Ordinazione di A. Andronico e A. Benzi a diaconi permanenti

Il 10 ottobre 2020, in Cattedrale a Crema, Antonino E. Andronico, della parrocchia di S. Bernardino, e A. Benzi, della parrocchia di S. Benedetto, sono stati ordinati diaconi permanenti: i primi diaconi permanenti della diocesi di Crema. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele durante la Messa di ordinazione.

Ci sono, nel vangelo che abbiamo ascoltato poco fa, dei servi che diventano diaconi! La traduzione italiana non ci aiuta a cogliere questo passaggio, perché usa sempre la parola “servi”, anche quando, proprio alla fine del racconto, il re della parabola dà ordine ai diaconi (qui l’evangelista cambia parola, rispetto a prima) di gettare fuori dalla sala del banchetto quell’ospite che non indossava l’abito bello, l’abito nuziale. Qui, dicevo, si parla di diaconi (cf. Mt 20,13). Certo, è un po’ azzardato pretendere di ricavare da questo cambiamento di linguaggio chissà quale insegnamento per il ministero che questa sera, cari Alessandro e Antonino, vi viene conferito. Non penso che possiamo interpretarlo come quello del buttafuori!
Del resto, sembra che in generale, nel NT, non si debbano accentuare troppo le differenze di linguaggio che indicano il servizio. Questa parola «servo», che abbiamo sentito quattro o cinque volte nel vangelo di questa sera, e che talora viene tradotta anche con «schiavo», viene usata in diverse occasioni, anche quando si tratta del «servizio» esercitato in nome di Gesù e per il bene della comunità cristiana.
È per questo che, invocando su di voi la grazia dell’ordine diaconale; su di voi che per la prima volta, negli oltre quattro secoli di storia della nostra Chiesa, ricevete quest’ordine in modo stabile, per esercitarlo per tutto il resto della vostra vita, vi guardo, questa sera, soprattutto alla luce di tutte le altre azioni dei «servi» della parabola che abbiamo ascoltato; vi vedo come quei servi che il re non si stanca di mandare ai quattro angoli del suo regno, per invitare al banchetto di nozze del suo Figlio.

Sono, prima di tutto, servi che obbediscono ai comandi del loro re, e lo fanno anche quando sembrano ordini stravaganti – come lo è uscire ai crocicchi delle strade per chiamare tutti quelli che passano, buoni o cattivi che siano, per farli chiamarli al banchetto nuziale (cf. 22,9); lo fanno anche quando quest’obbedienza diventa gravosa, impegnativa: il rifiuto ostinato ad accogliere l’invito del re, da parte dei primi invitati, fa sì che alcuni di questi servi siano addirittura picchiati o uccisi! (cf. v. 6)…
Voi, tra poco, prometterete obbedienza a me e ai miei successori: ma è chiaro che la prima e più importante obbedienza siete chiamati a viverla davanti a Dio. Questa obbedienza si chiama prima di tutto fede: è adesione a Lui, accoglienza del suo dono di amore, lettura della vostra vita e della vostra storia (e di quella delle vostre famiglie, quelle dalle quali provenite e quelle che avete costituito con le vostre spose e poi con i vostri figli), del vostro lavoro e, insomma, di tutto voi stessi, nella luce di Dio e del suo progetto di amore.
Obbedienza di fede è aver ascoltato la chiamata di Dio, grazie anche a quanti vi hanno accompagnato, formato e seguito fino a questa sera (e li ringraziamo di cuore); è aver riconosciuto che in questa figura di ministero – cioè il diaconato vissuto come grado permanente del sacramento dell’Ordine, ripristinato nella Chiesa mezzo secolo fa dal concilio Vaticano II – c’era posto per voi. Obbedienza di fede sarà anche vivere questo ministero non come si farebbe in una qualsiasi funzione o professione umana, per quanto importante, ma secondo uno «stile» evangelico, come dono di Dio da mettere a disposizione di tutta la comunità, per la sua edificazione secondo Dio.

