Omelia per il funerale dell’Ing. Mario Buzzella

Cattedrale di Crema, 21 dicembre 2019

Il nostro fratello Mario ha chiuso la sua giornata terrena due giorni fa, e noi gli diamo l’ultimo saluto in questo mondo nei giorni nei quali i credenti si preparano a celebrare il Natale di Gesù. Forse non ci è facile inserire questo lutto nel contesto dei giorni che stiamo vivendo: non sarà facile, possiamo immaginarlo, soprattutto per i suoi figli, Francesco e Beatrice che, a distanza di meno di un anno dalla morte della mamma Piera, vedono mancare oggi anche il padre. A loro, e ai loro famigliari, va tutta la nostra vicinanza e simpatia, insieme con l’assicurazione della nostra preghiera, perché Mario, insieme con la sua sposa, sia accolto nella gioia dei santi in Paradiso e possa ora contemplare a viso aperto il volto di Dio, che è perdono, consolazione, gioia che rimane per sempre.
La saggezza della Chiesa raccomanda che non si facciano elogi particolari dei defunti, in occasione della liturgia delle esequie. Sarei, del resto, la persona meno indicata per fare un elogio, avendo conosciuto Mario Buzzella solo in tempi molto recenti e in modo sporadico: ripeterei un po’ artificialmente ciò che con molta più conoscenza di causa è stato detto e scritto in questi giorni dai tanti che hanno potuto dar conto dei molti titoli di benemerenza che egli si è acquistato con la sua vita, il suo lavoro, il suo impegno per la nostra città e il territorio cremasco e cremonese, e non solo.
Mi lascio guidare, invece, dalle letture che sono state proclamate, e che sono quelle previste nella normale liturgia di oggi: in particolare, il racconto della visita di Maria a Elisabetta (cf. Lc 1, 39-45), dove l’incontro tra le due donne diventa anche motivo dell’incontro tra i bambini che l’una e l’altra portano in grembo: Giovanni il Battista, concepito da Elisabetta in tarda età; e Gesù, che Maria, nei primi giorni del concepimento avvenuto ad opera dello Spirito Santo, fa subito uscire di casa, perché sia da subito colui che porta nel mondo il vangelo della salvezza e della gioia.
Ci sono dunque persone che si incontrano, che si abbracciano, che parlano, che ‘sentono’ la presenza reciproca e gioiscono l’una per l’altra, e l’uno per l’altro. E mi chiedo se proprio questi incontri non possano essere la ‘cifra’, la caratteristica di una vita buona e piena, quella vita buona e piena che noi pensiamo di riconoscere anche in Mario Buzzella, mentre preghiamo perché gli si aprano ora le porte dell’incontro pieno e definitivo con il Dio nel quale ha creduto e sperato.
Ciascuno di voi che siete qui, ne sono sicuro, porta nel cuore il ricordo di uno, o facilmente più di un incontro, che ha avuto con Mario, nella vita di famiglia, nella sua attività di imprenditore, nei tanti modi in cui ha sostenuto le realtà imprenditoriali, sociali, e anche di Chiesa, nel suo e nostro territorio.
Ma non si tratta soltanto di questo, che pure è determinante. Perché ci sia vero incontro, bisogna accorgersi dell’altro, degli altri. «Accorgersene» non soltanto come di una presenza «fisica», ma come di qualcuno che merita il mio interesse, la mia attenzione: anche quando, eventualmente, avessi idee differenti, un modo di pensare e di vedere le cose di altro tipo… Maria esce incontro a Elisabetta, anticipando così il cammino del suo Figlio Gesù: egli andrà incontro a tutti, anche ai suoi nemici, anche a chi vorrà fermarlo e metterlo in croce, nel segno dell’attenzione, del prendersi cura, senza partire già in principio dall’idea che l’altro sia un avversario o un nemico da abbattere, o al più da ignorare.
Tutto questo ci suggerisce uno stile di vita, un modo di stare insieme, che diventa propositivo, costruttivo, che «edifica», nel senso più forte del termine: costruisce, cioè, lavoro, impresa, tessuto sociale, cultura – e certamente, per quanto mi concerne, costruisce anche vita di Chiesa: quella vita di Chiesa alla quale era così attento anche il nostro fratello Mario, quella vita di Chiesa che egli ha anche sostenuto nelle sue necessità materiali: e credo che sia giusto esprimergli qui la riconoscenza della Chiesa cremasca.

L’incontro di due madri, Elisabetta e Maria, ci permette di dire tutto questo anche in un altro modo. Una vita buona e piena, dicevo, è una vita che attraverso la molteplicità degli incontri e delle relazioni edifica e non distrugge; che costruisce possibilità di vita per sé e per gli altri. È una vita che qualcuno chiamerebbe «generativa»: come lo è, appunto, la vita di una madre, ma come è chiamata ad essere la vita di ciascuno e di tutti. Una vita che «mette al mondo», che fa nascere e crescere: che si tratti di impresa, di lavoro, di cultura, di bene, di servizio, di famiglia, di promozione sociale…
Oggi, più che mai, l’alternativa che ci sta davanti è proprio quella tra una vita così, una vita capace di generare e costruire in bene (con quanto di impegnativo, di «sacrificio», si sarebbe detto in passato, ciò comporta); o una vita individualistica, non disponibile all’incontro e alla generatività, destinata a rimanere irrimediabilmente sterile.
La fede cristiana, che anche il nostro fratello Mario ha professato, ci apre alla speranza che Dio stesso mette in salvo per sempre la nostra vita, facendoci partecipare della risurrezione di Gesù Cristo. Ma la stessa fede, con le parole di Gesù, ci ricorda che sta anche a noi «mettere in salvo» la nostra vita: e ci ricorda che l’unico modo per «mettere in salvo» la nostra vita consiste nel non aver paura di spenderla, di donarla (cf. Gv 12, 25), di renderla appunto una vita data pienamente nell’incontro con l’altro, e spesa nel desiderio di generare il bene, secondo le immense e diverse capacità che Dio ci ha dato.
Ringraziamo Dio per ciò che, di tutto questo, noi riconosciamo nel nostro fratello Mario. E rinnoviamo la nostra preghiera perché ora Dio lo accolga in Paradiso, con la sua sposa amata, gli doni il riposo dalle sue fatiche e lo renda partecipe della gioia piena ed eterna.