto, risalente agli apostoli, che anch’io compirò tra poco su di te; e custodendo, «mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti viene affidato» (cf. 2Tm 1,6.14).
Potrai così essere utile al Signore e alla Chiesa, nello spirito che ho cercato di dire, esercitando il servizio proprio del diacono: il servizio del Vangelo, che proclamerai nella liturgia per imparare a proclamarlo sempre più con tutta la tua vita; il servizio dell’altare, in particolare come ministro del Calice della salvezza, e distribuendo la Comunione, per ricordarti che la vita del Signore, donata ai fratelli, impegna anche te in un dono senza riserve; e poi il servizio della carità, specialmente nei confronti dei più poveri, degli ultimi, degli esclusi, che saranno i tuoi primi maestri nella fede, gli amici più fidati e la garanzia più sicura per il tuo servizio.

Quanti «servi inutili», nel corso dei secoli, hanno ritenuto così bello e affascinante l’invito, la chiamata che si sono sentiti rivolgere da Gesù, che non hanno avuto paura a rispondervi con tutta la loro vita. E sono sicuro che questa chiamata risuona ancora questa sera in mezzo a noi, anche tra i giovani che ti accompagnano in questo momento di grazia. Il Signore saprà farsi ascoltare; saprà toccare il cuore anche per aprirlo alla scelta di seguirlo in un dono indiviso, di cui è espressione concreta il celibato per il Regno dei cieli.
Noi ti ringraziamo anche di questa scelta, oggi sempre più difficile, che tu fai questa sera: e soprattutto chiediamo per te che diventi davvero, come dicono anche le parole della liturgia, «sorgente di fecondità spirituale nel mondo», fondamento di una speranza che non delude, espressione di condivisione e di carità senza limiti.

Mi auguro, e ti auguro, di uscire da questa celebrazione non solo con la grazia del sacramento – che è certa, per la fedeltà di Dio – ma anche con questa convinzione profonda: di essere servo inutile, e proprio per questo amato dal Signore, e da lui guidato fino alla meta, quando sarà lui stesso a dirti: «Vieni, servo – diacono! – buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore» (cf. Mt 25, 21.23).