C’è un secondo aspetto che mi colpisce, nei servi di cui ci ha parlato la parabola: ed è che passano più tempo fuori dal palazzo del re, che dentro: sono davvero servi «in uscita»! Ci sono invitati da raggiungere, ci sono strade da percorrere e incroci da attraversare, perché l’invito al banchetto nuziale sia ascoltato.
A questa condizione di «uscita» vi abilita il fatto che il ministero che ricevete non muta il quadro fondamentale della vostra vita. Siete sposi e padri, esercitate una professione… e continuerete a vivere tutto questo, continuerete a condividere l’esistenza che vive la maggior parte della gente. Come vi ho anche già detto personalmente, vi chiedo anzi di vivere tutto questo, a partire da questa sera, con ancor più diligenza: il diaconato non deve distogliervi dalla cura per la vostra famiglia e il vostro lavoro, al contrario!
I crocicchi delle strade sono appunto i luoghi della vostra esistenza nel mondo, dentro ai quali potrete abitare con la grazia del sacramento che vi viene conferito, e che vi permetterà di essere proprio lì portatori di quell’invito alla gioia, alla vita piena, che Dio continua a rivolgere a tutti gli uomini – quell’invito di cui è immagine eloquente il banchetto nuziale. In questi luoghi potrete testimoniare che gli impegni di questo mondo – il proprio campo, i propri affari, come dice la parabola (cf. v. 5) – possono essere trattati in modo giusto e pieno, quando nell’ordine della propria vita si sottopongono all’invito di Dio, e non diventano pretesti per ignorarlo o trascurarlo.
In ogni caso, dicevo, vi penso come quei servi che vanno lungo le strade degli uomini, che escono dal tempio “attrezzati”, per così dire, con quello strumento che tra poco metterò nelle vostre mani, e cioè il Vangelo di Gesù Cristo: perché l’invito nuziale, il «venite alle nozze» (cf. v. 4), che i servi del re devono trasmettere a tutti, non è altro che il cuore del Vangelo stesso: di quella buona notizia del Dio che, in Gesù Cristo, chiama tutti a vita piena, offre a tutti perdono e misericordia, promette una gioia che nessun affare umano, per quanto importante, è in grado di dare.
A voi, prima di tutto – come vi dirò con le parole del rito, consegnandovi il libro del Vangelo di cui sarete annunciatori durante le liturgia – l’impegno ad accogliere nella fede questa buona notizia, a viverla nella vostra vita, perché questa stessa vita di diaconi diventi per tutti insegnamento evangelico.

Alla figura dei servi della parabola, mandati ai crocicchi della strade per invitare tutti al banchetto di nozze, vorrei accostare ancora quella parola di Gesù che esorta i suoi discepoli, quando fanno un banchetto, ad invitare non amici o fratelli o parenti o ricchi vicini… «Al contrario – dice Gesù –, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti» (cf. Lc 14,13-14).
Certo, mi immagino che questa sera, o domani, vorrete festeggiare con i vostri cari il dono di Dio che state per ricevere: e mi sembra giusto! Ma poi il Signore vi spinge fuori, lungo le strade, per essere voi per primi immagine, segno sacramentale di Lui che chiama i poveri e gli ultimi, e di una Chiesa che sa aprire le sue porte prima di tutto a coloro che il mondo rifiuta, a quelli che sono messi ai margini, scartati.
Al cuore del vostro ministero, ricordando cos’è stato il diaconato fin dalle sue origini, dovrà stare sempre quel primato che Giacomo ricorda nella sua lettera: «Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?» (Gc 2,5). Dio vi manda come suoi servi sulle sue strade perché siate i primi testimoni di questa scelta privilegiata: e perché la ricordiate a tutta la nostra Chiesa, e in primo luogo a me.
Secondo la tradizione antica, il diacono è particolarmente vicino al Vescovo: io vi chiedo di esserlo soprattutto nel ricordarmi questo primato dei poveri; e vi chiedo di farlo cercando di essere voi stessi, sempre, «premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito», come diremo con la preghiera di ordinazione.
Se, in obbedienza a Dio e con la forza dello Spirito, che stiamo per invocare su di voi, farete così, sono convinto che non vi sarà mai chiesto di buttar fuori nessuno, dalla sala del banchetto! Sarete voi a fare in modo che a nessuno manchi l’abito nuziale. Dopo l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, sarete rivestiti degli abiti propri del diacono: ebbene, mi auguro e vi auguro che il vostro ministero rivesta tutti coloro che incontrerete di un abito di misericordia, di fiducia, di gioia; e vi auguro che, mentre servirete all’altare al banchetto di nozze dell’Agnello, Dio vi faccia sentire nel cuore sempre l’urgenza di uscire lungo le strade a invitare tutti, perché nessuno si senta escluso dall’amore di Dio.

Dicevo, all’inizio di queste mie parole, che i testi biblici non sembrano fare molte differenze, usando i diversi termini che parlano del «servizio». Almeno il vangelo di Matteo, però, ha due sottolineature, che vorrei richiamare in chiusura.
La prima è il passo nel quale Gesù presenta la sua stessa missione come un servizio, fino al dono della vita: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (20, 28): e qui il linguaggio è precisamente quello della diakonia. Come a dire: il diacono per eccellenza è Gesù stesso, ed è a lui che dovete conformarvi pienamente, per essere in mezzo a noi il segno vivente, e sacramentale, della sua vita donata nell’amore.
L’ultima sottolineatura la troviamo nell’ultimo grande discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, nella parabola del giudizio, dopo che il re e giudice della parabola si è rivolto a coloro che non hanno dato da mangiare all’affamato, né da bere all’assetato, né hanno rivestito chi era nudo o accolto il forestiero… E allora questi rispondono: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?» (25, 44); quando, cioè, non abbiamo esercitato verso di te, presente nel povero e nel bisognoso, la nostra diakonia? Non c’è bisogno, credo, di richiamare esplicitamente la risposta del Signore, la ricordiamo tutti.
Sia Gesù Cristo, dunque l’anima e il modello del vostro diaconato; e rispondete al suo servizio di amore esercitando la vostra diaconia nella nostra Chiesa, e specialmente verso i piccoli e i poveri; e così questa sera aprirete per noi una strada che, ne sono certo, Dio non mancherà di riempire delle sue benedizioni.